fotografia naturalistica reportage animali
Michel d'Oultremont sul lavoro.
Cultura

Nella vita solitaria di un fotografo naturalista

Per fare la foto che c'è sul tuo desktop questo fotografo ha passato giorni immobile nella neve.
Pierre Longeray
Paris, FR
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT

“Di base, aspetto." Così Michel d’Oultremont riassume il suo lavoro. Il 27enne belga, che ha vinto il premio di Fotografo naturalista dell'anno nel 2018, gira le piane innevate del mondo alla ricerca di buoi muschiati, uccelli rari e lontre da quasi dieci anni. Le sue foto sono state pubblicate da National Geographic e in tre libri. È anche testimonial della Canon e impartisce corsi privati di fotografia naturalistica in Belgio, e la somma di tutto questo gli fa guadagnare più o meno l'equivalente di un salario minimo sindacale.

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Alla ricerca dello scatto perfetto, d'Oultremont può passare un mese intero da solo in aree isolate come le montagne dei Carpazi in Romania, l'isola di Hokkaido in Giappone o il parco di Yellowstone negli Stati Uniti. Nascosto in una stretta nicchia coperta di rami, resta immobile anche otto ore al giorno, nel tentativo di non farsi notare dagli animali selvatici che lo circondano. D'Oultremont è abituato a questa vita; si gode la solitudine. L'ho chiamato per saperne di più del suo lavoro così unico, solitario e duro prima che partisse per la sua prossima spedizione nell'Himalaya—dove andrà alla ricerca del leopardo delle nevi.

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Civette in volo.

VICE: Ehi Michel. Tanti invidiano il tuo lavoro. Come hai iniziato?
Michel d’Oultremont: La natura mi ha sempre incuriosito, già da bambino. Facevo lunghe passeggiate nei campi e nei boschi della mia zona, a sud di Bruxelles. A 12 anni, con un mio amico, ho iniziato ad avventurarmi per boschi con la bici per osservare i conigli, gli uccelli, le volpi e i cervi. Poi, nel 2007, sono capitato a un festival di fotografia naturalistica a Namur; proiettavano un film sulla vita segreta dei fotografi naturalisti. In quel momento ho capito. Ho speso tutti i miei risparmi per comprarmi un vecchio teleobiettivo e non mi sono più guardato indietro.

Come scegli i posti?
Mi faccio passare delle informazioni da esperti di fauna e dalle guardie forestali, ma a essere sincero, uso molto Google Maps. Esploro i margini delle foreste [dove di solito c'è più biodiversità], le paludi e i sentieri che gli animali potrebbero seguire. È utile anche per trovare il miglior punto di osservazione.

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Che cos'è esattamente un punto di osservazione?
È un piccolo luogo mimetizzato, di solito veloce da preparare—una piccola tenda, qualche ramo di pino e un po' di reti. In Europa—almeno in Francia, Svizzera e Belgio—gli animali hanno molta paura degli umani a causa dei cacciatori. È una vera sfida avvicinarvisi. Io uso lenti potenti, ma devo essere fisicamente vicino agli animali per fare una foto davvero interessante.

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Nella regione delle Ardenne, in Belgio.

Di solito passi molto tempo ad aspettare?
L'attesa più lunga è stata in Croazia, per fotografare un orso. Ho passato 72 ore nello stesso punto di osservazione, cucinando e dormendo sempre lì. A volte quando sono a casa vado in un acquitrino poco lontano per fotografare gli uccelli di palude—pianto una piccola tenda e sto fermo lì per un giorno o due. La cosa bella è che a un certo punto gli animali smettono di avere paura: gli uccelli si posano sulla tenda, le volpi vengono a dormire vicino a te. Entri a far parte dell'habitat.

E gli animali non ti annusano?
Il vento è il nemico numero uno della fotografia naturalistica. Quando stai fotografando dei mammiferi, devi starci davvero: se sentono il tuo odore non si avvicineranno mai. Un cervo è in grado di annusare un essere umano da 300 metri di distanza.

E come gestisci i tuoi bisogni fisiologici?
Be', quando non sono in osservazione, non è un problema: scavo una buca e sono a posto. Ma quando devo aspettare nascosto per molto tempo, faccio pipì in una bottiglia e la cacca in un contenitore richiudibile. Non proprio il Grand Hotel.

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Lotta tra due buoi muschiati.

Ti sei mai trovato in pericolo?
Ho incontrato lupi e orsi, ma non ho paura degli animali. Sono soltanto curiosi e, comunque, sono loro ad avere paura di noi. Una volta in Croazia un orso ha tentato di arrampicarsi sulla mia torretta di osservazione, che era alta tre metri. È riuscito a mettere dentro alla botola la testa e una zampa. Io ho urlato e gli ho dato una botta sulla zampa per spaventarlo ed è corso via. Ho tremato per le tre ore successive.

Dov'è il cecchino?

Ma se dovesse succederti qualcosa, qual è il piano?
Ultimamente ho investito in un GPS satellitare con un bottone SOS. Serve a rassicurare un po' la mia famiglia e la mia ragazza, ma in tutta onestà, se succede qualcosa, risolverà ben poco. Così va la vita.

Quanto durano i tuoi viaggi?
Un mese. Se durano di meno, le foto non sono altrettanto belle. Ci vogliono due settimane per cominciare a conoscere davvero bene il territorio. Poi devi imparare le abitudini degli animali, farti un'idea dell'ambiente, pensare a che tipo di immagini vuoi creare. Prima di tutto questo, non vale nemmeno la pena di tirar fuori la macchina fotografica. Un mese in totale solitudine può sembrare davvero lunghissimo, specialmente se non fai neanche una foto. E succede! A volte ti manca proprio la fortuna.

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Sull'isola di Hokkaido, in Giappone.

Ma quindi non ti annoi?
Non direi. Ti costruisci una routine e pensi solo a quello che hai da fare. Ogni giorno mi sveglio e faccio bollire l'acqua (ci mette un po', quando è neve). Dopodiché faccio colazione ed esco a fare foto. A volte non becco niente, neanche un suono, neanche un uccello. Di solito questo vuol dire che devo prestare più attenzione, che sta succedendo qualcosa. Quando arriva la notte, faccio bollire altra acqua e mi preparo del cibo. Una volta sotto le coperte, stanco per le temperature glaciali, comincio a pensare al giorno dopo, pianifico gli scatti che voglio realizzare e dove farlo. È uno strano stato d'animo, in un certo senso ti dimentichi del mondo esterno.

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Parli da solo?
No, non fa per me. Ne parlavo proprio di recente con un amico, un fotografo svizzero. Lui parla sempre da solo quando è in missione. Io non parlo ad alta voce, ma dialogo con me stesso nella mia mente.

Ti piace stare da solo con i tuoi pensieri?
Al giorno d'oggi è davvero difficile trovare il tempo per lasciar vagare liberamente la mente. Ma per me è una necessità. Il mio lavoro mi aiuta ad alleviare quella pressione. Nel cuore della foresta, puoi staccarti da tutto e porre a te stesso domande interessanti.

È difficile tornare alla vita normale dopo aver passato così tanto tempo in completa solitudine, nei boschi?
Sono contento di rivedere degli umani dopo un po', ma mi serve tempo per riadattarmi. Lo stesso vale quando vado in spedizione: ci vogliono tre o quattro giorni prima che mi dica: "Ok, adesso sono solo." Quando torno a casa, non voglio vedere subito gente. Ma dopo un po', all'improvviso, organizzo un barbecue.

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