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Sergio Messina: Il termine nasce dall'ulteriore declinazione dei due termini che per anni hanno descritto la pornografia: softcore (pornografia in cui il sesso è simulato) e hardcore. Dagli anni Sessanta in poi, con la nascita dell'hardcore, cominciò a farsi largo l'idea che la penetrazione dovesse essere centrale, che è poi il motivo per cui all'inizio questo genere di pornografia era quasi esclusivamente ginecologica. Alla fine degli anni Novanta, invece, osservando il fenomeno della pornografia amatoriale, che coincide con la diffusione da un lato di internet e della fotografia digitale dall'altro, ho individuato una nuova esigenza da parte dei consumatori: la voglia di assistere a qualcosa di reale. Entrando in gioco altre esigenze, andava trovato un altro termine.Tant'è che poi ne hai fatto una vera e propria ricerca antropologica…
Sì, perché poi tutto questo è coinciso con la diffusione di altri fenomeni mediatici che hanno avuto a che vedere con la realtà, a cominciare dai reality. L'idea era anche quella di collegare questa nuova estetica con i linguaggi e significati che comportava. La bassa risoluzione delle immagini, ad esempio, corrisponde a un aumento della temperatura in quello che stiamo guardando. Questo lo si può osservare anche in programmi come Paperissima o Ridiculousness: ci sono una serie di format televisivi che giocavano proprio su questo aspetto. I video di news amatoriali, come le manifestazioni o i pestaggi della polizia, se girati con una telecamera strafica non hanno lo stesso effetto sullo spettatore rispetto a quando le immagini provengono da un cellulare. In questo senso la pornografia "realcore" è stata anticipatrice di un universo molto più ampio. Un'interessante congiunzione di evoluzione della tecnologia, dell'uso sociale che facciamo della tecnologia, e della centralità del corpo.
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Ho avuto la mia prima connessione internet casalinga alla fine del '96, e ho cominciato a navigare. Come tutti quanti, poi, ho cercato la pornografia. Ed è a questo punto che sono incappato nell'amatoriale: io sono sempre stato interessato all'underground, quindi l'idea che stesse nascendo una pornografia autoprodotta mi interessava molto dal punto di vista culturale.All'epoca i canali di diffusione di questo genere di porno erano sostanzialmente due: gli usenet group, una delle parti più antiche di internet, che esiste dalla fine degli anni Settanta: gruppi di interesse dove puoi pubblicare messaggi con allegati. L'altro canale, invece, erano i gruppi di Yahoo, che all'epoca aveva una politica di non filtraggio dei contenuti. Tu la mattina scaricavi tutti i messaggi contenuti in un particolare newsgroup: c'era questo tipo di idea quasi underground di scambiarsi fotografie e guardarsi a vicenda.Come sei arrivato, poi, a strutturarci un intero lavoro?
Nel 2000 durante una conversazione con Gerfried Stocker, curatore di Ars Electonica—il cui tema quell'anno sarebbe stato il next sex, e a cui mi trovavo per tutt'altri motivi—accennai all'ipotesi di intraprendere il progetto. Gli dissi "ma una cosa sulla nuova pornografia digitale prodotta dagli utenti la facciamo?"; lui colse il senso di quello che intendevo, e tirò fuori i fondi che mi hanno permesso di sistematizzare quella che fino a quel momento era stata più che altro una curiosità personale.
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I miei spettacoli sono da sempre molto giocati sulla parola: mostravo queste 100 immagini di porno amatoriale e introducevo l'argomento. Il principale sentimento espresso era l'empatia: l'idea era quella di portare gli spettatori in una visita guidata all'interno della pornografia amatoriale, da una parte rassicurandoli, e dall'altra sottolineando gli aspetti politici e sociali. La foto del tizio che si mette l'aspirapolvere nel culo generava una risata, ad esempio, ma era una risata rispettosa in quel contesto: c'era accettazione del fatto che i confini del mondo si allargano continuamente. In questo senso, era uno spettacolo molto candido.Portando avanti lo spettacolo cosa hai notato nell'impatto che il porno amatoriale aveva sugli spettatori?
In molti paesi l'amatoriale è più sdoganato, ed è vissuto in modo più libero. In Italia, ad esempio, c'è ancora l'usanza di non farsi riprendere la faccia, di usare la mascherina. Tendenzialmente il nostro paese è un po' indietro, anche se io da tre anni non seguo più e magari nel frattempo le cose sono cambiate.Eppure è strano, perché esiste un sacco di amatoriale in Italia. Recentemente ad esempio mi sono occupato della CentoXCento, una casa di produzione che lavora moltissimo e che fa amatoriale…
Conosco benissimo la CentoXCento, è uno dei casi più interessanti e divertenti nella storia della pornografia italiana. Per anni ho coltivato l'idea di intervistare Alex Magni. Nella CentoXCento c'è un aspetto sconcertante per il porno italiano: Magni nel corso della sua carriera ha transitato da una eterosessualità integrale ad una sostanziale bisessualità—e questo per l'Italia è totalmente rivoluzionario. La CentoXCento, inoltre, è stata la prima a introdurre sistematicamente dei corpi "diversi" nella pornografia italiana.
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Questa è la mia opinione, anche se non esistono verità assolute: grazie alla fotografia digitale e ai suoi sviluppi (smartphone ecc ecc) si è creato un fenomeno che non differisce molto da quello accaduto negli anni Sessanta, quando si sono diffuse le chitarre nel nostro paese. La chitarra è diventata uno strumento popolare: la maggior parte delle gente non andava a lezione, ma impara due o tre accordi e poi suonava le canzoni di Battisti. E lo stesso è accaduto per la pornografia: è diventata popolare. Le gente si fotografa e si pubblica per estendere l'area dell'intrattenimento, integrando la fotografia digitale all'interno di un gioco sessuale. La prima persona interessata a questo tipo di contenuto è l'autore medesimo.Ovviamente c'è una componente di voyeurismo. Il tutto, poi, è amplificato a dismisura dal fatto che viviamo in un universo in cui essere attraenti su internet è un tema incredibilmente complesso; è chiaro che c'è un meccanismo di validazione: i like, i follower ecc ecc. La pornografia amatoriale contiene in sé una delle forme di validazione più spettacolari: mi tiro fuori il cazzo e mi tocco guardandoti, altro che like. C'era un feedback ravvicinato, poi.
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La differenza sostanziale che ho notato è che la pornografia industriale ha iniziato ad emulare l'estetica del porno amatoriale, e non viceversa. Fino agli anni Ottanta e ai primi Novanta il porno mainstream funzionava esattamente come il cinema.
No, uno solo non c'è. La cosa che mi ha colpito di più all'inizio è stata l'idea che tu possa espandere la pornografia in una direzione autobiografica: all'inizio incappai nella cartella di una coppia, casalinga e il marito, che andavano a fare sesso dentro i cinema porno in Nevada e si fotografano per poi pubblicare nei newsgroup. Poi ad un certo punto hanno notato che le loro cartelle venivano scaricate da migliaia di persone, quindi hanno pensato di aprire un piccolo sito. E nel sito, fra i contenuti sessuali, c'era moltissimo testo: un blog compilato quotidianamente, con relativi commenti e risposte. E col tempo i siti del genere si sono moltiplicati. Prendi ad esempio Wifey's World: questa coppia ha avuto così tanto successo da costruirci una specie di business. Quando portavo avanti lo spettacolo usavo circa 100 foto, che di volta volta cambiavo o integravo, e ogni volta cercavo di mandare una mail al proprietario per chiedere il permesso. In poche ore rispondevano tutti. Questo secondo me suggerisce un'idea di futuro molto interessante: forse un giorno saremo tutti nudi su internet.Segui Niccolò su Twitter