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Sulle unioni civili siamo noi a doverci dare una svegliata

Che piaccia o meno alla Chiesa e alla destra italiana, le famiglie gay in Italia sono una realtà e la lotta contro le unioni civili dimostra solo come certa classe politica sia smarrita e senza nulla da dire.

Un cartello contro "l'ideologia gender" al Family Day di Roma nel giugno 2015. Foto di

Federico Tribbioli

Il vortice di eventi e dichiarazioni che si stanno intensificando nell'ultima settimana in vista della discussione in parlamento sul ddl Cirinnà mi spinge a condividere alcune impressioni, non tanto e non solo sul testo della legge, ma più in generale sui motivi di una così diffusa recrudescenza di odio da parte di una grande fetta del ceto politico italiano.

Sono pronto a ricredermi, ma sono ottimista sul fatto che la legge abbia buone probabilità di venire approvata. Al netto del contenuto compromissorio del testo, evidentemente migliorabile, e della scarsa fiducia che da elettore nutro per questa maggioranza, ho per la prima volta da molti anni la sensazione che questo piccolo passo sarà finalmente compiuto. Se così non sarà credo comunque che nel giro di pochi mesi potremo finalmente vedere affermati alcuni di quei diritti basilari e colmate quelle lacune legislative che continuano a fare dell'Italia un'anomalia inspiegabile all'interno dell'Unione Europea.

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Che piaccia o meno a Bagnasco e compagnia, le famiglie gay sono una realtà. Anche in Italia esistono genitori delle stesso sesso con figli già da molti anni, pur non godendo di alcuna tutela giuridica. Sono coppie normalissime, stabili, che crescono figli nati da precedenti matrimoni o che li hanno adottati in stati in cui è possibile farlo. Nella mia esperienza personale ho avuto occasione di conoscere diverse famiglie "arcobaleno", e la naturalezza e la semplicità nel relazionarsi tra questi individui, adulti e bambini, non aveva niente di diverso dalla naturalezza e la semplicità che dovrebbe regolare i rapporti in ogni famiglia.

Bisognerebbe anche ricordare che l'argomento secondo cui il nostro paese non sarebbe pronto alle adozioni gay non è solo ed esclusivamente appannaggio di omofobi e contrari alle unioni civili: è un adagio che ho sentito ripetere a molti omosessuali. Ma anche se davvero l'Italia non fosse pronta, il compito di informare e preparare i cittadini al cambiamento sarebbe proprio della politica e delle istituzioni, e non il contrario.

IL MARKETING DELLA PAURA

Molti si chiedono i motivi di questo storico ritardo sul tema e perché la nostra classe politica continui a essere non solo refrattaria ma apertamente ostile verso cittadini omosessuali e famiglie omogenitoriali. I motivi in realtà sono tutti riconducibili a un'unica macro-questione: i partiti—perennemente impantanati in scandali economici e in collusioni di varia natura con associazioni criminali—non hanno più un'identità solida e non propongono temi concreti e programmi credibili, nel disperato tentativo di costruire maggioranze che di "naturale" non hanno nulla.

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In particolare, i partiti più estremisti si stringono attorno all'unico collante possibile, ossia la paura. Il marketing della paura applicato al ddl Cirinnà evoca scenari apocalittici: "con le unioni civili scompariranno le famiglie tradizionali"—come se il 99 percento della popolazione fosse omosessuale, o come se tutti gli omosessuali automaticamente con l'approvazione di una legge convolassero a nozze. Inutile ricordare che nelle 21 nazioni che attualmente riconoscono le unioni gay le famiglie tradizionali continuano a esistere proprio come prima.

Davanti all'incapacità della classe politica, i pesi massimi dell'odio riutilizzano strumenti antichi ma sempre affilatissimi scagliandosi verso le minoranze e dipingendole come oscuri circoli di potere—la fantomatica "lobby gay". Bene: se davvero esistesse una lobby gay in Italia allora sarebbe la lobby più pasticciona e inconcludente della storia, visti i risultati scarsissimi raggiunti finora in ogni campo.

Del resto, se provo a mettermi nei panni di una persona anziana o con pochi strumenti culturali, realizzo la difficoltà di tanti nel respingere al mittente le angosce evocate strumentalmente parlando di "stepchild adoption", di adozioni gay (cosa non contemplata nel testo della legge) e "dell'orrore" dell'utero in affitto—una pratica tra l'altro non compresa nel ddl e che riguarda nel 90 percento dei casi coppie etero e non gay.

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Eppure, analizzate a mente fredda tutte queste paure si rivelano estremamente artificiose, fomentate da media ansiogeni e sempre inclini a riverberare ogni boutade estremistica, lasciando a pochissime voci isolate del panorama politico e intellettuale la formulazione di allarmi e la capacità di inquadrare e discernere le minacce vere—prima tra tutte la rottura del legame sociale, che può rafforzarsi solo ed esclusivamente in una società nella quale esistono pari diritti e pari doveri.

LA FACILE IRONIA

Un cartello alla manifestazione #svegliatitalia in favore del ddl Cirinnà. Foto di

Vincenzo Ligresti

Non nego che la facile ironia verso quel politico o quel cardinale inizia non soltanto ad annoiarmi ma anche a convincermi del fatto che la lentezza genetica con la quale l'Italia affronta qualsiasi cambiamento sociale e strutturale sia da ricondursi anche a questo atteggiamento infantile.

Ha davvero senso continuare a replicare ai fanatici conservatori ed entusiasti del Family day ricordando l'ipocrisia delle loro esternazioni? Continuare a ridacchiare dei molti matrimoni di Pierferdinando Casini, del coinquilino di Formigoni o del marito di Alessandra Mussolini? Iniziamo a dare per scontato che questi personaggi sono professionisti del teleschermo, espressioni di un mondo retrogrado, e per favore sottraiamoci al loro gioco evitando di fargli da cassa di risonanza.

Ciascuno di noi si ritrova tutti i giorni la timeline invasa da risposte ironiche ai vari Salvini, Giovanardi, Gasparri e Adinolfi—non comprendendo che con le stigmatizzazioni e la parodia legittimiamo l'esistenza di figure grottesche, impresentabili e incivili ma che quotidianamente ospitiamo nel linguaggio mettendole di continuo in circolo e conferendo loro, in negativo, un potere che altrimenti non avrebbero.

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Certo fa male sapere che i soldi delle nostre tasse vengono spesi anche per organizzare convegni leghisti "contro i gay" ai quali vengono invitati noti preti coinvolti in casi di pedofilia, ma ha senso scatenarsi "creativamente" trasfigurando il già trasfigurato Pirellone di Maroni? Nel giro di poche ore un sacco di amici e sconosciuti hanno iniziato a dare la prova del loro raffinatissimo humor trasformando la scritta "Family Day" in soluzioni che spaziano da "Family Gay" a "W la figa" a un lapidario "suca". Tante risate, e poi? E poi, come al solito, nulla. Appena sdrammatizzato l'ennesimo ematoma, dopo aver giocato sullo stesso livello semantico ci dimentichiamo delle reale gravità di queste azioni.

BOICOTTAGGI E AZIONI MIRATE

Il mondo LGBT ha in passato vinto battaglie decisive, anche grazie alla coerenza e alla capacità di fare fronte compatto contro ingiustizie e abusi. Uno dei politici e attivisti più importanti della storia dei diritti civili dei gay negli Stati Uniti, Harvey Milk, utilizzò con successo lo strumento del boicottaggio per rivendicare i diritti dei lavoratori gay discriminati, coalizzandosi tra l'altro con altre minoranze etniche nel quartiere Castro di San Francisco.

Per come la vedo io, il noto caso di Italo non deve essere derubricato in pochi giorni come un semplice "scivolone", ma dev'essere costantemente ricordato come uno dei tanti esempi di mancanza di coraggio di una classe economica che anche attraverso azioni come questa non vuole adattarsi al progresso e all'emancipazione. Negli ultimi anni abbiamo assistito a tanti casi diversi ma identici nel mostrare la stesso grado di oscurantismo: dalla clamorosa dichiarazione di Guido Barilla che ha poi cercato di salvare la faccia dell'azienda adattandosi al 21esimo secolo, ai due stilisti italiani Dolce & Gabbana che nonostante la loro biografia e il mondo che frequentano non trovarono di meglio che aprire bocca dimostrando ancora una volta la radicale ignoranza sul tema che, come in questo caso, non riguarda solo omofobi ed eterosessuali.

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LA CHIESA

Per concludere, è importante anche ribadire un concetto che persino nella comunità LGBT continua a non essere sufficientemente compreso: smettiamola di aspettarci aperture di qualsiasi tipo dalla Chiesa. La Chiesa è questa e non cambierà, perché con il processo di secolarizzazione in atto l'unica speranza che rimane loro è quella di continuare a vivere sulla pelle delle paure altrui e su quel sistema clientelare e conservatore che tutela i loro interessi da secoli.

Inoltre, la laicità in Italia è un diritto costituzionale e ciascuno è libero di credere o non credere a qualsiasi forma di spiritualità senza pesare sulle scelte di ogni cittadino. Perciò davvero, basta collaborare con la Chiesa, basta chiedere loro il permesso di scegliere il nostro futuro. E proprio gli omosessuali e gli esponenti dello spettacolo e della cultura dovrebbero manifestare apertamente l'affermazione di questi principi.

Pochi giorni fa ho visto Sì, lo voglio, il video diRepubblica in cui numerosi artisti italiani sostengono la legge Cirinnà in vista del voto di domani. Peccato, però, che tra loro ci fosse un cantante che sul suo profilo Instagram sfoggia una foto in cui, ossequioso e a mani giunte, dona una copia del suo album a Papa Francesco. Se nemmeno il mondo gay, soprattutto in ambito artistico, è capace di affrancarsi da contraddizioni come questa, allora la strada verso l'eguaglianza dei diritti sarà sempre tragicamente in salita.

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