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Com'è crescere in una famiglia neocatecumenale

Per oltre 15 anni ho fatto parte di una comunità neocatecumenale, in una famiglia di 12 fratelli: fra ritiri di gruppo per leggere la Bibbia, un sacco di divieti e una stretta sorveglianza sulle tentazioni sessuali.

Una parrocchia neocatecumenale in gita (nessuna delle persone qui ritratte è parte di questo post). Foto via Flickr.

Ai più, il termine neocatecumenale evoca un'immagine di nemici della contraccezione, frasi altisonanti sulla provvidenza e Giornate Mondiali della Gioventù. L'Italia è uno dei paesi con la maggior presenza di seguaci del cammino, ma le informazioni sul loro conto online non sono molte. Tra quelle che si trovano con maggiore frequenza ci sono le testimonianze critiche di fuoriusciti, che spesso definiscono il cammino una vera e propria setta. Abbiamo chiesto a un ragazzo cresciuto in (e poi fuoriuscito da) una famiglia neocatecumenale di raccontarci la sua esperienza.

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Ho 24 anni e sono il terzogenito di 12 fratelli, l'ultimo dei quali nato poco più di un anno fa. Come qualcuno potrà aver pensato leggendo questo semplice dato, i miei genitori fanno parte di una comunità religiosa—neocatecumenale, nello specifico.

Sono cresciuto in una città italiana di medie dimensioni, dove i miei si erano avvicinati al cammino già prima della mia nascita; fin da subito, quindi, mi sono ritrovato immerso in questa atmosfera. E anche se da un po' sono uscito dalla comunità, dopo più di 15 anni al suo interno una certezza ce l'ho: quando nasci in una famiglia neocatecumenale non hai molte scelte.

O credi in Dio, o credi in Dio.

Quello che da molti è percepito come una setta, e che per altri è al massimo lo stereotipo della famiglia folkloristica ospitata a Sanremo nel 2015, è infatti un percorso ben diverso da quello intrapreso dalle famiglie di credenti "semplici". A volte, come qualche mese fa, quando il Papa ha invitato a non procreare come "conigli", è pure, con una certa ottusità, in disarmonia con la chiesa. Una sorta di binario parallelo a essa, ma che paradossalmente sta sempre un passo dietro.

È per questo che crescere in una famiglia neocatecumenale non significa soltanto far parte di una famiglia cattolica particolarmente osservante. È tutto molto più dogmatico e incentrato sulla devozione a Dio, che era in tutti noi, in tutte le cose e in tutto ciò che accadeva.

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Non posso negare che si è trattato di un imprinting fortissimo, e arrivare col tempo a mettere in dubbio l'esistenza di Dio è stato difficile, perché c'è sempre quella vocina del passato che ti redarguisce minacciosamente. Riuscire a non ascoltarla quando dal primo giorno della tua vita sei stato indotto a crederci è un'impresa—se devo essere sincero—piuttosto destabilizzante. Ma facciamo un passo indietro: il cosiddetto cammino neocatecumenale ha la sua base, oltre che nella già citata famiglia, nella parrocchia. In quanto tale, come strumento di approfondimento della fede, è "guidato" da un'équipe di sacerdoti, catechisti e fedeli che sono punto di riferimento di ogni "fratello" o "sorella". Come ogni cammino ha inoltre delle tappe stabilite all'epoca della nascita del movimento, avvenuta in Spagna tra gli anni Sessanta e Settanta.

Nella prima tappa, detta pre-catecumenato, l'obiettivo è quello di conoscersi attraverso la comunità in cui si è inseriti. A questa segue la riscoperta del catecumenato, una "riflessione" sulla prima tappa e preparazione alla terza detta "riscoperta dell'elezione" che culmina poi con un pellegrinaggio in Terra Santa.

Il cammino neocatecumenale è una realtà piuttosto organizzata a livello territoriale, anche se in Italia non ci sono dati ufficiali sul numero di persone che vi hanno aderito. Io stesso quando ne facevo parte non avevo coscienza delle proporzioni del fenomeno. Semplicemente, soprattutto nei primi anni, perché non concepivo l'esistenza di un mondo diverso. Dalla preghiera prima dei pasti alle lodi la domenica—che sono delle letture o dei canti con mio padre che suonava la chitarra—fino ai ritiri con la comunità e gli scrutini da parte dei catechisti per vedere se eri abbastanza fedele per proseguire nel percorso neocatecumenale, tutto nella mia esistenza seguiva sempre il ritmo del cammino.

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A scuola e nella vita di tutti i giorni non mancavano ovviamente le situazioni di disagio. Come quella volta in cui dovevo andare in scambio culturale ad Amsterdam e mia madre prima di partire mi stampò due fogli A4 con tutti i preti e le chiese cattoliche in città, in modo che non mi perdessi "tra le tentazioni". Il sermone illuminante sul potere malefico della prostituzione e delle droghe mi venne ripetuto in più occasioni prima della partenza, e fu una delle poche volte in cui i miei mi parlarono faccia a faccia (seppure tramite allusioni) della questione sesso.

Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia, 2005. Non sappiamo se ci siano neocatecumenali nella foto. Via Flickr.

Ovviamente in famiglia non c'erano solo argomenti "scomodi" come la sessualità e l'omosessualità, che passavano ampiamente in sordina: anche nelle sottigliezze della quitidianità avevamo dei divieti più duri in confronto a quelle che poi ho scoperto essere le regole delle altre famiglie. In casa mia, per esempio, non potevamo guardare i Simpson, non potevamo giocare ai videogiochi, e avevamo un coprifuoco ridicolo—con i miei genitori che attendevano il nostro ritorno per controllare che non sgarrassimo.

Ma questo era solo la punta dell'iceberg. Sotto c'era un mare di cose di cui non andavo propriamente fiero—come quando andavo in gita con la scuola per qualche giorno, e i miei si assicuravano scrupolosamente che la mia camera da letto non fosse condivisa da ragazze; o come quando vedevo alcuni miei fratelli andare in vacanza con le proprie fidanzate per dormire poi in stanze separate. A proposito di stanze, per vent'anni io ho diviso la mia con altri due fratelli. Ciò ha fatto sì che, oltre al dover combattere ogni mattina per la sveglia, nessuno di noi abbia mai avuto una parvenza di intimità. E per quanto puoi voler bene a una persona, starci costantemente e strettamente a contatto per giorni, mesi, anni, è snervante—così come erano snervanti i miei genitori ogni volta che uscivo leggermente dagli schemi in cui avevano incasellato ognuno di noi.

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Bastava pochissimo, un leggero comportamento sopra le righe, e mi ritrovavo in cattiva luce. La richiesta di andare in vacanza, in discoteca, o quella di uscire con tizio e caio quando tizio e caio non erano persone della chiesa. È ovvio che non mi potevano impedire certe cose, ma altrettanto ovvio era il fatto che ci provavano nei modi più svariati.

Tutta questa pressione culminò in un vero e proprio problema quando dovetti presentare la mia prima vera ragazza ai miei. Era atea, e di conseguenza non "adatta" a me. Quello che più mi infastidiva non era tanto il fatto che i miei potessero aver avuto un cattivo giudizio nei miei confronti, quanto il fatto che lei si sentiva a disagio ogni volta che veniva a trovarmi. Era diventata una sorta di complice di un delitto inesistente, l'ospite non gradito a tavola e un motivo per farmi prendere in giro dai miei fratelli. Per quanto mi riguarda, invece, era un po' come se un daltonico criticasse i colori di un quadro: era tutto molto assurdo, ma alla fine riuscivo a fregarmene.

Nel frattempo, la mia vita pubblica di neocatecumenale procedeva tra la messa e due incontri a settimana in parrocchia, nel corso dei quali—divisi in gruppi—allestivamo la sala per la funzione del fine settimana, preparavamo i canti, leggevamo insieme le letture e commentavamo con il sacerdote quelle che ci avevano colpito di più. Finché sei piccolo segui gli incontri con la comunità dei tuoi genitori. Poi sulla soglia della fase adolescenziale vieni inserito nella tua comunità e segui il percorso con persone più o meno della tua età. Ma questa transizione corrisponde anche a una fase in cui ti viene richiesta una maggiore devozione: altri incontri, partecipazione al volontariato, e l'aggiunta della funzione del sabato sera.

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È stato in tutto questo miscuglio di "rituali", che è arrivato un momento in cui mi sono sentito distante da tutto quello che avevo attorno. Ero distante da ciò in cui avrei dovuto credere, distante da alcuni dei miei fratelli e soprattutto distante dai miei genitori—con i quali ho sempre avuto un rapporto complicato: loro non riuscivano a parlare con me, e io non riuscivo a farlo con loro. Non che ci fossero tensioni particolari; semplicemente, ci ignoravamo. Vedevo spesso come parlavano con i miei fratelli, mentre con me non funzionava—o forse non volevo che funzionasse. Improvvisamente, durante la mia adolescenza, mi sono ritrovato a essere la pecora nera della famiglia, il fratello da non seguire, e il figlio "sbagliato".

Col senno di poi non facevo nulla di diverso dai miei coetanei: uscivo, avevo iniziato a fumare e andavo ai concerti, ma tutto ciò non rientra nella normalità se sei inserito in un percorso neocatecumenale. Non a caso, questo momento è corrisposto alla mia "ribellione": dopo circa un anno e mezzo nella mia comunità ero arrivato al limite. Nulla di assurdo, semplicemente non era ciò che volevo dalla mia vita. Percepivo quell'esistenza come qualcosa di estremamente forzato a cui non volevo più partecipare.

Ricordo bene il momento in cui quella sensazione si è trasformata in azione. Avevo appena compiuto 16 anni ed ero fuori con un gruppo di ritiro: una gita organizzata dalla comunità in cui, con il tuo gruppo, vai da qualche parte a leggere la Bibbia e a fare attività collettive e ricreative. Eravamo in una città marittima del sud Italia, e una delle attività finali dell'incontro consisteva nell'alzarsi a turno, di fronte a tutti, e dichiarare apertamente la propria volontà di accettare lo Spirito Santo.

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Dopo aver ascoltato i sì ossequiosi dei 15 ragazzi che mi precedevano mi sono alzato in piedi, e dopo essere rimasto in silenzio per un po' di secondi, incerto, ho detto "no", sotto lo sguardo di dissenso e disperazione dei miei genitori. È stato un gesto di stizza, più che una presa di coscienza su quello che volevo veramente. Successivamente le cose si sono complicate: io ero sempre meno abbordabile, e in casa percepivo gli sguardi costantemente frustrati della mia famiglia. Per un lasso di tempo sono stato costretto a continuare ad andare a messa la domenica mattina. I miei e i miei fratelli ci andavano il sabato sera, e siccome ero solo, finiva che mi nascondevo dietro la chiesa ad ascoltare i Sonic Youth. Per un po' è continuata questa pantomima, ma era sempre più chiaro che l'atteggiamento dei miei genitori non sarebbe cambiato. Non riuscivano ad accettare la mia scelta ed è proprio in questo che sta il punto delicato del cammino neocatecumenale: se i tuoi genitori sono devoti alla chiesa e credono che questa rappresenti la salvezza o comunque il modo giusto per vivere, non possono accettare che un figlio non segua questa strada. Per loro ero perso, risucchiato dal mondo. Dove "mondo" stava per peccato.

Così, dopo continue pressioni, ho dato una seconda possibilità al cammino. Ma è durato pochissimo. Soprattutto perché nell'esatto momento in cui ricominciai, mi resi conto di aver sviluppato una serie di convincimenti che cozzava con i suggerimenti da guru del prete di turno. Lo avevo fatto per i miei genitori, non per me.

Dopo aver lasciato la seconda volta ho iniziato a vivere con meno senso di colpa, e anche a concentrami sullo studio e le cose che ritenevo più importanti. Un po' alla volta la comunità è diventata qualcosa con cui ho a che fare solo per vie traverse, visto che tutti i membri della mia famiglia ne fanno ancora parte. Si è formato un equilibrio fra la mia scelta, il loro stile di vita e le reciproche aspettative.

Adesso sto per prendere la mia seconda laurea e anche loro sembrano aver mollato un po' la presa sulla mia fede, sulla mia vita e su chi mi circonda. Io, da parte mia, sono estremamente rispettoso nei confronti di tutto ciò che mi circonda e credo di dovere molto ad alcuni insegnamenti che i miei mi hanno dato. Mi ricordo ancora di come mio padre era impegnato nel sociale, sempre il primo a rispondere ai supermercati per i prodotti che sarebbero stati buttati per portarli ai più bisognosi. Lo ammiravo e ne andavo fiero. Per questo non voglio dire che il cammino neocatecumenale sia malvagio o qualcosa di estremamente terrificante. C'è gente che lo vive in pace, non lo nego. Li vedo che stanno bene e li vedrei persi senza il cammino: per molti rappresenta un appiglio a cui aggrapparsi per riuscire ad andare avanti.

Quanto a me, io mi tengo stretto la mia vita, e i piccoli piaceri che trovo in essa. Che siano parte del volere di Dio, non lo so, e difficilmente me lo chiedo: da quando sono uscito dal gruppo mi capita di pensarci di rado. Così come ad ogni questione che riguarda la religione. Quello che invece so, è che dopo aver testato una convivenza così stretta con 12 fratelli, la mia visione della contraccezione è estremamente laica.

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