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A8N4: Il numero dello spettacolo

Il sarto di Mozart

Il costumista ceco che ha vinto l’Oscar e ha perso la sua patria.

Foto dei costumi per gentile concessione dei Barrandov Studios a.s.

Theodor nel suo studio, con i suoi abiti di tutti i giorni.  

Theodor Pištěk, 80 anni, è un costumista ceco noto per aver creato gli abiti per il film del 1984 Amadeus, per il quale ha anche vinto un Oscar. Durante gli anni Ottanta, quando la Cecoslovacchia è stata tagliata fuori dall’Occidente dalla Cortina di Ferro, Theodor è stato estromesso dall’industria cinematografica ceca, allora fantoccio del comunismo. Comunque, è riuscito a passare al mercato americano e a lavorare ad alcuni film con il suo amico Miloš Forman, fuggito nel 1986 dalla Cecoslovacchia alla volta degli Stati Uniti. Hanno lavorato insieme a Valmont e a Larry Flint - Oltre lo scandalo, ma il successo maggiore della coppia è stato Amadeus, che ha conquistato otto Oscar e ha reso Theodor un’icona tra i costumisti. 
Si potrebbe interpretare la vittoria di un gruppo di cecoslovacchi alla serata degli Oscar americani come primo segnale della fine della Guerra Fredda. Peccato che, ad anni Ottanta inoltrati, il regime totalitario alla guida del Paese ha preso l’abitudine di punire i cittadini che ottenevano successo all’estero, e Theodor è diventato un bersaglio. Gli ho fatto qualche domanda riguardo a quel periodo.

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VICE: Come è diventato un costumista? È stato nominato dal regime?
Theodor Pištěk: Non mi hanno nominato loro. Era una cosa che mi veniva dal cuore, una cosa che amavo fare. Non avevo nessuna formazione in quel campo. Quello che sapevo l’ho imparato all’Accademia d’Arte, dove gli unici costumi che ti mettevano davanti erano quelli dei quadri antichi. Per me era un lavoro creativo. Ero tra i primi a sapere come sarebbe stata l’estetica del film. Ero sempre uno dei primi a vedere la sceneggiatura, perché era da lì che si scopriva se il personaggio avrebbe dovuto essere un avvocato o chissà cosa. Un sacco di costumisti si preoccupano solo di farsi un’idea generica di quello che la gente indossava al tempo della narrazione e di mettere sui protagonisti un normale abito, ma non è così semplice.

Era difficile trovare i tessuti per i tuoi costumi, allora?
Posso immaginare che le possibilità di acquisto nella Cecoslovacchia sovietica fossero in qualche modo limitate. È proprio lì che cominciavano i problemi. A salvarmi è stato l’unico negozio che le mogli dei capoccia del Partito Comunista Cecoslovacco frequentavano. I Barrandov Studios di Praga avevano un enorme potere e riuscivano a garantire ai loro migliori costumisti l’accesso a quel negozio per alcune pellicole. Ci trovavi materiali di qualità. Ed è lì che incontravo tutte le donne del Partito Comunista. Dovevo sempre aspettare che avessero finito di fare le loro compere, e poi mi facevano entrare. Il primo film per il quale ho lavorato senza tutti questi paletti è stato Amadeus.

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Ma ha dovuto affrontare molte altre difficoltà lavorando ad Amadeus, vero?
Ogni volta che Miloš Forman entrava in Cecoslovacchia era circondato dai servizi segreti. Ai Barrandov c’era un gruppetto di registi del Partito Comunista, e quando la gente cominciò a mormorare della venuta di Forman a Praga per girare Amadeus, scrissero una lettera al Comitato Centrale dicendo che loro, in qualità di registi impegnati, si opponevano al fatto che Forman girasse lì. Ma dato che l’economia negli anni Ottanta era in pessime condizioni, il Partito pensò che fosse meglio avere qualche entrata in più in dollari piuttosto che ascoltare un manipolo di comunisti degli Studios. Comunque stabilirono un incontro con Forman e il produttore, e si accordarono per come si sarebbero dovute svolgere le riprese.

A SINISTRA: Un costume completo di maschera da cigno, che Theodor realizzò per Elizabeth Berridge, nel ruolo della moglie di Mozart in Amadeus. A DESTRA: Tom Hulce, nei panni di Mozart, indossò questo costume e lanciò la moda della parrucca rosa, in voga a metà anni Ottanta.  

E quali erano gli accordi?
Ogni membro importante della squadra di riprese doveva avere il proprio poliziotto alle costole, ma la verità è che le cose funzionavano in modo diverso. Il tipo che avrebbe dovuto occuparsi di Forman, per una mazzetta da 20 dollari non rispettava gli ordini che gli erano stati dati, non si curava dei suoi compiti e nemmeno dei rischi che correva Forman. Quel poliziotto si sarebbe fatto impallinare per Forman. Ma Forman mantenne i patti presi con il Partito Comunista. Per questo non andò a fare visita a Václav Havel [drammaturgo e dissidente], perché aveva promesso che non l’avrebbe fatto.

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Non sembra che Hollywood sia mai stata in grado di catturare sullo schermo i dettagli storici con precisione, a meno che la storia non fosse ambientata in America. L’impressione è che ci sia qualcosa di sbagliato, di dissonante.
È una cosa con cui hanno dei tremendi problemi. Quando lo scenografo si presentò in riunione, stava facendo un mischione di stile romano e romanico. Ma ci tenevano talmente a catturare l’atmosfera dei tempi di Mozart che avevano pensato di chiamare qualcuno da Praga, che è una città connessa con Mozart. Ed è per questo che Forman ha chiamato me.

Come è stato, per un ceco, convivere con tutte le offerte che deve aver ricevuto dopo la vittoria del premio cinematografico più importante degli Stati Uniti?
Avevo tutte le possibilità, ma non riuscivo a immaginare di rimanere negli States perché avevo una famiglia in Cecoslovacchia. Tra l’altro—non sono uno stilista, ma Nina Hyde, fashion editor del Washington Post, sembrava essersi innamorata di me. Ero lì durante le sfilate della primaveraestate del 1984, e Nina mi trascinava per tutte le location della Fashion Avenue di New York. Avevamo sempre posti in prima fila, e io facevo recensioni delle sfilate per il Washington Post. Amadeus ebbe un effetto negli Stati Uniti che oggi nemmeno puoi immaginartelo. Ebbe un grande impatto sulla moda e sdoganò l’uso di elementi classici nello streetwear. Mi sembrava che la gente mettesse i miei costumi per uscire a passeggiare per strada.

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Negli anni Ottanta esplose la moda del diciottesimo secolo. Ha presente “Rock me Amadeus”? Lo avrebbe mai detto?
Non riuscivo a credere ai miei occhi quando vidi un tipo per strada con calze bianche e una gorgiera. Due giorni prima del mio ritorno a casa [dopo aver concluso Amadeus] ricevetti una proposta da un marchio americano, mi volevano come stilista per la loro collezione successiva. Sono così vecchio che nemmeno mi ricordo il nome, ma era una cosa tipo la Dior americana… Ho cercato di convincere il consolato a prolungarmi il visto, ma non ci sono riuscito, nonostante avessi il supporto del Washington Post. Forman ci ripeteva sempre, “godetevela finché dura, stronzi, perché durerà a lungo.” Ma quei momenti, per una persona cresciuta in Europa, sono anche troppo.

Un’altra creazione di Theodor per Amadeus, evocativa di tempi più semplici in cui le donne dell'alta società non avevano nient’altro da fare che cambiarsi d’abito tutto il giorno.

Quali reazioni ci sono state in Cecoslovacchia al suo successo?
Nessuno mi parlava. All’aeroporto ad aspettarmi c’erano solo mia moglie e i nostri figli.

Non era nemmeno sul giornale?
No, ma mia moglie stava girando ai Barrandov Studios, e [Miroslav] Müller, il segretario alla cultura del Partito Comunista, andò a chiederle quanti soldi avessi guadagnato. Fu l’unica reazione ufficiale. E poi ovviamente i registi dei Barrandov lanciarono l’anatema su di me e sul film e escludendomi dalla scena. I registi del Barrandov decisero che nessuno avrebbe nemmeno dovuto menzionare Amadeus o me. Semplicemente, non mi considerarono più uno di loro. [Ludvík] Toman, il capo degli sceneggiatori dei Barrandov Studios, aveva una grande influenza. Aveva delle connessioni con la polizia di Stato e probabilmente anche con il KGB, e diramò questa specie di velina che ordinava ai registi di non rivolgermi la parola.

Ha ragione di credere che i servizi segreti intercettassero il tuo telefono perché avevi molti contatti negli Stati Uniti?
No, in realtà non potevano farmi nulla perché avevano intascato un paio di milioni di dollari per un film che un gruppo di americani aveva girato in Cecoslovacchia. Avevano un atteggiamento molto capitalista quando avevano a che fare con certe questioni; non potevano prendersela con persone che gli avevano fruttato bei soldi. Avrebbe causato dei guai a livello internazionale. Comunque, deve avere avuto qualche problema. Voice of America mandò in onda uno spot radiofonico su una mostra collettiva di un gruppo di artisti in cui partecipavo anche io—e il giorno dopo l’annuncio hanno tolto i miei quadri dalle pareti. Proprio il contrario della celebrità che ha vissuto in America.

Devi esserti sentito un po’ spaesato.
Neanche i cani mi abbaiavano contro. Riesci a immaginare che colpo? Il minuto prima sei famosissimo, e poi sei condannato alla damnatio memoriae. Dopo gli Oscar, c’erano cene a base di aragosta in cui la gente pagava per entrare e sedersi a tavola accanto a me e mangiare aragosta. Poi una ragazza mi ha invitato a Dallas. Io mi ci sono presentato, e lei ha continuato a trattarmi da re. Mi ha portato nel giardino dietro casa sua e ha cominciato a mostrarmi i cespugli di rododendri. Aveva inserito in ogni cespuglio uno schermo che trasmetteva in continuazione Amadeus. A dire il vero, era solo la parte dei titoli di coda in cui esce “Costumi di Theodor Pištěk”, in loop. E poi all’improvviso uscirono 150 persone e si misero ad applaudirmi, in giardino. Ho molte storie analoghe da raccontare. Mi sentivo come se stessi prendendo parte a qualcosa che non era reale, anche se negli Stati Uniti stavo diventando famoso come nessun altro prima. La notte degli Oscar, ero seduto nella stessa fila di Kirk Douglas e Diana Ross. Kirk si girò e mi disse, “Ma senti, perché non sei seduto in prima fila stasera?”