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A9N6: Il settimo annuale di narrativa

Una storia di fantasmi

Un racconto di Amie Barrodale dal nostro annuale di narrativa.

Tutte le illustrazioni per gentile concessione della Naruyama Gallery.

Sono sicura che se avessi accettato una determinata proposta di matrimonio la mia esistenza sarebbe proseguita in maniera ordinaria, ma non volevo sentirmi umiliata. E più tardi, quando sarei stata disposta ad accettare, il pretendente non era più in vita. Le cause del decesso, naturali. Mio padre mi aveva ripudiata, perciò trascorsi diversi anni facendo ciò che dovevo. Fu allora che iniziai a vedere i fantasmi neri.

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Poi mia madre ebbe notizie sul mio conto da una zia e pregò mio padre perché mi mandasse in città, dove era proprietario di diversi palazzi. Erano passati ormai sei anni, e il suo malumore aveva perduto di intensità. Accettò, a condizione che lei venisse con me e si prendesse cura delle sue proprietà.

Quando ero piccola mia madre aveva una vita sociale movimentata, ma le cose erano cambiate con l’eczema. Le aveva coperto spalle, braccia, gambe, pancia e volto. Si faceva il bagno con la soluzione di permanganato di potassio, ma quello si limitava a ridurle il prurito e aveva finito col tingere la nostra vasca di blu.

Era diventata un’eremita, e poi un’intellettuale. In città, la notte, aveva il cinema muto. Nei suoi vecchi film di fantasmi trovava una qualche poesia, e li guardava e li riguardava. A me non mi piacciono i film di fantasmi, nemmeno quelli muti. Li guardava a tarda notte sul suo laptop, nella sua camera, e la mattina mi parlava degli attori.

“Ichikawa DanjūrōIX non voleva comparire su schermo, ma lo convinsero che in quel modo avrebbe fatto un dono ai posteri. La sua interpretazione del Tokinoriki è eccellente, dicono. Un po’ di anni fa l’ho riletto. A scuola ci costringevano, ma non riuscivo a superare le complessità del protocollo di corte e l’opacità della scrittura di Taira. Poi, non so come, il testo ha iniziato ad apparirmi chiaro e ora è come se parlassi a un amico.”

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“Interessante,” dissi. Una folata di vento aveva scosso gli alberi fuori dalla finestra, e alcuni petali si erano posati sul tavolo. I fantasmi non sono tutti malvagi.

***

Di tanto in tanto guadagnavo buone somme di denaro facendo da interprete per stranieri in visita. Avevo un ufficio a sud del vecchio palazzo. Compiuti 25 anni, per ogni altro che passa la donna perde un po’ più di valore. Dopo i 31, è finita. Ma con me era diverso, perché potevo comunicare coi fantasmi neri.

Edward mi fu presentato per email attraverso l’addetto stampa di Murata. Il suo messaggio mi lasciò sorpresa, quasi confusa. Lo lessi e lo rilessi. , pensai. Ci sta provando.

Iniziò a occupare parte dei miei pensieri, e io mi convinsi che era folle e disperato, proprio come la maggior parte dei solitari. In genere i traduttori sono coinvolti nel processo di preparazione della brochure, in caso di fraintendimenti. Alcuni clienti mi chiedono di occuparmi di questo e altri aspetti organizzativi, ma Edward sembrava diverso. Quando inviò la sua foto al dipartimento grafico dissi a me stessa, È bellissimo. Ma tutti possono sembrarlo.

Durante la nostra prima conversazione telefonica parlammo dell’aspetto logistico della sua visita. Per via del fuso, io ero già a letto. Mia madre stava guardando un film, e la colonna sonora riprodotta al pianoforte aveva un volume altissimo. Percepii qualcosa di nuovo nella sua voce. Era un’intelligenza meticolosa. Gli spiegai che, a seconda della durata del soggiorno, era previsto che gli mostrassi anche un po’ della città.

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***

Dopo quella volta Edward chiamò spesso. La differenza di fuso faceva sì che le sue telefonate mi cogliessero sempre la notte. La terza o la quarta volta avevo bevuto, e parlammo di cose personali. Mi disse dei suoi trascorsi con l’alcol, e di come ne era uscito. Io gli dissi che vivevo con mia madre, e che non parlavo con mio padre.

Lui fece, “Perché mi innamoro sempre di donne particolari?”

“In che senso?”

Il programma di Murata prevedeva che Edward avrebbe trascorso una settimana nel circondario e quattro giorni in città. Anche se gli avevano raccomandato di appoggiarsi a un interprete della zona, tra i due non c’era stato feeling. In più, mi spiegò Edward, l’interprete non parlava male inglese, ma non riusciva a cogliere sottigliezze come l’umorismo e il tono. Decidemmo che avrebbe avuto più senso raggiungerlo in campagna, senza aspettare il suo arrivo in città. Avrebbe parlato con l’addetto stampa di Murata per farci sistemare in due hotel diversi, ma gli spiegai che non era necessario.

È difficile mentire a mia madre, perché è una bugiarda molto esperta. Le dissi che sarei andata in campagna per lavoro, a fare da traduttrice per uno degli invitati alla conferenza di Murata nel panel sul cotone. “A quanto pare è una donna d’affari piuttosto importante.”

Mia madre rispose, “Se vuoi andare per vedere un uomo, sono contenta per te. Davvero, fa’ ciò che è necessario per cambiare la tua situazione.”

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***

Dopo l’incidente avevo smesso di bere per via di un’ordinanza del tribunale. A volte però mi capitava di farmi qualche bicchiere con mia madre, oppure da sola, in un posto vicino casa. Lo dissi a Edward. “Stasera ho bevuto del vino, con mia madre. Di solito non mi piace il vino, ma ogni tanto stappiamo una bottiglia. A mia madre piace il bianco.”

“Una bottiglia in due non è molto.”

“Io ne bevo più di lei, e poi, non dovrei bere affatto.”

“Perché no?”

“Lo dice il tribunale. Per un anno ho portato una cavigliera elettronica. Ma ci sono anche altre opinioni sul tema. Vorrei discuterne, ma non posso. È la cultura.”

“Mi piace come parli dopo un bicchiere o due di vino. Dovresti bere qualcosa prima di incontrarci. Siamo tutti umani.”

“Ma non posso.”

“Perché?”

“Perché tu non bevi. Penso sia più salutare per entrambi se evitiamo di bere, quando saremo insieme.” “Già. Penso che sul lungo termine per me sarà più salutare se non bevi, ma la prima sera ti voglio felice e rilassata. Ne gioveremo tutti e due.”

***

Presi un treno diretto in campagna. Era pieno e feci tutto il viaggio in piedi. Un ragazzo con la divisa scolastica mangiava patatine e beveva da una grossa lattina di birra. Aveva i capelli crespi e la pelle butterata. Il bar della carrozza ristorante era pieno di uomini in completi neri. Ordinai un cocktail, ma l’adrenalina era più forte dell’alcol e dovetti berne altri due per sentire un qualche effetto. E poi ne presi un quarto, senza finirlo. Ho sempre avuto un forte temperamento. Quando avevo 23 anni stavo con un uomo, e mi sembrava un bel rapporto, ma avevo sempre una strana sensazione. A volte mandava messaggi stando girato su un fianco, con la schiena messa in modo da coprire lo schermo. Spesso usciva per qualche impegno e tornava senza saper fornire indicazioni precise su cosa avesse fatto. Quando ero sospettosa, mi rispondeva in tono accusatorio. È andata avanti per due anni. In me c’era sempre quella strana sensazione, come se lui avesse potuto darmi qualcosa che volevo, ma non sapevo cosa. Una sera notai che aveva dei graffi sulla schiena e quando gli chiesi spiegazioni mi rispose che saremmo dovuti andare dalla sua psicologa. Era una donna avanti con gli anni e lui le aveva riempito la testa di bugie. Le mentiva sui sintomi perché gli prescrivesse certe medicine. Quando le spiegai le mie paure, mi disse che erano dovute al brutto rapporto con mio padre. Poi un giorno rincasai prima dal lavoro e lo trovai a letto con una ragazza che conoscevo bene. Una ragazza incapace di pensieri propri. Era sempre un po’ più spiantata e bruttina, ma non perdeva occasione di mettersi in mostra.

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Dissi, “Almeno ora so la verità.”

E lui, “E qual è la verità?”

Non è divertente come una conversazione così semplice avrebbe condotto a un omicidio? Una volta due uomini che facevano i custodi per il palazzo di mio padre si misero a litigare per gli scacchi. Lavoravano insieme da sette anni ed erano migliori amici, ma dalle parole passarono alle botte e, senza premeditazione o intenzione alcuna, uno uccise l’altro. Quella volta tra me e la mia amica accadde qualcosa di simile. Da allora è ridotta in stato vegetativo.

***

Edward mi superava di cinque centimetri. Aveva gli stessi occhi di un ragazzino che mi prendeva in giro ai tempi della scuola. Quel ragazzino era figlio unico. Una volta sua madre aveva quasi scatenato una rissa durante una partita di calcio. Dopo aver divelto parte della recinzione si era buttata in campo. Ogni qualvolta lo si ricordava al ragazzino che mi prendeva in giro, questo si faceva rosso in volto e urlava, “È una bugia!” Era divertente. Un’altra cosa divertente: la sua sorellastra era disabile, e le usciva fuori una vocetta strana. Al pomeriggio ci divertivamo a chiamare a casa e chiedere di lei. Il padre era uno di quegli adulti intimoriti dai bambini, e all’inizio ce la passava sempre. E poi noi imitavamo la sua voce. Dopo un po’ aveva smesso di passarcela, così avevamo iniziato a tormentare lui. Imitavamo la sua, di voce, ed era ancora più divertente.

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“Mi sembra già di conoscerti,” disse Edward. Gli strinsi la mano. Mi mise il braccio intorno alla vita afferrandomi un fianco. “Sono contento che sei così minuta.”

“Andiamo al ritiro bagagli.”

Le valigie avevano iniziato a sbucare dallo scivolo. I passeggeri erano raccolti intorno alla rampa.

“Ero in pensiero,” continuò. “Sono stato fortunato. La mia ex moglie non era grassa.”

Spinse la mano sotto la mia camicia e toccò la carne, con le dita che si facevano spazio tra le costole. “Continuavo a chiedermi, ‘E se è grassa, cosa faccio?’”

Mi sciolsi dal suo abbraccio e dissi, “Qual è la tua valigia?”

“Quella,” rispose indicando una valigia malconcia. La tirò su. Sembrava pesante, e notai che Edward era un tipo forzuto.

***

Gli avevo già spiegato di non poter andare a letto con un uomo prima del matrimonio, e nell’infilarmi sotto le coperte nella sua stanza d’albergo glielo ricordai. “Posso soltanto starmene sdraiata qui di fianco.”

“Certo,” rispose. Qualche minuto dopo stavo urlando. Mi accorsi che mi era scappata anche qualche parolaccia. Accadde diverse volte quella notte.

Dopo mi misi sopra. La nostra camera dava su un campo di atletica. Chiudeva alle nove, ma quella sera c’erano ancora due neri. Camminavano sulla pista d’asfalto. E lo facevano lentamente e senza guardarsi intorno. Non rimbalzavano su e giù a ogni passo: sembrava quasi stessero fluttuando. Uno indossava una giacca col cappuccio in satin. Edward mi chiese, “Perché guardi fuori?”

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Verso l’alba mi domandò, “Ti piaccio?”

“Non sono sicura.”

“Be’, non dovresti scoparti qualcuno se non ti piace. Dovresti aspettare finché non sei sicura, almeno.” Non risposi.

“Scusa,” fece. “Me lo merito.”

***

La presentazione prevista per la mattina successiva era stata fissata alla sala conferenze dell’Executive Centre. Edward aprì l’intervento con una lunga e complicata battuta. Tradotta non avrebbe funzionato, così mi rivolsi al pubblico e dissi, “L’oratore ha fatto una battuta, ridete.”

Non bevendo, ci giostravamo tra ristoranti e cinema. Uno dei film che andammo a vedere era in 3D, e per scherzare indossammo gli occhiali ancora prima che iniziassero a proiettare i trailer pubblicitari. Immagino che i presenti ci avessero presi per degli scemi.

“Non funzionano,” disse Edward. “I miei sì,” risposi osservandomi la mano. “Ah, aspetta, forse ora vanno,” fece lui per poi sussurrarmi, “Hanno paura che faremo così per tutta la durata del film.”

Non avevamo preso i popcorn. L’uomo di fianco a noi era grasso, e aveva con sé un grosso secchiello di popcorn. Edward notò che lo stavo guardando e mi disse, “Ne chiediamo qualcuno a lui.” I miei fantasmi risolsero la situazione. Dopo un quarto d’ora dall’inizio del film l’uomo grasso se ne andò, lasciando i popcorn sulla poltroncina.

Dissi, “Prendili,” e Edward li prese.

Era la proiezione di mezzanotte. Ci ritrovammo fuori alle due. Davanti al cinema c’era una strana figura. Una donna nera. Se ne stava due scale più in su, contro la parete di stucco. Avrà avuto sui quarant’anni. Indossava un vestito nero informe. Forse era una barbona. Ci osservava.

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“Guarda,” dissi. “Guarda quella donna.”

“Sembra una di quelle che ti sogni la notte.”

“È buffo che tu lo dica a me.”

“Penso sia un uomo.”

Non risposi “Non è affatto umana.”

Poi la donna si spostò, e mi accorsi che era un ragazzo. Aveva una maglietta nera e dei pantaloni fino alle ginocchia, neri. Dissi, “Dai, andiamo in hotel. Prendiamo un taxi.”

Per caso ce ne passò uno proprio davanti, e gli feci cenno di fermarsi. Edward mi seguì sul sedile posteriore. Ma l’autista imboccò un senso unico al contrario, poi girò anche se non si poteva e finimmo su una strada ad alto scorrimento. Volevo dire a Edward cose che non dovrebbero mai essere dette ad alta voce. Alcune cose non si dovrebbero mai dire, e così continuai a ripetere, “Molto, molto strano.”

Nella corsia opposta spuntò una Camaro. Andava all’indietro rispetto al flusso del traffico, e così facendo fiancheggiava Edward e me. Dentro c’erano due giovani uomini neri. Entrambi si voltarono per guardarci.

“È meglio se mi fermo qui,” dissi. Edward rispose, “Mi sento come se fossi stato risucchiato nel tuo universo.”

“Non parlare di queste cose.”

In cinque giorni vedemmo tutti i bei film a disposizione. Cercai anche di portarlo in uno strano ristorante di pesce gestito da un poeta giapponese di cui avevo sentito parlare, ma mi persi e finsi di volerlo accompagnare altrove.

***

Al terzo giorno in città, dopo che avevamo deciso di sposarci, quando Edward avrebbe conosciuto mia madre, iniziammo a bere.

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“Non mi va di andare al bar dell’hotel,” gli spiegai. “È deprimente. È pomeriggio. Ci sono altri posti. Prendiamo un taxi e andiamo al Rub A Dub. C’è la serata reggae.”

Pioveva.

“Voglio prenderti una bella bottiglia di vino,” disse Edward. “Qui non si può. Magari in hotel.”

“Tra poco dobbiamo andare da mia madre. E abbiamo già bevuto il vino, quattro bicchieri.”

Dopo aver finito una bella bottiglia di vino arrivò l’ora di muoverci. Scrissi un messaggio a mia madre, “Abbiamo bevuto del vino.”

“Ne abbiamo anche in casa,” rispose. “L’ho comprato per voi. È nell’armadietto sotto la spazzatura.”

Mia madre aveva rivoluzionato la disposizione dei mobili e rimosso parte del tempietto. Aveva passato l’aspirapolvere e pulito. È una donna ordinata, ma quella volta l’appartamento era a dir poco immacolato. Osservando il lampadario non avevo difficoltà a immaginare fosse salita sul tavolo e avesse smontato i cristalli uno a uno per poi lavarli. Stava condendo l’insalata. Le pietanze erano disposte sul bancone. Le presentai Edward.

“Mia madre dice che è onorata di fare la tua conoscenza.”

“Dille che l’onore è mio. Dille che è ancora più bella di sua figlia.”

“Mia madre è lusingata, e ti prega ti continuare. Chiede anche se vuoi un bicchiere di vino.”

“Dille di sì, grazie. E molte grazie per il disturbo, non era necessaria tutta questa accoglienza.”

“Mia madre dice che gli ospiti sono fonte di gran piacere. Dice che un tempo organizzava spesso cene, e quando possibile preferiva preparare tutto da sé. Dice che qui è tradizione fare così, ma non sa se in America funziona allo stesso modo.”

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Mia madre andò in cucina. Aveva comprato un affare da 40 dollari per ossigenare il vino. Sulla confezione in carta lucida erano raffigurati degli americani intenti a sorseggiare del vino.

“Il vino deve respirare,” disse mia madre.

Portai un bicchiere a Edward, che lo svuotò e aggiunse, “Portamene dell’altro.”

Bevve ancora un po’, e poi disse, “Da giovane Eddie Murphy era fantastico. Semplicemente fantastico. È un comico fantastico.”

Lo tradussi per mia madre, e lei disse, “È vero.”

“Ora non ce ne sono più così: lo chieda a sua figlia. Lei dovrebbe saperlo molto bene.”

Il suo tono rendeva estremamente chiaro a cosa si riferisse, ma mia madre non capiva. Chiese sorridendo, “Che vuol dire?”

Risposi, “Vuol dire che quando ero sola sono andata a letto con un sacco di uomini, e tu e papà non rispondevate alle mie chiamate. Vuol dire che sono una zoccola.”

Mia madre si alzò e andò in camera tirandosi dietro la porta.

“Hai visto,” dissi, “sei ubriaco e hai messo tutti in imbarazzo. L’hai fatta arrabbiare.”

“Già.”

“Sarebbe meglio se ce ne andassimo.”

Chiamai un taxi. Nell’attesa misi da parte gli avanzi e lavai piatti e scodelle. Mia madre aveva già pulito la cucina, quindi non ci fu molto altro da fare. Una volta finito gli chiesi, “A cosa stai pensando?”

“Se tornare in campagna o meno.” “Oh.”

“Domattina mi mandi tutta la mia roba?” “Sì.”

“Così però peggiori le cose.”

Guardai fuori dalla finestra.

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“Mi hai messo in imbarazzo,” disse.

“Mi hai dato della zoccola.”

“Hai fatto sesso con centinaia di uomini.”

“Non centinaia. Saranno una trentina. È una cosa che fanno tante donne.”

“Magari loro hanno il buon senso di mentire.”

Mi alzai e andai a coricarmi sul letto. Cuscini e piumone erano scomparsi; pensai che mia madre li avesse prestati a qualcuno. Mi misi un asciugamano dietro la testa. Mezzora dopo Edward mi raggiunse e si stese al mio fianco. “Cosa fai?” mi chiese.

Ci abbracciammo come due bambini. Dissi, “Sai di Chex Mix.” Erano appena le nove. All’una aprii gli occhi. Diedi una gomitata a Edward e dissi, “Torniamo in hotel.”

“Cosa?”

“Andiamo.”

Si girò. Aveva bevuto molto, così mi rimisi a dormire.

***

“Hai intenzione di alzarti e venire con me e Patience, o rimani lì con quell’uomo?”

Erano le sette e qualcosa, e Edward e io eravamo nella posizione del missionario perché pensavamo avremmo fatto meno rumore.

Risposi, “Penso che rimarrò qui.”

“Ok,” fece mia madre. Il suo tono era eloquente. Edward si spostò di lato e ci scambiammo un’occhiata. “Ha capito,” dissi.

“E come?”

“Dal suono della mia voce.”

“No, non ha capito.”

Edward si schiarì la gola.

“Cosa vuoi fare?” gli chiesi. “Ci vestiamo e andiamo a bere un caffè? Che ne dici?”

Andammo sul lungomare, e ci sistemammo su una panchina di fronte all’oceano. Disse che comprendeva la mia definizione di desiderio. Usò nomi di filosofi che non riconobbi e diede una definizione che non mi apparteneva. Era simile alla mia, o la ricalcava in parte—ma non era la mia.

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Poi prese a insultarmi. Gli risposi nello stesso modo in cui aveva risposto a me. Disse, “Ho lasciato la mia prima moglie perché non riuscivo a farla felice. La donna per cui l’ho lasciata non era speciale; ma la amavo perché la facevo felice. La mia psicologia è molto più semplice della tua: voglio essere amato. E se non sono amato, allora…” Con una mano fece il gesto di buttare via qualcosa.

Risposi, “Torno indietro, vado a leggere.” “Ok, io rimango un po’ qui.”

Rimasi immobile. Si alzò. Si mise sull’erba in posizione supina, con le scarpe a fargli da poggiatesta.

“Così ferisci i miei sentimenti,” dissi. “Ho capito ogni singola cosa che mi hai detto, e sono disgustata. In caso non l’avessi notato.”

“Allora ti senti esattamente come me.”

“Camminiamo.”

Dietro la panchina c’era un piccolo di gabbiano. Volevamo vedere quanto si sarebbe fatto avvicinare. Il gabbiano era nervoso e percepì immediatamente il nostro sguardo. Per lui eravamo predatori. Poi, quasi come un essere umano, cercò di guardare altrove, come per convincersi che erano solo sue paranoie. Facemmo un altro passo avanti e aspettammo. Il gabbiano non si mosse. Un altro passo ancora. L’uccellò ci guardò di nuovo. Gonfiò il piumaggio. Aspettammo ancora. Si mosse, quasi a considerare di prendere il volò, poi rimase a terra. Aspettammo, aspettammo, facemmo un altro passo avanti e a quel punto volò via.

Edward chiese, “Secondo te perché la gente si sposa?”

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“Per varie ragioni.”

***

Edward passò la giornata a bere cercando di non farsi notare. Non tornammo in hotel. Arrivati a sera stava a malapena in piedi e si muoveva in maniera insolita. Insistette per portarmi la borsa. Gli scivolò dalla spalla e cadde per poi rimanere incastrata sotto una sedia, facendolo quasi inciampare.

“Lascia che la porti io,” dissi.

“No,” si rimise la borsa sulla spalla. La borsa gli scivolò di nuovo e rimase incastrata in un’altra sedia. Edward prese a trascinarla, prima sul pavimento, poi sul marciapiede, dove si era spostato per chiamare un taxi.

Una volta saliti prese il cellulare e iniziò a riprodurre un pezzo razzista. Lo pregai di smettere. Ma lui lo lasciò andare fino alla fine, cantando sulla musica e rimproverandomi per la scelta del pezzo.

Dissi, “Secondo te ho 36 anni e non sono sposata perché accetto ogni singolo uomo che incontro? Credi che non sappia stare sola?”

“L’hai appena dimostrato da te,” disse. “L’hai appena dimostrato, perché mi hai offeso.”

“Hm.”

“Vuoi a tutti i costi un uomo e prenderesti il primo che incontri. Tu non mi ami, mi sposi solo perché vuoi un bambino. Sai che sono fertile.”

Mi sdraiai su di lui. Era mezzanotte passata. Avevo paura a rimanere da sola con Edward. Ero arrabbiata. Gli chiesi un’altra volta di stare buono, e lui rispose, “Ho tutto il diritto di ascoltare un po’ di musica.” Mi rimisi seduta e chiesi al tassista di andare verso casa di mia madre. Edward, interpretando il tono della mia voce e i gesti, disse, “Basta cercare il palazzo simile a un motel invaso da barboni.”

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***

Mia madre stava dormendo. Preparai del latte caldo per Edward. Una volta addormentatosi notai il suo cellulare. Osservai lo schermo. Si stava scambiando messaggi con una tale Sandra Williams. Quel giorno lei gli aveva scritto: “Ho sognato che ti eri sposato con una psichiatra di 45 anni.”

Le risposi, “Ahah, perché sognavi una cosa del genere?! :D”

Aspettai un po’, poi pensai che probabilmente stava dormendo. Scrissi, “Starai dormendo, o magari scopi col tuo cagnetto.”

“La prossima volta che viene soffocalo, tipo asfissia erotica. Poi triti la carne del suo uccello e ci fai dei momo :D”

Un numero che non era registrato in rubrica aveva inviato questo messaggio, “È da pazzi, io te lo dico.”

Scrissi, “Chi è?” “Mi prendi in giro?” “No.”

“Tutto bene?”

“Sì, :D”

“Sono la persona con cui stai da un anno!” “E cos’è che è da pazzi?” risposi.

“Chiamami appena puoi.”

“È da pazzi il fatto che ti ami?”

“Perché dici così?”

Andai in bagno. Trovai una scatolina di cristalli di permanganato di potassio. Svegliai Edward e gli dissi, “Elettroliti.”

“Eh?” Stava iniziando a smaltire la sbornia. Voleva essere abbracciato. Stese le braccia verso l’alto perché mi sdraiassi con lui.

Ripetei, “Elettroliti, per i postumi. Hanno un sapore schifoso, ma dopo ti sentirai meglio.”

“Mm.”

“Devi solo mandarli giù tutti. Questi qui,” gliene mostrai una manciata. “Mettili in bocca e manda giù subito senza aspettare di sentire il sapore. Bevi,” gli passai una brocca d’acqua.

Fece come gli avevo chiesto. Il mattino dopo era morto. Vorrete sapere cosa è successo dopo. I miei fantasmi neri mi hanno dato una mano, felici. Penso che per i fantasmi di Edward sia stata più dura. E per un po’, prima che la notizia della sua morte arrivasse in America, mi divertii a giocare con loro sul suo cellulare.

Altro dal numero:

Incidenti automobilistici nel Golfo

Candy e i suoi coltelli