Intervista all'illustratore delle copertine di Piccoli Brividi

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Intervista all'illustratore delle copertine di Piccoli Brividi

Piccoli Brividi è stata una collana di libri soft-horror per ragazzi degli anni Novanta. Dato che buona parte del successo è dovuto alle loro bellissime copertine, ho parlato con l'uomo che le ha illustrate.

Come ricorderete, Piccoli Brividi è stata una collana di libri soft-horror per ragazzi di grandissimo successo negli anni Novanta. I personaggi avevano nomi come Lucy/Lizzy/Billy/Andy e l'autore, R.L. Stine, tendeva sempre a descrivere con precisione i loro vestiti. A essere sinceri, è difficile individuare il motivo per cui i Piccoli Brividi sono diventati così popolari, a parte il fatto che avevano delle copertine fantastiche.

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La mente dietro quelle illustrazioni era quella di Tim Jacobus. Nel 1991 la Scholastic, una casa editrice di libri per ragazzi, gli aveva offerto l'opportunità di lavorare a una nuova serie di libri horror. Lui aveva accettato, e nei 20 anni successivi ha illustrato oltre 100 libri.

Nello stesso periodo, io avevo nove anni e cercavo di copiare il suo stile. C'era qualcosa di bellissimo nelle sue rappresentazioni colorate e spaventevoli dell'America. È da allora che desideravo parlare con lui. Come avevano fatto, lui e R. L. Stile, a ottenere una formula così perfetta? Alla fine l'ho chiamato per chiedergli proprio questo.

VICE: Partiamo da te. Come sei diventato un illustratore?
Tim Jacobus: Quando andavo al liceo, i disegni che mi piacevano di più erano quelli sulle copertine dei dischi, specie quelli fatti da un tizio di nome Roger Dean. Lui aveva disegnato delle copertine piuttosto surreali per gli Yes, e io volevo disegnare come lui. Ho avuto molta fortuna, perché il mio professore era ex marine, un tipo molto duro che poi è diventato amico di mio padre. Un giorno gli ha detto, Tuo figlio ha del talento. Se ci provasse, potrebbe farcela. Così ha convinto mio padre, e da lì in poi ho iniziato a dedicarmi all'illustrazione.

Perché hai scelto proprio i libri?
Perché puoi migliorare solo se lavori sui grandi numeri, e negli anni Ottanta e Novanta erano i tascabili a fare i grandi numeri. I primi due libri che ho illustrato si intitolavano Fugitive in Transit e Brain Incorporated, pubblicati da una casa editrice che si occupava di fantascienza, la Daw. Per diversi anni non ho avuto molti soldi, ma piano piano ho iniziato a potermi permettere le mutande e le calze. Poi per qualche motivo mi è arrivata una serie di lavori uno dopo l'altro, e ho smesso di pensare che ogni incarico che ottenevo avrebbe potuto essere l'ultimo.

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Quand'è che hai sentito parlare per la prima volta di Piccoli Brividi?
Avevo sentito che la Scholastic stava provando a lanciare quattro romanzi horror per ragazzi scritti da tale R.L. Stine, ma all'epoca nessuno pensava che avrebbe funzionato. Io avevo fatto la copertina di La casa della morte, ottenendo l'incarico solo perché usavo un sacco di colore e loro pensavano che il colore avrebbe attirato i giovani lettori.

Poi ne avevo fatta qualche altra, finché un giorno non erano venuti a trovarmi alcuni amici. Avevano tutti dei figli che andavano alle medie, e un certo punto ci eravamo messi a parlare di quello che facevamo nella vita. Io avevo detto, "Sto lavorando a una collana, 'Piccoli Brividi'" E loro mi avevano detto, "Davvero? Noi li compriamo tutti. Sono fantastici!" Poco dopo quella conversazione, ho iniziato a vederli ovunque.

Cosa ne pensi oggi dei libri?
Be', non sono dei capolavori ma non sono neanche malaccio. Inoltre grazie a loro un sacco di ragazzini che non avrebbero mai preso in mano un libro si sono avvicinati alla lettura.

Parlami un po' dello stile. Le illustrazioni sono tutte molto patinate, luminose e contorte.
Per Piccoli Brividi ho usato sia la pittura che l'aerografo, che gli dà quel tocco patinato di cui parli. Da Mostri dallo spazio in poi ho iniziato a distorcere la prospettiva. In quella copertina era raffigurata una cucina, una cosa che è difficile rendere interessante, così ho deciso di distorcere i mobili e le piastrelle del pavimento.

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Qual era la routine che seguivi quando lavoravi?
Mi svegliavo sempre alle 5 di mattina, e mi ci volevano anche 30 o 40 ore per fare una sola copertina. Anche adesso inizio a lavorare la mattina presto, e ascolto sempre la musica. Ascolto gli Yes e il progressive rock. A giugno andrò a sentire Steven Wilson dei Porcupine Tree.

Fico! Sei diventato ricco disegnando le copertine di Piccoli Brividi?
No. Mi pagavano bene, ma lo stipendio non era proporzionato alle vendite. Per me non faceva nessuna differenza che vendessero dieci copie o che ne vendessero a milioni. E infatti adesso non vivo in un castello.

Invece R. L. Stine lo è diventato?
Sì. Sono stato a casa sua, un posto davvero carino a Manhattan.

Sei diventato famoso?
Se giro per strada nessuno mi riconosce. Ma la cosa strana è che se, parlando con te o con qualcuno dall'altra parte del mondo, cito Mostri dallo spazio tutti sanno di cosa si tratta. Questa cosa mi fa davvero impazzire.

Qual è il segreto per cavalcare una moda passeggera?
Sta tutto nella tempistica. Non voglio sminuire il lavoro di Stine, ma è arrivato al momento giusto con la cosa giusta. Ci hanno messi insieme ed è successo qualcosa di magnifico. Ma non so quale sia la formula. Non credo neanche che se rifacessimo le stesse cose oggi arriveremmo anche solo vicini al successo che abbiamo avuto allora. Devi applicarti molto e avere delle buone capacità di partenza, ma alla fin fine c'è sempre anche un elemento totalmente casuale.

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Come ti sei sentito quand'è finito tutto?
Ero triste. Non parlerei di depressione, ma ero davvero triste. Immaginavo che sarebbe successo, ma non mi aspettavo una fine così brutale. Stavamo lavorando alla serie di Piccoli Brividi per il 2000, e io stavo finendo una copertina. Ho ricevuto una telefonata e mi è stato detto, "Non finirla nemmeno." Erano i primi anni Duemila, e i Piccoli Brividi erano finiti.

Ripensando alla tua esperienza, a cosa vorresti che facesse più attenzione il lettore tipo?
Forse proprio all'idea stessa di lavoro creativo. Devi essere la persona giusta per farlo, perché non è una cosa facile, proprio per niente. Quando fai un lavoro del genere devi affrontare un sacco di rifiuti e di critiche, e devi imparare ad accettarle in fretta e in maniera costruttiva. Ad essere sinceri, se mio figlio mi dicesse che vuole fare l'illustratore, glielo impedirei. È una vita difficile e molto instabile. Detto questo, comunque, non tornerei agli anni di Piccoli Brividi. L'ho fatto, è vero, ma ora ho 56 anni. Adesso penso solo al futuro.

Intervista di Julian Morgans. Seguilo su Twitter.

Per vedere altri lavori di Tim, visita il suo sito.