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Da Milano a Gaza: combattere nell'esercito dei prescelti

Intervista a un ragazzo italo-israeliano che a 18 anni ha dovuto mollare tutto per arruolarsi nel "temibile" esercito israeliano.

Non esistono persone passive rispetto al conflitto fra israeliani e palestinesi. Non ci sono donne quasi-gravide e non ci sono persone con una vaga opinione su chi sia la vittima e il carnefice in quella zona del mondo. Siamo tutti certi al 100 percento su chi abbia ragione, anche se il più grosso problema che subiamo personalmente è avere i servizi su troiette governative e calciatori spostati di cinque minuti quando c'è qualche nuovo bombardamento o strage. Recentemente sono venuto a conoscenza di un ragazzo italo-israeliano che invece ha vissuto personalmente l'esperienza di dover mollare tutto a 18 anni per doversi arruolare nell'IDF, il temibile esercito israeliano, e gli ho voluto chiedere com'è vivere tutto questo sulla propria pelle.

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VICE: Sei nato qui in Italia o in Israele?
Shaul: In Italia. Mia madre è italiana e cristiana e mio padre ebreo israeliano. Mi sono trasferito in Israele poco dopo aver iniziato la prima elementare. Ho addirittura fatto l'asilo dalle suore.

Come fanno i bambini, che immagino venire da tutto il mondo, a integrarsi e a comunicare fra di loro e con gli israeliani nativi?
La cosa bella di Israele è proprio questa, trovi tutte le culture e le nazionalità del mondo in un unico luogo. Siamo tutti collegati in origine a questo posto e alla fine torniamo tutti, ognuno con le proprie esperienze. Parliamo fra di noi in ebraico, non yiddish come molti pensano. L'yiddish è un "dialetto" nato fra l'ebraico e il tedesco.

Hai mai vissuto in un kibbutz?
Vissuto per lunghi periodi no, però ci sono stato. La vita lì è geniale. È stata la prima forma di comunismo. Tutto è condiviso con tutti. Cucina, bagni, vestiti. Tipo se vai a lavare le tue mutande, e le butti nel cesto, ci può essere qualcun altro che ha la tua stessa misura che le può prendere. Nessuno possiede qualcosa. Credo che questo modo di vivere abbia contribuito molto, negli anni Quaranta e Cinquanta, a creare lo Stato d'Israele. Oltre a sviluppare un senso di comunità, gli abitanti dei kibbutz hanno costruito dove non c'era niente. La strada principale di Tel Aviv ai tempi era solo una grossa palude e loro hanno ribonificato tutto.

Non sono come gli Amish negli Stati Uniti, staccati dal mondo, senza elettricità o la televisione?
No, no, hanno tutto. Internet, tv, elettricità. Solo hanno altre esigenze. Anche se conosco diversi ragazzi nati e cresciuti in un kibbutz ed effettivamente sono persone diverse da quelle cresciute in una società "normale".

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Com'è stato crescere fra le sirene degli allarmi anti-missile e i kamikaze nelle discoteche?
Si cresce vivendo giorno per giorno.

Cioè si esce pensando tipo "Questo potrebbe essere la mia ultima notte" o si cerca di allentare la tensione in qualche modo?
Stai in allerta. Magari ti guardi in giro per controllare le facce e le espressioni delle persone. Ma uno non può vivere sempre la propria vita così, è impossibile. Si cerca di non pensarci, anche se sentivo sempre qualcosa che mi riportava alla realtà della situazione. Tipo in Israele nei centri commerciali o nei negozi all'ingresso c'è sempre un controllo metal detector con le guardie che ti possono anche perquisire se necessario. È un modo per evitare gli incidenti del passato.

È un controllo casuale, spero.
No, capita a tutti. Donne, vecchi, bambini. Tutti.

Hai mai avuto qualche amico, o qualcuno in famiglia colpito da un attentato?
Diversi. La prima volta è successo alle medie, un mio compagno di 13 anni era sull'autobus per venire a scuola che poi è saltato in aria. Lui miracolosamente si è salvato, è stato in coma per diversi mesi con schegge nel cervello che sono state estratte durante parecchi interventi. Ora vive con delle placche protettive di non so quale materiale.

L'hai visto cambiare, quando poi si è ripreso ed è tornato alla quotidianità? Era incazzato con il mondo o felice di essere sopravvissuto?
Quando capita qualcosa del genere ti rendi conto che non hai controllo su nulla, che la tua vita può cambiare in un nanosecondo. Però devi capire una cosa: a noi giovani israeliani della guerra non importa nulla. L'idea che siamo infoiati per andare a sparare o combattere è completamente fuori dalla realtà. Non pensi ogni giorno "A morte la Palestina!", ci siamo stufati di sentire quotidianamente di esplosioni, morti e attentati al telegiornale. Credo che la nostra generazione abbia imparato dagli errori del passato, e magari anche del presente. Anche il mio amico, nonostante tutto quello che ha subito, pensa questo. Vogliamo solo vivere. Nessuno di noi è arrabbiato con i ragazzi palestinesi della nostra età, ma con la situazione che esiste. Loro vengono spesso anche plagiati e pilotati da qualcuno più in alto, senza avere alternative.

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Cos'è il Sionismo per te?
Gerusalemme è stata indubbiamente sempre di tutti, cristiani, ebrei, musulmani. Però gli ebrei hanno avuto una grande parte nella costruzione della città. Se torni al tempo dei romani, in Giudea, erano ebrei, anche se costretti a essere cristiani. Io sono ateo, ma sono favorevole al fatto che tutti possano avere i propri templi e pregare il proprio dio, il concetto che "Israele debba essere cancellata dalla mappa" è però inaccettabile. Non credo che ci sarà mai una nazione unita, perché ogni popolo vuole la propria cultura e indipendenza, ma si dovrà imparare a vivere insieme. Purtroppo non si trovano soggetti politici, anche in Israele, in grado di portare avanti la pace. Io letteralmente non so su cosa è basata questa guerra. La Palestina può essere benissimo uno stato, ma deve essere un procedimento democratico.

Secondo te Hamas non è un movimento democratico?
Assolutamente no.

Però sono stati votati dalle persone. Hanno vinto più elezioni.
Sì, ma come? Se ti puntano una pistola alla testa tu per chi voti? Usare bambini come difesa fa parte della democrazia? La differenza è che quando un civile viene ferito o ucciso è una tragedia in Israele, quando accade ad Hamas è una vittoria mediatica.

Come funziona l'arruolamento nell'esercito israeliano?
È obbligatorio per tutti, poco dopo aver finito il liceo. Agli uomini toccano tre anni, alle donne due. Però c'è un periodo a 14, 15 anni in cui devi fare dei test che verranno usati poi per decidere la tua carriera militare. Tipo rispondere a delle domande in cui si cerca di determinare la tua predisposizione e voglia. Poi esami di fisica, matematica, logica. Quando ti chiamano, in base ai tuoi risultati psicometrici e scolastici, ti propongono tre scelte. Ti dicono "secondo noi potresti fare l'ingegnere in aeronautica, o il sistemista in marina" e così via. E tu scegli, nessuno ti obbliga a fare solo una cosa in particolare. Ci sono anche gli obiettori di coscienza, più per motivi religiosi e di tradizione che per altro. Se vuoi evitare l'esercito per motivi personali puoi farlo, ma è una procedura veramente lunga e complessa.

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Come hai vissuto gli ultimi mesi di libertà prima di iniziare il boot camp?
Nessuno vuole arruolarsi, nessuno. Ho viaggiato per tutta l'Europa. Sono andato in Spagna, in Inghilterra e poi è arrivata una lettera che anticipava la mia partenza e sono dovuto tornare di corsa.

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Il primo giorno com'è stato?
Be', assurdo. Come Full Metal Jacket. Arrivi stranito e confuso e ti trovi l'istruttore, già soldato, che ti urla ordini e richieste e magari ha solo un paio di anni in più di te.

Ti ricordi il primo discorso che ti hanno fatto?
Sì, hanno reso ben chiaro che stavamo entrando in un sistema militare e dovevamo seguire quello che ci avrebbero detto.

Hai vissuto la tua chiamata come un dovere civile o un obbligo ingiusto?
A quell'età sicuramente no, io non lo volevo fare, anzi ero pure contrario. Poi crescendo capisci che non c'è altra alternativa, se non sei tu che lo fai, chi lo fa al posto tuo? Poi c'è anche il fatto che ci sono passati tutti. Mio padre, i miei fratelli, cugini, amiche, amici. Sai quelle scene nei film di guerra americani in cui i veterani che hanno vissuto raccontano delle esperienze militari ai civili ignari? In Israele non esiste assolutamente, perché se tutti dovessero raccontare la propria nessuno starebbe più zitto!

Tu che ruolo avevi nell'esercito?
Io mi occupavo di intelligence. Non ti immaginare robe alla James Bond, era un lavoro di ufficio, più che altro. Ho fatto l'addestramento di due mesi come tutti e poi ho cercato di fare il meno possibile, perché non mi interessava partecipare agli scontri. Ho fatto la classica vita del militare. Sveglia alle cinque del mattino, letto, barba, capelli, bagno e vestitura in sette minuti. Alle sei in fila a gruppi davanti alla mensa con il sergente che mi dava gli ordini del giorno e controllava la lunghezza della barba o se l'estetica dei lacci degli scarponi fosse conforme alle regole dell'esercito israeliano.

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Com'era la tua giornata tipo?
Il mio ruolo nell'intelligence riguardava i tank, quindi ero stazionato in questa base di carristi nel sud d'Israele. Eseguivo quello che mi veniva richiesto e poi aspettavo il weekend per tornare dai miei a Tel Aviv con un autobus degli anni Sessanta scassatissimo. La notte quando gli ufficiali superiori dormivano mi facevo qualche giro sui tank.

Che missioni ti venivano affidate?
Ogni tanto ci abbandonavano nel deserto, letteralmente in mezzo al nulla e con poche provviste, e dovevamo raggiungere degli obiettivi.

Spesso escono fuori delle immagini dell'esercito israeliano che contrastano con l'idea che abbiamo qui in Europa di come dovrebbe essere la vita in guerra, specialmente rispetto alle immagini di sofferenza e distruzione provenienti dai territori palestinesi. Tipo ragazze in bikini al mare con in spalla una carabina, o in divisa con una borsa di Prada, ragazzi che scherzano con missili e bombe. Come ti spieghi questo modo "casual" di vivere la vita militare?
Molti non lo sanno, ma quando entri nell'esercito ti viene affidata la tua arma, e sei responsabile 24/7 di quello che le può accadere. Se la perdi sono cazzi amari, si parla di lunghi periodi di galera e punizioni. Quando porti il tuo M-16 fuori da una base poi sei costretto ad averlo sempre a portata di mano. Come ti dicevo, solo pochi fanatici sono veramente contenti di far parte dell'esercito e andare in guerra, i ragazzi cercano di sdrammatizzare il più possibile i loro due o tre anni da militare.

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Dei tuoi incontri con la guerriglia palestinese cosa pensi?
Rispetto qualcuno che attacca obiettivi militari, anche con metodi non convenzionali. Ma chi usa donne e bambini è un vigliacco. Devi fare il soldato? Fai il soldato e uccidi i soldati. Perché i missili che hanno lanciato in questi giorni li puntano sulle case dei civili, invece che postazioni militari?

Permessi di uscita ne hai mai avuti?
Quelli sono impossibili da avere se non per motivi medici, e il dottore della base ha sentito tutte le storie del mondo, quindi devi ingegnarti per bene. Io, in momenti particolarmente giù, mi sono inventato di tutto. Zoppicavo, mi sono fatto male da solo slogandomi il polso. Altri facevano cose simili. Anche se devo dirti che gli ultimi due anni sono stati più semplici e tranquilli per me.

Quando hai terminato il servizio militare come ti sei sentito?
Be', una liberazione. Qualche giorno dopo aver finito sono partito per un altro viaggio in Europa e poi sono tornato in Italia per studiare e cominciare la mia vita normale.

Sono stati anni sprecati o utili?
No, utili. A quell'età, come ti dicevo, avrei fatto di tutto per saltare la leva, ma alla fine, pensandoci ora, la rifarei. Mi ha aiutato molto a crescere e responsabilizzarmi.

Politicamente come sono divisi i giovani in Israele?
In Israele purtroppo ora ci sono degli estremisti di destra al potere. Alcuni di loro li potresti anche definire estremisti religiosi che seguono strategie tutte loro. La mia generazione non è dissimile da quella in Europa. Abbiamo avuto anche il movimento Occupy che ha occupato la scorsa estate a Tel Aviv contro i tagli alla scuola e la crisi internazionale. Tra di noi sicuramente c'è chi è per la guerra e le risoluzioni violente, ma c'è anche un movimento pacifista e uno estremista-pacifista.

Estremista-pacifista?
Io mi vedo abbastanza pacifista-moderato. Però vedo molti che vanno dall'altra parte del confine a manifestare con Hamas come israeliani. Non condivido chi supporta il terrorismo contro i civili.

Com'è cambiata Israele da quando te ne sei andato? Si vive meglio o peggio?
Io sono tornato a 22 anni in Italia e ritorno ogni estate. Tel Aviv è un posto speciale; non c'è altra città al mondo così. Ha il suo animo israeliano, con la vita che va avanti nonostante tutto. Locali, ristoranti, discoteche—tutto aperto 24 ore su 24. C'è sempre gente in giro. Paradossalmente, nonostante tutto, Israele è un luogo molto più libero dell'Italia. Mi ricordo a 12 o 13 anni con i miei amici sempre in giro, fino a mattina tardi, da soli, a piedi.

Vuoi dire che la guerra ti fa godere di più della tua vita?
Sicuramente, anche se può apparire un cliché. Si vive molto di più la giornata. Poi devi capire che la vita in Israele è molto spartana. C'è poco lavoro, non si guadagna molto e gli affitti sono alti. Nessuno fa la bella vita. Se vai in giro vedi macchine coreane o indiane o modelli europei fermi agli anni Novanta. Però non la cambierei per nessun posto al mondo.

Segui Matteo su Twitter: @bknsty