Le linee di questo murales segnano i futuri livelli dell'acqua a Venezia
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Le linee di questo murales segnano i futuri livelli dell'acqua a Venezia

E chi passa lungo il Canal Grande inizia a farsi qualche domanda.

Se non ci decidiamo a fare qualcosa, il rischio che Venezia diventi presto la nuova Atlantide è piuttosto concreto. No, non la stiamo facendo tragica. No, non siamo di Greenpeace. Sì, abbiamo delle prove scientifiche a sostegno di questa tesi. No, non saremmo particolarmente entusiasti di veder indossare tutti i giorni ai veneziani gli stivali di plastica che arrivano fino all'inguine. Visto che entro il 2100 si prevede un cospicuo aumento del livello del mare, molte zone della costa italiana sono a rischio allagamento. La laguna veneziana, per ovvie ragioni, è tra le più vulnerabili, e gli effetti del fenomeno sono già evidenti.

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Quanto sia importante salvare Venezia è chiaro. Il fatto è che nel relazionarsi al problema c'è la solita immobilità di fondo a cui va chiaramente data una scossa, sensibilizzando istituzioni e opinione pubblica. Quando le trombe della scienza non risuonano abbastanza forte, l'arte può essere un modo per risvegliare le coscienze. Andrea Andreco, artista-ingegnere romano, ha appena realizzato il primo wall painting sul Canal Grande della storia della città: un'opera lunga 100 metri in cui ha dipinto i livelli che l'acqua potrebbe raggiungere — secondo studi scientifici accreditati — nei prossimi decenni. I passanti, per ora, sembrano un po' inquietati.

Abbiamo parlato con Andrea del suo ruolo di artista impegnato nelle cause ambientali con il suo progetto Climate, dell'importanza delle piante, e dell'istinto omicida che ogni tanto ci viene verso certe figure istituzionali che continuano a disinteressarsi del riscaldamento globale.

Andreco, CLIMATE 01, Parigi – Produced by Pigment workroom and GFR

Andreco - CLIMATE 01 – Parigi. Foto: Mario Nardulli

Motherboard: Sei un artista e un ingegnere ambientale. Una combinazione bizzarra, che però forse spiega perché ti stanno a cuore certe tematiche.
Andrea Andreco: Sì, ho un dottorato in ingegneria ambientale, e ho condotto studi post-dottorato sulle infrastrutture verdi per la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici. In passato queste mie attività restavano separate, con il progetto Climate per la prima volta unisco ufficialmente la mia ricerca artistica e scientifica.

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Quando e come è nato il progetto Climate?
Il progetto è nato nel 2015 a Parigi, in concomitanza con la Conferenza COP 21. Ha coinvolto varie città, ed è composto sempre da tre elementi: un murales che sottolinea la problematica, un'installazione che propone una soluzione e un talk in cui viene spiegato il concept del lavoro e affrontato il dibattito sul clima a livello scientifico. A Venezia non potevo non trattare la questione dell'innalzamento del livello medio del mare e le onde estreme.

Su quali dati e studi ti sei basato, principalmente, per tracciare le linee della futura acqua alta?
Mi sono basato su articoli scientifici provenienti da gruppi di ricerca internazionali e organizzazioni come The Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Delta Committee, WGBU e dai ricercatori del CNR Ismar. Con le linee sono partito dal 2017 alla base del muro, salendo di 20 cm per il 2040, 50 per il 2080. Per il 2100 si parla di almeno 75 cm. Ho riportato anche l'ipotesi del Prof. Rahmstrof, che stima una media intorno ai 130 cm per il 2100 considerando un supporto sostanziale dovuto allo scioglimento dei ghiacci, fino ad arrivare ai 200 cm stimati dalla Delta Comitee Olandese per il 2200.

L'installazione che accompagna il murale, invece, cos'è?
L'installazione è composta da piante e una scultura in ferro di quasi sette metri; è un tributo alle piante della laguna e al loro ruolo nel preservare l'esistenza di Venezia. L'opera trae inspirazione da un articolo scritto da Debora Bellafiore che dimostra come un innalzamento veloce del livello del mare porterebbe a conseguenze molto dannose su tutta la laguna proprio per la scomparsa di queste piante. L'installazione rientra nella mia pratica artistica in cui elevo ad opera d'arte i processi chimico-fisici che avvengono in natura, per celebrare il loro ruolo negli ecosistemi.

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È stato difficile relazionarsi alle istituzioni cittadine per realizzare un progetto del genere, che per certi aspetti ti sbatte in faccia una problematica scomoda?
Devo dire che quando l'ho presentato è stato accettato con molto interesse dalle varie istituzioni locali. Ovviamente poi c'è voluto tantissimo per ottenere tutti i permessi, una burocrazia che fa di tutto per farti desistere. Una volta iniziato il wall painting l'accoglienza è stata molto positiva. Mentre dipingevo le persone che passavano si venivano a informare, mi chiedevano se davvero l'acqua sarebbe arrivata a quei livelli. I veneziani in realtà sono molto coscienti del problema, probabilmente cercano solo di non pensarci.

ll tuo lavoro artistico lo intendi come una forma di attivismo a tutti gli effetti, no?
Diciamo che sono sempre stato in prima linea nel dibattito sulla gestione delle risorse idriche ed energetiche, a favore delle rinnovabili e contro i combustibili fossili. Sostengo cause ambientaliste e mi occupo di questi temi praticamente da 15 anni. Il fatto è che spesso nei contesti accademici purtroppo il dibattito non esce dalla nicchia della ricerca. L'arte di strada è un modo per tradurre temi profondi in termini accessibili, senza per questo doverli semplificare o banalizzare. Non è un vero lavoro di comunicazione, vuole creare una domanda in chi le guarda.

Secondo te esistono delle soluzioni da adottare sul breve/medio termine per arginare il problema? O l'unica speranza è appendere al muro Trump, Putin, Xi Jinping & co?
Banalmente c'è bisogno di una transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, ridurre le emissioni, creare sempre più aree verdi anche in città, tutelare le zone lagunari dove avvengono i processi di fitodepurazione e dove si creano dei cuscinetti di protezione delle aree costiere. Lo sviluppo di infrastrutture verdi, secondo me, è ideale per l'adattamento e la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. In uno dei miei lavori ho scritto che "le piante stanno all'ecosistema come i rivoluzionari stanno alla società." Dobbiamo solo iniziare a lavorarci, e se certe figure istituzionali continuano a stare dietro alle lobby del petrolio, l'unica cosa che ci resta da fare è allearci con delle iniziative dal basso.

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