Rituali e sciamani: la storia del caffè nei paesi che lo esportano
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Cibo

Rituali e sciamani: la storia del caffè nei paesi che lo esportano

Quella piantina che arrivò dall'Europa al Sud America, e che non aveva molte possibilità di farcela.
Andrea Strafile
Rome, IT

Questo post fa parte de La Guida di MUNCHIES al caffè, realizzato in collaborazione con Lavazza

Per un momento della mia vita ho deciso di bere tè la mattina, ma è durato due giorni.

Il primo pensiero appena sveglio corre inesorabile a quella manciata di metri da percorrere fino alla moka, unica ragione per raccogliere tutte le forze.

Acqua fredda fino al capezzolo di metallo, la montagnella morbida all'altezza giusta (cercando di non versare nemmeno un granello per testare le facoltà cognitive), una stretta finale col canovaccio e fiamma bassa.

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Il tempo che passa tra la semi-catatonia e il gorgoglio della gioia è fatto per ripensare al letto e per leggere messaggi sconto di negozi di arredamento a cui non hai mai dato la tua mail, sapendo che il premio è il primo odore buono della giornata.

E il merito è di una sola piantina e del suo arrivo in Sud America.

Dai porti dello Yemen in Egitto, che presto divenne Impero Ottomano. Il caffè trova così la sua scappatoia per la cara vecchia Europa, portato a Venezia da Costantinopoli grazie alle buone parole del medico botanico Prospero Alpini.

I chicchi sono ormai in tutto il Vecchio Continente. Nascono i Caffè, le koffeehaus, chiudono perché luoghi di incontri sovversivi, l'Olanda comincia a coltivare le piante nella sua colonia di Giava, fino a quando non decide di esporne alcune all'orto botanico di Amsterdam.

La Francia si porta via due esemplari, le carica su una nave e le spedisce in Martinica. Una si salva, l'altra no. Non importa, perché il caffè ha appena raggiunto i Caraibi e l'America Centrale con grande successo. In tutta risposta l'Olanda parte per la Guyana con le sue creature e approda in Brasile.

Avete rischiato di fare colazione con acqua e limone.

Con il suo clima il Brasile è tanto perfetto per le piante da caffè da superare anche oggi, con il mercato asiatico alle calcagna, più del 50% della produzione mondiale, otto milioni e mezzo di km quadrati. Se si aggiungono Colombia, Messico, Guatemala, Honduras e Perù, si capisce che difficilmente c'è territorio più adatto alla coltivazione di queste piccole ciliegie verdi e rosse quanto l'America Centro Meridionale.

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Il Qahwa, che in turco diventa Kahve e quindi il nostro Caffè, si diffonde ovunque, a tutti i livelli.

Tutti lo vogliono: i medici lo prescrivono, i viticoltori francesi lo screditano per vendere vino senza successo, il Papa lo incoraggia, i nobili di Versailles lo usano per eccitarsi, i sufiti per pregare, io per svegliarmi e Demi Moore lo assume in forma di clistere per mantenersi giovane.

Quella del caffè non è solo la storia di un viaggio fortuito. Intrecciata c'è quella dei popoli, altrettanto lunga, sicuramente più affascinante.

Se da una parte del mondo una tazza di caffè è un rituale, dall'altra, le monocolture a perdita d'occhio sono insieme l'odio e l'amore.

Le piantagioni brasiliane erano interamente coltivate da schiavi, milioni dei quali giunti dall'Africa.
Quando stai a contatto tutta la vita con la terra, diventi quella terra.

Riti e caffè erano le cose che più conoscevano, che ancora conoscono.

Una tazza dopo l'altra si fa corpo la religione del Candomble', monoteista, in cui Dio è natura, ma è anche il Dio cristiano, al quale si arriva attraverso profondi stati di trance indotti dal caffè freddo. Gli uomini e le donne si lasciano possedere dalle divinità minori per far passare i loro messaggi. C'è una divinità per ogni cosa, non tutti sono prescelti, ma quelli che lo sono congiungono la terra al cielo. Africa e Brasile si fondono nella forma più potente di aggregazione usando il caffè non come rituale ma come strumento vero e proprio.

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E sì, se ve lo stavate chiedendo, le macumbe si compiono ancora nelle piantagioni, strafatti di caffè zuccherato.

Qualunque cosa succeda, nessuno escluso, non manca mai la speranza: il chicco è fonte d'orgoglio tanto quanto lo è il Brasile come patria. Si ama l'Arabica morbida e profumata, si spera per la più forte Robusta, che negli ultimi tempi se la passa tanto male per la siccità.

Senza umidità la pianta non vive. Ecco perché alcune delle migliori qualità di Arabica crescono alla perfezione sulle Ande del Perù.

Indigeni dagli occhi a fessura e poncho colorati, stanno sulle ostiche montagne masticando foglie di coca per coltivare una delle Arabiche migliori al mondo. Il caffè è per loro sempre stato motivo di commercio, più che di consumo. Si incamminano con il raccolto fino ai paesi maggiori per vendere il loro prodotto.

Sono pochi, ma saggi. Da una condizione estrema hanno deciso di aiutarsi a vicenda unendosi in piccole associazioni di Fare Trade per garantirsi un commercio stabile e la certificazione bio.

Magari i discendenti degli Inca non ne bevono spesso, ma è tutta la loro vita in quella Ruta de Cafe che li unisce tanto da farne i leader dell' Organic & Fair Trade.

Ora che conosciamo, pensiamoci.

Guardate la tazzina piena di crema e ricordatevi che quello non è solo il vostro caffè.

Questo post fa parte de La Guida di MUNCHIES al caffè, realizzato in collaborazione con Lavazza