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Intervista alla persona che dovete ringraziare per il tempo che perdete su Netflix

Lisa Nishimura è la capa della sezione documentari di Netflix. Le abbiamo fatto qualche domanda.
Foto via Hot Girls Wanted.

Un anno fa ho cominciato a sentire parlare in maniera sempre più insistente di un documentario intitolato Tickled: una storia, mi dicevano, di feticismo del solletico, "ma fidati, è da vedere assolutamente." Nessuno si sbottonava di più. E così, visto che era su Netflix, dopo un po' ho deciso di vederlo nonostante l'argomento non mi sembrasse dei più appassionanti. Ora anche io, come chi me lo consigliò a suo tempo, non posso dirvi molto di Tickled se non l'avete già visto. Posso solo garantirvi che merita. Ma il fatto che un documentario bizzarro come questo non finisca solo in un festival del settore ma sia disponibile per un pubblico così vasto è uno degli indizi del cambiamento vertiginoso che sta interessando il mondo del documentario—un mondo che negli ultimi anni ha attirato un interesse sempre crescente.

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Non sto parlando del documentario naturalistico, che occupa spazi in tv assiduamente da decenni. A dire la verità anche qui, al di là dei prodotti della famiglia Angela, l'Italia è malconcia. Ci sono i canali tematici, Discovery e Nat Geo, che però subiscono un'erosione da parte dei factual e delle bizzarrie estreme—se non ci sono famiglie di disadattati o fauci di squalo spalancate a rallentatore, il pubblico italiano si disinteressa. C'è Rai 5 che fa un lavoro lodevole per gli appassionati. Ma la domanda è talmente altalenante che uno dei prodotti migliori di sempre, Planet Earth 2 della BBC, è andato in onda nel disinteresse generale come una robetta qualsiasi su Rete4. Nel Regno Unito è stato il programma naturalistico più visto degli ultimi 15 anni.

Dove c'è stata una crescita esponenziale è invece nel genere non naturalistico, soprattutto per il pubblico più sofisticato. Si guardano di più, se ne parla di più, si consigliano di più e ci si tuffa a guardare le serie di documentari true crime come più di dieci anni fa si faceva con Lost. Il merito è anche e soprattutto di una piattaforma, Netflix, e di una persona, Lisa Nishimura.

Lisa Nishimura è la vicepresidente di Netflix con delega alla commedia e ai documentari originali, e qualche tempo fa ho pensato di farle qualche domanda. Ora che inizia una nuova stagione, è il momento di ripassare e capire come stanno le cose.

VICE: Probabilmente Netflix è il più importante editore e distributore di documentari di oggi. Quanta fiction e quanti documentari guardano i vostri abbonati?
Lisa Nishimura: Non possiamo diffondere i dati specifici, ma possiamo dire che il nostro pubblico è molto interessato alla programmazione di documentari. Tre quarti dei nostri utenti ha guardato almeno un documentario nel 2016, e l'86 percento ha guardato almeno un documentario da quando si è abbonato.

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Netflix sostiene i documentari come forma cinematografica dal 1997, quando siamo partiti come servizio di noleggio di dvd via posta negli Stati Uniti, passando per il 2007 quando abbiamo cominciato con lo streaming. Oggi siamo presenti in 190 paesi, ed entro la fine del 2017 avremo 60 documentari originali nel nostro catalogo.

Quali sono i titoli recenti più significativi?
Posso citare Nobody Speak, una storia insieme inquietante e avvincente sul potere e sulla verità, che racconta il caso Hulk Hogan contro Gawker. Chasing Coral, che documenta le violente trasformazioni di uno degli ecosistemi con più biodiversità del pianeta. E poi Icarus, sul mondo del doping nello sport.

O Get me Roger Stone, un approfondimento sull'ascesa di Roger Stone, consulente strategico e maestro nell'arte oscura della politica: un uomo che è stato accanto a Donald Trump per tre decenni. Hot Girls Wanted: Turned On, le storie vere di persone le cui vite sono segnate dalla attuale esplosione della pornografia in rete, siano esse autrici, consumatrici o entrambe le cose. E Casting JonBenet, un viaggio nel più celebre caso al mondo di omicidio di un bambino, ovvero la morte in circostanze mai chiarite della piccola JonBenét Ramsey.

Come scegliete i documentari? C'è una differenza tra quello che cercate voi e quello che cercano un festival o un canale tradizionale?
A Netflix abbiamo il vantaggio di poter tenere insieme l'arte e la scienza. Abbiamo un quantitativo di dati e informazioni che ci permettono di capire in che modo i nostri abbonati interagiscono con i contenuti, e capiamo che i gusti e gli orientamenti dei nostri abbonati cambiano regolarmente. E così continuiamo a stabilire cosa sia più interessante e coinvolgente per ciascuno di quei 100 milioni abbondanti di utenti su base giornaliera, per essere sicuri di offrire loro il programma ideale.

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Dal punto di vista creativo, siamo sempre attratti innanzitutto da storie e narratori. Cerchiamo sempre storie uniche che pensiamo possano incontrare il gusto di un pubblico globale come il nostro, e quale sia il filmmaker migliore per dare forma alla storia in una maniera fresca e innovativa che sappia risultare incisiva. L'altra questione centrale è la grande flessibilità formale della nostra piattaforma. Abbiamo il vantaggio di poterci sedere a un tavolo con gli autori per capire quale possa essere il modo migliore per raccontare la storia, se tramite un lungo, un corto o una serie di episodi.

Può farci un esempio?
Nel caso di Caschi Bianchi [che quest'anno ha vinto l'Oscar], avevamo già lavorato con gli autori Orlando von Einsiedel e Joanna Natasegara ai tempi del loro film Virunga. Conoscevamo il loro talento, quindi quando ci hanno raccontato la storia del lavoro eroico dei Caschi Bianchi ci siamo detti subito interessati. Loro avevano già stabilito dei contatti privilegiati, ma dovevano agire in fretta: visto l'andamento del conflitto siriano, volevano far arrivare la storia al pubblico il prima possibile. Così si è deciso di raccontarla come documentario breve, per accelerare lavorazione e processo produttivo, e fare uscire il film prima.

Per fare un altro esempio di come la storia per noi venga prima di tutto, Making a Murderer è una serie di dieci episodi, ma ogni episodio ha una lunghezza diversa. Perché per raccontare ciascun capitolo nel modo più efficace, avevamo bisogno che fossero gli eventi a determinare la lunghezza dei capitoli. Poter offrire questo livello di flessibilità ai filmmaker con cui lavoriamo è un vantaggio impagabile.

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Ci sono prodotti che non funzionerebbero mai in un canale tradizionale con un palinsesto "push". Netflix invece è una piattaforma "pull", e film come Tickled hanno senso, anche se parliamo di un titolo così strano e unico che è impossibile parlarne con nessuno. Date un valore particolare alle nicchie? O i temi più larghi e riconoscibili sono ancora la scelta migliore?
Con un pubblico così vasto, fatto di molte diverse culture, gusti e personalità, dobbiamo concentrarci su chi racconta la storia e cosa racconta, così da avere qualcosa per tutti. Questo ha due implicazioni: primo, dobbiamo lavorare con i migliori narratori che possano dare forma alle migliori storie provenienti dai posti più disparati del mondo, e questo significa lavorare sia con documentaristi da Oscar che con esordienti alle prime esperienze.

Secondo: dobbiamo raccontare una varietà di storie diverse. Basta scorrere il nostro catalogo di documentari originali: copriamo uno spettro molto ampio di temi che comprende politica, giornalismo, sport, cronaca nera, sesso, tecnologia, ambiente, biografie, cultura, musica, tensioni razziali (13th), cibo e altro. E anche se alcuni argomenti possono interessare più un pubblico i nicchia rispetto ad altri, visto che abbiamo una piattaforma globale sorretta da algoritmi di personalizzazione, per ogni abbonato l'esperienza è unica. A ciascuno viene proposta sempre la storia più coinvolgente per lui in quel momento.

I video di tutorial sono per le generazioni più giovani quello che i libri e i manuali erano per i più grandi: il modo miglior per ottenere informazioni su un argomento. Pensa che i documentari si stiano sostituendo alle enciclopedie?
I documentari sono una forma di racconto che esiste da molto tempo. Tuttavia è interessante che in questo periodo godano di una considerazione senza precedenti, e abbiano il pubblico più vasto di sempre. Noi crediamo che, continuando a investire con intelligenza nella produzione della migliore non fiction realizzata dai migliori cineasti, e rendendo queste storie accessibili in modo così universale, forniamo una forma di intrattenimento a un pubblico sempre crescente, ma allo stesso tempo lo ispiriamo anche a considerare un nuovo punto di vista o fare esperienza di un nuovo mondo.

L'intervista è stata accorciata e editata per chiarezza e ragioni di spazio.