Un edificio dello zoo umano di Parigi, il Jardin d’Agronomie Tropicale
Tutte le immagini per gentile concessione dell'intervistato

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Attualità

Foto di quello che resta di uno 'zoo umano' del Novecento

Il Jardin d’Agronomie Tropicale, alle porte di Parigi, ci ricorda l'atroce passato colonialista europeo.

Nascosti nel folto del bosco di Vincennes, alle porte di Parigi, giacciono i resti di un segreto terribile. Se non fosse per le finestre sbarrate e le gabbie fatiscenti, queste costruzioni potrebbero essere scambiate per le rovine di un villaggio. E invece tra le piante selvatiche si celano i resti del Jardin d’Agronomie Tropicale, uno "zoo umano" del Ventesimo secolo alla periferia di Parigi.

All'inizio del Novecento, i residenti neri delle colonie francesi di Sudan, Marocco e Repubblica Democratica del Congo venivano trasportati qui, dove dovevano stare "in mostra" per i visitatori europei. I prigionieri erano obbligati a esibirsi in riti tradizionali per intrattenere i curiosi spettatori. E tutto, pare, per un solo motivo: celebrare il colonialismo europeo e rafforzare l'idea della superiorità dell'occidente.

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Alcune di queste "esposizioni etnologiche"—così erano chiamate—rimasero in attività in Germania, Belgio, Francia e Stati Uniti fino agli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, quando finalmente iniziarono a chiudere i battenti. Ma mentre la maggior parte dei paesi hanno rimosso ogni traccia di queste strutture vergognose, poco fuori Parigi ne resta una. Il fotografo Seph Lawless, noto per le sue serie su edifici abbandonati e degrado urbano, è andato all'ex Jardin d’Agronomie Tropicale. Secondo il fotografo, infatti, una testimonianza fotografica può contribuire a sensibilizzare sul tema in un periodo storico in cui le conseguenze del colonialismo sono ancora evidenti, e la xenofobia imperversa.

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**VICE: Come sei venuto a conoscenza dell'esistenza di queste rovine?
**Seph Lawless: In molti miei progetti cerco di documentare posti insoliti. Avevo già letto qualcosa sugli "zoo umani": ce n'erano anche in Inghilterra e a Berlino, ma sono stati tutti rasi al suolo. Così, quando sono arrivato a Parigi qualche mese fa, sono subito andato in cerca del Jardin d’Agronomie Tropicale—era l'obiettivo principale del mio viaggio.

**Com'è andata, una volta dentro?
**Ci ho passato quasi un'intera giornata, soprattutto perché nel pomeriggio ha iniziato a piovere. Mi capita spesso di aspettare il momento giusto e la luce giusta per iniziare a scattare posti come questo. Non ho incontrato nessuno fino a quando non mi sono allontanato dalla zona delle strutture. Si estende per circa quattro ettari in tutto, e una parte degli edifici è completamente ricoperta di vegetazione.

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È stata un'esperienza che mi ha toccato profondamente. Ogni tanto mi venivano le lacrime agli occhi al pensiero di quanto crudeli possono essere gli uomini. In passato ho fotografato altri luoghi 'oscuri', come le rovine della Rust Belt [negli Stati Uniti]. Anche quelli sono stati progetti difficili, ma questo dello zoo umano è stato il più scioccante.

Quando sono tornato a casa [negli Stati Uniti], molti giornalisti mi hanno contattato per parlare del progetto, ma la maggior parte degli editor alla fine ha deciso di non pubblicarlo perché lo ritenevano troppo cruento, il che mi fa pensare che l'America non sia ancora pronta ad affrontare apertamente il tema del razzismo. In quanto parte di una minoranza, io stesso sento la responsabilità di usare i social media per raccontare questa storia a milioni di persone, e sensibilizzare sul tema del razzismo che ancora oggi domina la nostra società.

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**Qual è stata la cosa più scioccante che hai visto in quella giornata?
**Sicuramente la cosa più scioccante è stata camminare tra quelle casupole che sembrano gabbie. All'inizio le strutture ricordano delle case, ma poi ti rendi conto che ci sono le sbarre alle finestre. E anche se le sbarre hanno forme bizzarre e divertenti, si capisce benissimo quale fosse il loro scopo. Uno degli edifici però aveva delle vere sbarre da carcere, e lì le persone venivano proprio tenute prigioniere. C'erano anche gabbie che assomigliavano a quelle degli zoo, sai, quelle con una parte dove gli animali possono stare all'aperto durante il giorno, e una zona chiusa. Ed era proprio così anche allo zoo umano. Mentre ero lì, ho immaginato come doveva essere. È stato tremendo.

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**Nelle tue foto ci sono anche delle statue. A cosa pensi che servissero?
**Ce n'è una in particolare che sembra di un uomo bianco anziano e molto fiero. Con me c'era un interprete francese—nemmeno lui conosceva l'esistenza di quelle rovine, pur abitando poco distante. Mi ha spiegato che la statua raffigurava un uomo ricco che aveva aiutato a finanziare lo zoo. Poi c'era un'altra statua di un ragazzo che teneva in mano una testa mozzata. Quella era davvero bizzarra, e la targa era stata rimossa. Altre statue sembrano rappresentare schiavi al lavoro. All'ingresso c'è la statua di un angelo che accoglie i visitatori, anche quella piuttosto inquietante. È un mix di cose assurde.

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**Perché pensi che la Francia abbia voluto conservare i resti di questo zoo umano, mentre paesi come il Belgio ne hanno eliminato ogni traccia?
**In Francia non vogliono occultare la verità, per questo hanno lasciato le rovine. Non vogliono nemmeno essere considerati un popolo che cela un lato oscuro della propria storia. Allo stesso tempo, però, quasi nessuno ne parla perché la vicenda è fonte di imbarazzo.

Penso volessero mantenere un certo livello di trasparenza. Mi piace che non abbiano eliminato nulla, che riconoscano il loro passato e che ora siano andati avanti. Penso che sia importante prendersi le proprie responsabilità, anche di storie tremende come queste. I colonizzatori negli Stati Uniti, per esempio, hanno calpestato le popolazioni native americane, ed è importante che ce lo ricordiamo ancora oggi per non ripetere più simili atrocità.

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Perché pensi che essere consapevoli di quello che succedeva allora negli zoo umani sia così importante per la nostra società?
È importante sapere che, anche se sono passati cent’anni, la strada è ancora lunga. Il razzismo esiste ancora, e in America per esempio abbiamo un presidente che non fa che perpetuare il circolo di ignoranza e odio. I problemi razziali negli Stati Uniti sono molto peggiorati, oggi. Sono tornati neonazisti e segregazionisti come negli anni Ottanta, ed è orrendo.

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**Pensi che gli zoo abbiano ‘aiutato’ la supremazia bianca europea durante il Novecento?
**Certo. Immagina tutti questi bianchi europei che studiano e commentano donne africane. Quanto può essere sadico e disturbante. Quello che ‘capisci’ davanti a una situazione simile è che i bianchi sono il top, e gli altri servono solo per il loro divertimento.

Ricordo chiaramente quando ho intervistato un anziano francese e mi ha detto che suo padre ricordava di aver visto il primo uomo africano alla Torre Eiffel, e in seguito ne parlava come uno spettacolo. Ai tempi non esistevano TV o social media. Anche se c’erano elementi di fascinazione, per così dire, i neri non venivano trattati come esseri umani: venivano trattati come subumani, e questo ha aiutato la supremazia bianca.

Nel 2008 il primo ministro australiano ha ufficialmente chiesto scusa alle popolazioni indigene per la ‘generazione rubata’. Pensi che anche i governi dei paesi europei che hanno ospitato zoo umani dovrebbero parlare di quello che è successo in passato?
Assolutamente, anzi è una loro responsabilità farlo: non solo riconoscere quello che è successo, ma scusarsene. Non dimenticare, ma imparare dal passato. L’unico modo in cui l’umanità può imparare dalla storia è ricordandola. Ed è per questo che io scatto queste foto.

A volte le parole non bastano, per questo uso le immagini. E penso che vederle sia importante per tutti. Sarebbe un bel passo avanti.

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