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land grabbing

Fondi cinesi e contadini dimenticati: così il business del fotovoltaico trasforma la Sardegna

Nell'isola sono stati avviati numerosi progetti di fotovoltaico, talvolta anche con investimenti esteri: comitati e contadini contestano alcune di queste assegnazioni, denunciando il sacrificio del territorio sull'altare dell'energia.
Foto via Flickr.

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Narbolia è un piccolo centro agricolo della Sardegna, in cui vivono oggi circa 1800 persone.

Nelle campagne circostanti a questo Comune dell'Oristanese ha avviato le attività un colossale impianto fotovoltaico, il più grande d'Italia — 1.614 serre da 200 metri quadri erette su una superficie di 64 ettari di terreno agricolo fertile, con l'installazione di oltre 33.000 plinti in calcestruzzo da 1 metro cubo ciascuno, per un totale di 107.000 pannelli fotovoltaici.

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A dare l'assenso definitivo al progetto, lo scorso 25 febbraio, è stato il Consiglio di Stato, che si è pronunciato sul caso di Narbolia ribaltando la precedente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR).

Non si tratta in realtà di un vero e proprio 'via libera', visto che l'impianto era già stato realizzato nel 2012, quanto piuttosto un permesso per rimetterlo in moto dopo i guai giudiziari occorsi a seguito della sentenza del TAR.

La storia di Narbolia sembra essere solo una delle tante di quel processo che gli osservatori del fenomeno definiscono come land grabbing all'italiana; in questo caso specifico, orientato al business del fotovoltaico.

Osservando la Sardegna dall'alto con Google Earth ci si imbatte di frequente in enormi distese di pannelli solari, intervallati da una buona dose di pale eoliche e da qualche centrale termodinamica. È questo mix che, oggi, fa dell'isola una delle più grandi centrali di energia elettrica d'Italia.

Come sottolineano i dati dell'Osservatorio Politiche Energetico-Ambientali, infatti, la Sardegna è la terza regione italiana per surplus di produzione elettrica, con un'eccedenza dell'offerta rispetto alla domanda di 4,1 terawatt/ora.

Anche nel campo delle rinnovabili, almeno secondo il report Sardegna 2015 in cifre - elaborato dall'Ufficio regionale di statistica – l'isola eccelle, con il 38 per cento dei consumi di energia coperti da fonti rinnovabili. Un vero e proprio primato, cinque punti sopra alla media nazionale.

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Un'immagine satellitare delle campagne attorno a Narbolia. [grab via Google]

Il paradosso: sacrificare il cibo sull'altare dell'energia?

La situazione cambia però drasticamente quando dal campo energetico ci si sposta a quello agro-alimentare. La Sardegna spende oltre due miliardi di euro l'anno per l'importazione di prodotti alimentari, per una bilancia commerciale del settore agro-alimentare non solo negativa da ormai vent'anni, ma in costante peggioramento. La prima voce di importazione del settore è, tra l'altro, quella dei prodotti agricoli.

Ed è proprio sul binomio energia-agricoltura che si sta giocando la partita sarda tra comitati cittadini e associazioni di categoria, da una parte, e regione e grandi investitori dall'altra. I primi lamentano l'accaparramento delle terre da parte dei secondi, in un processo che starebbe mettendo sempre più in difficoltà il già precario sistema agricolo locale.

Oltre a questo, è sempre più diffusa la sensazione tra gli abitanti e i comitati che la Sardegna sia vittima di una vera e propria forma di speculazione energetica, in un processo conosciuto nel mondo anglosassone come wind farms speculation.

Secondo quanto lamentano diverse fonti consultate da VICE News, piccole imprese agricole locali progetterebbero impianti nel campo delle energie rinnovabili presentandoli come complementari alla loro attività agronomica. Una volta presentato il progetto alla Regione e ottenute le approvazioni necessarie, poi, alcune di queste aziende venderebbero il tutto a grandi multinazionali dell'energia — per il momento, a manifestare interesse sono state ad esempio le cinesi Shenzhen Energy Group, China Environmental Energy (Ceeholdings) e il colosso energetico tedesco E. On.

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Secondo i comitati, le imprese agricole originarie resterebbero comunque operative - una condizione necessaria per ottenere gli incentivi alle rinnovabili, il cui principale requisito è proprio quello di essere utilizzate a scopo agricolo - mentre il progetto verrebbe portato avanti da multinazionali che operano nell'ombra. Il tutto, lamentano alcuni, senza un minimo coinvolgimento delle comunità locali, travolte dall'oggi al domani da queste operazioni — che peraltro hanno un forte impatto sulle loro proprietà.

Narbolia, Villasor, Decimoputzu, Guspini, Gonnosfanadiga. Questi e altri comuni sardi sono da qualche anno al centro del dibattito pubblico per le diverse strutture di produzione di energia rinnovabile in corso di realizzazione.

Terra persa, un documentario del 2015 finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico, racconta le loro storie dalla prospettiva degli agricoltori che vedono i rispettivi terreni minacciati da questi investimenti faraonici. Sullo sfondo il paradosso per cui la Sardegna, che se da un lato esporta energia, dall'altro è costretta a importare l'80 per cento dei prodotti agricoli di cui necessita.

VICE News ha parlato con Battista Cualbu, Presidente di Coldiretti Sardegna, che sembra avere pochi dubbi: "C'è un fenomeno di speculazione sugli incentivi portato avanti dalle grandi multinazionali dell'energia," spiega Cualbu, sottolineando peraltro come ogni tanto all'interno di queste operazioni comparirebbe qualche personaggio sardo "di facciata" per dimostrare ai locali che si sta coinvolgendo il territorio.

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Quello dell'inclusione delle comunità territoriali è un punto chiave della battaglia attualmente in corso. Le associazioni di categoria e i comitati cittadini non si schierano tanto contro gli investimenti sulle rinnovabili, quanto piuttosto sul modo poco trasparente e inclusivo con cui questi verrebbero fatti.

Alcuni di questi progetti vengono infatti presentati come portatori di posti di lavoro, capaci di dare nuovo slancio alla produzione agricola locale — ma si rivelano poi poco significativi dal punto di vista occupazionale, oppure mossi da interessi diversi. Nei casi più estremi, poi, i campi vengono smantellati in nome della produzione energetica, in un territorio dove l'economia rurale si trova già di per sé in una situazione precaria.

Il caso più controverso sembra essere proprio quello di Narbolia. La Enervitabio S. Reparata Srl, piccola azienda da 18mila euro di capitale sociale, ottiene nel 2009 i permessi per la costruzione del più grande impianto di serre fotovoltaiche d'Italia.

Il progetto passa poi nelle mani della WinSun Group di Hong Kong, che lo acquista attraverso una controllata creata nello stesso periodo in Lussemburgo — la WinSun Luxembourg, una società a responsabilità limitata con 30mila euro di capitale sociale.

Da una parte inizia la costruzione dell'enorme parco di serre fotovoltaiche, che viene concluso e messo in moto in pochi mesi, dall'altra si rafforza la mobilitazione dei comitati cittadini che decidono di impugnare la questione davanti alla magistratura.

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"La EnervitaBio nel 2009 è venuta qui e ha comprato 64 ettari, i migliori in termini di posizione e irrigamento. Terreni che valevano 12mila euro a ettaro, pagati però 40mila euro" secondo quanto spiega a VICE News Pietro Porcedda, portavoce del Comitato S'Arieddu per Narbolia. "Per questi piccoli agricoltori in difficoltà una cifra simile era una manna dal cielo, e dunque hanno venduto."

Comprati i terreni, l'azienda ottiene i permessi dal Comune per avviare il progetto. È a questo punto che sorgono i primi problemi. Come afferma l'art. 6 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 3, l'autorizzazione per la realizzazione di impianti di questo tipo sarebbe dovuta venire dalla Regione, e non dal Comune, nella data in questione.

"Dopo che li abbiamo portati al TAR si sono resi conto del problema ed ecco che l'allora Assessore Regionale all'Agricoltura ha emanato un decreto rivolto a questi impianti approvati senza sanatoria, il cosiddetto decreto estivo" continua Porcedda.

A questo punto i vizi del progetto vengono risolti attraverso il decreto e i comitati cittadini, mossi dal sospetto che si possa trattare di una misura legislativa ad hoc per la EnervitaBio, chiedono un accesso alle carte della regione per capire quante aziende abbiano effettivamente richiesto l'applicazione del nuovo decreto. "Erano solo due: EnervitaBio di Narbolia e EnervitaBio di Giave, entrambe appartenenti alla stessa persona" denuncia Porcedda.

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[via ActionAid]

Ma al di là dei vizi procedurai, i comitati lamentano incongruenze anche nel profilo dell'impresa e del suo titolare. Secondo la Delibera G. R. n. 27/16 del 01.06.2011 sono considerate serre fotovoltaiche effettive quelle che hanno i seguenti requisiti: qualifica di imprenditore agricolo e capacità agricola adeguata — criteri, questi, necessari anche per l'accesso agli incentivi.

Per "imprenditore agricolo" si intende chi svolge direttamente l'attività agricola in una singola azienda. Ma secondo il Comitato S'arieddu per Narbolia il proprietario della EnervitaBio, Paolo Magnani, possiederebbe sette società solo in Sardegna, più altre compartecipazioni nel Mezzogiorno italiano. "Non era neanche iscritto al registro provinciale degli imprenditori agricoli," aggiunge Porcedda. VICE News non ha potuto verificare direttamente questa informazione.

Così, l'11 luglio del 2014, la sentenza del TAR riconosce questi vizi e blocca tutto mettendo fine alla questione. Ma alla fine di febbraio 2016 il Consiglio di Stato ribalta la sentenza, dando nuovamente l'ok per l'avvio dell'impianto.

Secondo Porcedda, l'ultima sentenza punirebbe indirettamente i cittadini e i comitati che cercano di avviare progetti legati al loro territorio. "L'azienda ora dovrebbe prendere sei milioni all'anno per vent'anni di incentivi statali, più 3-3,5 milioni all'anno dalla vendita della corrente all'ENEL. Il tutto, a fronte di un investimento di 60 milioni di euro." Un enorme business energetico insomma, per quello che era stato presentato come progetto agro-alimentare con una componente di sostenibilità.

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Nei primi anni di operatività dell'impianto, ovvero fino alla sentenza del TAR del 2014, gran parte delle serre sono però rimaste vuote — elemento che accrescerebbe nei comitati la sensazione che quello di Narbolia sia un progetto quasi esclusivamente energetico e solo "mascherato" da agroalimentare.

Per quanto riguarda le poche serre coltivate a Narbolia, invece, si contesta la semina fatta: aloe, qualche vite, verza ornamentale e pomodori. Se da una parte si rileva lo scarso ruolo alimentare di una parte di questi prodotti, riguardo invece al pomodoro una ricerca condotta dalla Facoltà di Agraria dell'Università di Sassari evidenzia la difficoltà della sua coltivazione nelle serre fotovoltaiche, a causa di problemi di trasmissione della radiazione solare.

Il dito oggi viene puntato dai comitati e dalle associazioni di categoria soprattutto contro la Regione Sardegna, che sin dall'inizio ha preso una posizione netta a favore di queste operazioni, avviando decreti e sanatorie e forse non analizzando adeguatamente la rilevanza delle valutazioni agronomiche presentate.

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"Ci sono delle grosse lobby e dei forti interessi dietro, e questi vanno a condizionare le decisioni" dice a VICE News Cualbu, il presidente di Coldiretti Sardegna. "La regione sta dall'altra parte, quando invece dovrebbe impedire queste autorizzazioni e far sì che le operazioni vengano fatte in maniera trasparente e condivisa. Non possono esserci solo le briciole per le comunità locali."

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Per chiedere il punto di vista dei diretti interessati sulla vicenda, VICE News ha contattato i responsabili di EnervitaBio. Paolo Magnani - titolare dell'impresa- non ha voluto rilasciare dichiarazioni sulla questione. Questo è quello che ci ha autorizzato a scrivere: Il Sig. Paolo Magnani ha preferito non dare corso ad ulteriori polemiche a mezzo stampa. Continuare ad alimentare polemiche è inutile e dannoso, l'argomento da un punto di vista formale è da considerarsi chiuso.

VICE News è riuscita però a intervistare Pietro Giuseppe Vacca, l'agronomo che attualmente si sta occupando delle serre di Narbolia. "Dal momento in cui il comitato ha iniziato a fare opposizione, l'azienda ha avuto dei grossi problemi per poter completare gli investimenti all'interno delle serre" ci racconta Vacca, che da circa tre mesi si sta occupando dell'impianto. "Diciamo che oggi nel 40 per cento delle serre c'è una coltivazione normale, nel resto dell'impianto stiamo attivamente cercando di avviarla."

Secondo l'agronomo, la buona riuscita del progetto nella sua componente agronomica sarebbe stata bloccata dalla sentenza del TAR, che ha sospeso l'elargizione degli incentivi regionali per la EnervitaBio. "Se io faccio un investimento e so che devo ricevere un incentivo e poi a causa del procedimento giudiziario sono quattro anni che aspetto, come si fa ad andare avanti?," spiega.

Quello che è certo è che, almeno all'inizio, da un punto di vista occupazionale l'impianto aveva funzionato, con l'assunzione di venti-trenta persone. Nel giro di pochi mesi, tuttavia, cominciarono i licenziamenti. "Di quel gruppo di lavoro oggi sono rimasti solo in due" afferma Porcedda, che sottolineano come si ritrovino a gestire un parco di 1614 serre da 200 metri quadrati l'una. In pratica, 161400 ettari di lavoro procapite.

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"Negli ultimi mesi sono rimasti in pochi per forza di cose," conclude Vacca. "Se al suo giornale spettano degli incentivi che poi non vengono elargiti, mi dica lei se i dipendenti vengono mantenuti o no."

La recente sentenza del Consiglio di Stato ha comunque cambiato la storia dell'impianto, ridandogli apparentemente vita, e mettendo fine al blocco degli incentivi. Ora i vari comitati e le associazioni di categoria si stanno organizzando per fare ricorso presso la Corte di Giustizia Europea, mentre le serre continuano ad essere per lo più un cumulo di erbacce e terra incolta.

Dopo la sentenza di febbraio l'assessore regionale dell'Agricoltura Elisabetta Falchi aveva detto: "Oggi il Consiglio di Stato ribadisce le nostre ragioni nell'affermare la legittimità di pregressi atti regionali, validi e conformi alla norma."

"La sentenza del Consiglio ci obbliga a trovare nuove soluzioni. Vedremo di fare altre azioni" rilancia però Cualbu, che sottolinea ancora una volta come la linea di Coldiretti non si opponga alle rinnovabili tout court, quanto piuttosto alla svendita della terra sarda alle aziende energetiche.

Secondo il Presidente di Coldiretti, gli investimenti andrebbero fatti in maniera più oculata, utilizzando sì il sole e il vento ma attraverso dei mini-impianti ben integrati nelle varie aziende, oppure in aree marginali e da bonificare — in particolare le vecchie zone industriali ormai dismesse di cui la Sardegna è ricca.

"È questo il modo intelligente di produrre energia alternativa, non quello che colpisce le già poche aree eccellenti per l'agroalimentare, lasciando le briciole alle comunità locali."

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Foto in apertura di Presidencia de la República Mexicana via Flickr in Creative Commons.