maggio tanca
Tanca e Maggio, fotografia di Alecio Ferrari
Interviste

Quello di Maggio e Tanca non è emo rap, è terapia

C'è chi in Italia fa emo rap perché gli sembra figo e chi, come Maggio, lo fa nel migliore dei modi possibili—per condividere il dolore, per stare meglio, senza obiettivi.

È mercoledì e a Milano piove tantissimo. Maggio sbrocca subito e ci racconta la sua avventura, a me che lo devo intervistare e a Tanca, che fa la musica su cui lui rappa. Ha dovuto prendere una Enjoy da dove vive, a nord della città, e tra tergicristalli, strade sbagliate, le mappe del telefono statiche che non si muovevano, ci ha messo una vita, guidando così, a sensazione, come ci dice ridendo.

Maggio, semplificando, fa rap. Ma potrei dire anche emo rap. Ed è tra i pochi, in Italia, a farlo con riferimenti solidi—non l'emo mainstream ma quello che nasce negli spazi di comunione, quello fai-da-te, quello registrato con due soldi e portato in tour in un furgone scassato. Quello di Raein, La Quiete, Fine Before You Came. Qualche tempo fa, con Tanca a fare le basi, ha pubblicato un EP che si chiama Manuale di sopravvivenza per fiati corti. Io sono qua con lui per capire qualcosa di più su quello nuovo, che si chiama I nostri fallimenti.

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Inizio chiedendogli della prima traccia, quella che dà nome al disco. Maggio, che chiacchiera davvero un sacco, mi dice che "era per spiegare l'idea del progetto, e introdurre quella che sarebbe stata poi l’analisi del fallimento dai vari punti di vista. Quel momento in cui ti sta bene, e lo vedi come una fase di passaggio; quello in cui è superato; quello in cui lo stai affrontando, e comunque provi fastidio”.

Ed è così che posso spiegare questa musica: quella di due ragazzi che raccontano con tutta la naturalezza e la leggerezza del mondo quanto ci rode il culo quando falliamo (Ma che fastidio / se fallisco / Che schifo / se poi non finisco il disco, in “Raffreddore”) sia di quando in realtà ci diciamo che va tutto bene, perché in fondo Sbaglieremo ma non sbaglieremo, come dice il ritornello de “I nostri fallimenti”.

La musica di Maggio e Tanca è quella di due ragazzi che raccontano con tutta la naturalezza e la leggerezza del mondo quanto ci rode il culo sia quando falliamo.

Più parliamo—e parliamo tanto—e più inizio a vedere questo EP come un momento di passaggio, e di consapevolezza di questo passaggio. Come quando dopo una giornata di merda realizzi che proprio non ti va di stare male. “Orgoglio” nasce così: a maggio piace raccontare come è nata, e quindi me lo racconta.

“Era proprio una giornata di merda, senza un motivo. Il mio coinquilino provava a dirmi ‘dai, guardiamoci un film’. Era il 2018 e io neanche riuscivo a guardare bene la tv, non riuscivo a concentrarmi. E io ho detto no, perché mi dava fastidio, adesso scrivo un pezzo, ed è uscito 'Orgoglio'. Piuttosto di star lì [e dire] adesso mi sfogo con 30 miliardi di persone, siccome l’ho fatto nella mia vita, adesso basta”.

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maggio rapper

Maggio, fotografia di Alecio Ferrari

Tanca è più taciturno di maggio, ma è evidente che questo suo silenzio non nasca da una mancanza di cose da dire, piuttosto da una quasi completa concordanza con le parole dell’amico. Infatti annuisce e dice che “è la tua voce che ti dice ‘adesso riprenditi’. Ok, te lo possono venire a dire anche gli amici, ma fin quando non sei tu stesso…”

“Orgoglio” è una traccia molto importante, insieme a “I nostri fallimenti” segna infatti i confini del disco. Maggio l'ha messa come ultima proprio “per alleggerire un po’ il tutto e dire: comunque tu continua a fare le tue cose. Che è un po’ la parte opposta dell’intro”. È un pezzo rassicurante, una boccata d’aria, un momento per fermarsi un attimo e darsi una pacca sulla spalla. Siamo tutti ok / sei contento: / tu sei quello che farei.

"A un certo punto così non vivi più pensando che quel pensiero negativo sia la tua vita, ma un pensiero che hai nella tua vita in quel determinato momento." - Maggio

Qui Maggio mi racconta che, invece di dirselo da solo, si è immaginato una terza persona che gli dicesse tu sei quello che farei, che è una cosa molto difficile da dire a qualcuno. Un po' come dire “tu in questo momento stai incarnando quello che io vorrei fare, non pensare che sei un coglione”, mi spiega.

Iniziano a delinearsi sempre di più le ragioni che sono dietro questo loro modo di fare musica, che io definisco “terapeutico” mentre, un po’ ridendo un po’ no, dico a loro che quando li ascolto sto bene, magari soffro per cazzi miei ma sto bene. Dico loro che per venire qui oggi ho dovuto spostare il mio appuntamento con lo psicologo. Ridiamo e ci diciamo che in effetti è come se non lo avessi spostato: quello che stiamo facendo insieme, in questa stanza a parlare di musica, è terapia.

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Maggio, fotografia di Alecio Ferrari

Tanca e Maggio, fotografia di Alecio Ferrari

E maggio mi parla della sua esperienza, che è un po’ quella di tutti e guarda caso anche la mia: “in verità è partito tutto come terapia mia, la mia stessa vita era messa lì per essere analizzata in una maniera un pochino più pratica. A un certo punto così non vivi più pensando che quel pensiero negativo sia la tua vita, ma un pensiero che hai nella tua vita in quel determinato momento”. Torna indietro nel tempo, a momenti che suonano familiari e vicini: la terapia fatta a Roma che gli ha permesso di trovare il coraggio di trasferirsi, i primi tempi a Milano a ripetersi “vabbè è tutto ok, ma in verità non era tutto ok”.

La terapia diventa così il modo per avvicinarsi a se stesso nella maniera più sincera e oggettiva possibile, talmente oggettiva che anche le altre persone possono riconoscersi nelle sue parole. E da qui scatta quell’elemento che io ho trovato terapeutico della loro musica, musica che in primo luogo è “terapia per me”, dice Maggio, “perché vedo che mi posso ritrovare negli altri e poi gli altri si ritrovano in me. C’è un’unione che non è scontata. Non vorrei che la gente si divertisse e basta, infatti noi non abbiamo l’obiettivo che sia così. Finché io mi sento così, sarà così”.

"Vedo che mi posso ritrovare negli altri e poi gli altri si ritrovano in me. C’è un’unione che non è scontata. Non vorrei che la gente si divertisse e basta." - Maggio

Mi ritrovo davanti a due ragazzi della mia età con le pare dei ragazzi della mia età, che hanno trovato qualcosa da dire e il modo in cui farlo a partire dalle cose che hanno dentro, analizzandole per poi restituirle al mondo con la consapevolezza ripetuta del “è tutto ok”. E questo disco è proprio il prodotto dell’incontro di “due falliti”, come mi dice Tanca mentre ride, “che vogliono semplicemente esprimere questa cosa cercando di far capire a chi ascolta che va tutto bene”.

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Se maggio lo fa con le parole, Tanca lo fa con la sua musica, una musica che ha dovuto alleggerire tantissimo, cercando di “capire come non diventare pacchiano se uso sonorità del genere mischiandole alla trap o all’hip-hop”. Tanca infatti prima di trasferirsi a Milano suonava in una band post-hardcore: “chitarra, suonavo e urlavo, quindi quando ci siamo sciolti sono arrivato qua e ho pensato: mò che faccio? Tra l’altro quando ho conosciuto lui, all’inizio non gli facevo i beat, gli mixavo solo la voce”.

Maggio, fotografia di Alecio Ferrari

Maggio, fotografia di Alecio Ferrari

Qui ridendo Maggio mi dice che addirittura lo pagava perché si sentiva in colpa, e poi: “se parlassi su altri beat, non so se sarei così”, e anche “quando faccio un pezzo io, quasi indirettamente parlo anche di lui, parliamo per entrambi, suoniamo per entrambi”. E questo è il punto d’incontro tra parole e musica, tra maggio e Tanca, tra Roberto e Stefano.

“Quello che facevamo era parlare della musica che ci piaceva” dice Tanca. “In camera cantavo un botto i Do Nascimiento” dice maggio, e poi i Raein, i Riviera. In “Raffreddore” ha messo una citazione proprio da “Cosa rimane”, dei Riviera: Che quello che hai fatto per me / ancora non sai quanto vale. E poi ancora i Fine Before You Came, i Gazebo Penguins tra gli italiani, di cui maggio apprezza soprattutto l’ironia dei testi, perché “per quanto possano essere malinconici, a me lasciano sempre un bel sorriso. Io non riesco a fare finali tristi”.

I nostri fallimenti è un altro dei tanti momenti della vita di passaggio, in cui è ok che stai male ma non è che hai tanto voglia di stare male. E allora scrivi un pezzo, e poi si ricomincia da capo.

I Do Nascimiento—una band di ragazzi liguri che ha vissuto solo d'estate, per un po', e ha una discografia che dura circa 20 minuti—invece Tanca non li conosceva. Glieli ha fatti scoprire maggio quando si sono incontrati a Milano, e la sua reazione è stata sobria e misurata: “ho detto ok, io per un mese ascolterò solo questo disco”. E così è stato. In “Orientarsi con le stelle”, la prima traccia del loro primo EP, Tanca campiona “Fiato” e maggio ci rappa sopra. Ma l’influenza dei Do Nascimiento a me non sembra aver esaurito la sua spinta. Quel ma se mi trovo qua adesso / io non lo devo a te // ma se rinuncio a tutto questo / io non lo devo a te in “Fiato” mi ha ricordato tantissimo “I nostri fallimenti”, perché sembra essere un po’ l’equivalente di Sbaglieremo ma non sbaglieremo. Maggio è d’accordo con me e ride, trova che ci sia lo stesso concetto anche in “Latte versato”, ma giura di non averlo fatto apposta. Poi ci sono stati gli American Football e i Modern Baseball, per maggio, non tanto per come suonano, mi dice, ma per i testi, che se li è mangiati.

Questo tema, nella nostra chiacchierata, sembra essere ricorrente: fare le cose di getto perché ci viene così, e solo dopo attribuirgli un significato, nascosto o più esplicito. Come può esserlo quell’etichetta di emo rap che hanno accettato senza ribellarsi troppo, ma con anche la consapevolezza che è solo “per darti dei contorni, che in fondo non servono neanche”. I nostri fallimenti è così semplicemente quello che è: un altro dei tanti momenti della vita di passaggio, in cui è ok che stai male ma non è che hai tanto voglia di stare male. E allora scrivi un pezzo, e poi si ricomincia da capo. Chiara è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.