Cibo

Tutti amano i ristoranti di paese, ma farli funzionare è un’altra faccenda

Quando i turisti vanno via e non si è in una zona di passaggio, mandare avanti con successo un ristorante è un miracolo.
Lavinia Martini
Rome, IT
Ristoranti di paese
Foto dell'autrice.

In Italia ci sono poco più di 5000 comuni che non arrivano a 5000 abitanti. Sono paesi piccoli e complessi, come quello da cui venivano i miei quattro nonni, che lasciarono l’Abruzzo per andare a lavorare a Roma. Erano gli anni in cui le campagne e le città cominciavano a cambiare faccia e si innescò un meccanismo di spopolamento delle aree interne che tutt’ora non ha tregua. 

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Negli ultimi tempi i piccoli centri sono entrati spesso all’interno del dibattito politico con proposte surreali. Durante l’ultima campagna elettorale Enrico Letta ha affermato che una delle iniziative del suo partito sarebbe stata quella di aprire “mille bar in mille piccoli borghi”. Serviva qualcuno che a quell’esternazione alzasse la mano per chiedere: a che serve aprire un bar se non c’è nessuno che ci vada? Tutti amano i ristoranti di paese, ma farli funzionare è totalmente un’altra faccenda. 

Rovere, frazione di Rocca di Mezzo proprio in Abruzzo, con le sue case accroccate, tre chiese, diverse fontane, un parco giochi, rappresenta bene questa storia. Nel corso dei lunghi mesi estivi che trascorrevo qui, o delle visite invernali e autunnali, i periodi più complicati per un paesotto a 1200 metri dove già a novembre fa un freddo cane, ho visto ristoranti aprire e chiudere nel giro di una stagione. Dietro questi progetti c’erano spesso persone che sembravano capitate lì per caso, improvvisati che avevano visto nell’economia dei costi di gestione la promessa di un affare. Questo, però, non è il caso di Francesco Rovere e di sua madre Cristina Martini. 

Nei periodi morti, quando se ne vanno tutti, tra grandi e piccoli siamo 110 persone. Non siamo una zona di passaggio, viviamo della vicinanza con Roma. Adesso mi viene il dubbio che con il caro bollette […] questo inverno ci sarà ancora meno gente

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Piatto del ristorante Da Cristina (Rovere). Foto dell'autrice

Da Cristina è ad oggi l’unico vero ristorante del paese ed è stato aperto nel 2006. “Tre anni dopo è capitato il terremoto e abbiamo dovuto ricominciare da capo. Poi la crisi, poi il Covid. Nei periodi morti, quando se ne vanno tutti, tra grandi e piccoli siamo 110 persone. Non siamo una zona di passaggio, viviamo della vicinanza con Roma. Adesso mi viene il dubbio che con il caro bollette e il prezzo altissimo dei riscaldamenti da pagare, questo inverno ci sarà ancora meno gente,” mi spiega Cristina.

Suo figlio Francesco, oltre ad occuparsi della sala, si è preso a cuore la creazione di una cantina fornitissima rivolta agli appassionati: “Per noi la soluzione è stata col tempo attirare persone che vengono apposta per alcuni prodotti del territorio o per certe bottiglie. Ma nei primi anni piangi.” Se c’è un aspetto positivo del ristorante per Cristina è stata la possibilità di tenere la famiglia vicina, compresa Anna, la sorella di Francesco, che si occupa dei dolci.  

Qui andare a mangiare fuori è visto da molti come piattoni di pasta e brocche di vino. Lavoriamo infatti prevalentemente con turisti

Oltre al fatto di trovarsi in un piccolo centro, c’è anche chi ha scelto di investire su regioni dell’Italia meno battute, come la Basilicata. “Dopo diversi giri, nel 2019 sono tornato a casa mia. Non stavo più bene da nessuna parte,” mi racconta lo chef Francesco Lorusso, che nel 2020 ha aperto il suo ristorante Bramea a Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, insieme all’amico e socio Antonio Menchise. I lavori cominciano a gennaio 2020, di lì a poco il Covid e l’apertura slittata ad agosto. “Volevamo fare una cucina d’autore, con l’80 percento delle materie prime dalla Basilicata ma senza eccessive forzature. Ci troviamo in un antico rudere di una famiglia borghese di Palazzo. Il proprietario, dopo la ristrutturazione, ci ha messo una pizzeria che è durata un anno e mezzo. Noi abbiamo fatto una sala ristorante da 16 e uno chef’s table da quattro posti.”

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Francesco Lorusso. Foto per gentile concessione dell'intervistato.

Il contesto in cui apre Bramea non è semplice, il periodo è complicato, ma la motivazione del suo cuoco è fortissima “Abbiamo tantissimo da offrire ma non sappiamo valorizzarlo,” dice Francesco, secondo cui la gastronomia regionale è ancora troppo vincolata all’idea del tipico. “Qui andare a mangiare fuori è visto da molti come piattoni di pasta e brocche di vino. Lavoriamo infatti prevalentemente con turisti e persone che vengono da tutto il centro sud, che passano da Matera e vanno oltre. I primi anni si soffre sempre, ma stiamo avendo una grande crescita, soprattutto grazie ai cultori che girano molti ristoranti. Poi ci teniamo in equilibrio con cene a quattro mani, eventi e consulenze.”

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Foto per gentile concessione di Bottega Culinaria

Ho parlato dell’Abruzzo, ma l’Abruzzo non è tutto uguale. Oltre le montagne spericolate c’è la Costa dei Trabocchi, dove d’estate si crea parecchio movimento. San Vito Chietino, con i suoi 5000 abitanti, non è proprio sul mare, ma in collina. È qui che la chef Cinzia Mancini ha aperto il suo ristorante, Bottega Culinaria, nel 2015. “Noi siamo in aperta campagna, ci devi venire a cercare. All’inizio ci sono stati anni veramente bui. Prima di tutto perché mancavano i clienti. E poi era difficile far comprendere la mia proposta al pubblico locale, più sensibile alla quantità che alle materie prime.”

A discapito delle difficoltà, Cinzia affina la strada verso il fine-dining, con risultati sempre più apprezzati: “Nonostante quello che si dice, io credo che i programmi televisivi abbiano fatto in modo che le persone guardassero all’alta cucina in modo diverso. Le guide gastronomiche, in particolare la Michelin, ci hanno aiutato tantissimo sia con i locali che con i turisti”. 

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Il processo di crescita è avvenuto nel tempo, grazie alla caparbietà della chef e della sua squadra: “Da un certo punto in poi abbiamo capito che era importante la comunicazione, ci siamo affidati a un’agenzia che ci ha aiutato a spiegare il nostro lavoro. Prima facevamo davvero fatica a raccontarlo interamente a tavola: il cliente si annoiava, usciva dalla cena disorientato. Infine il tempo mi è stato favorevole: forse le persone vedendomi lavorare e restare hanno pensato che dietro di me c’era un progetto serio, che non era un ristorante modaiolo.”

Nonostante quello che si dice, io credo che i programmi televisivi abbiano fatto in modo che le persone guardassero all’alta cucina in modo diverso. Le guide gastronomiche ci hanno aiutato tantissimo sia con i locali che con i turisti

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Carlotta Delicato. Foto per gentile concessione dell'intervistata

Una storia non troppo diversa quella di Carlotta Delicato, che ha aperto il ristorante Delicato all’interno delle mura medievali di Contigliano, nemmeno 4000 abitanti, in provincia di Rieti. “Mio marito è di qua, vedevo questo ristorante sempre chiuso e mi chiedevo perché nessuno ci aprisse niente. Dieci anni prima c’era stato addirittura un locale sardo,” spiega Carlotta. Il borgo, pur essendo bellissimo, si trova lontano da rotte turistiche ed è mal collegato ad altri centri più grandi. “Mi ha affascinato il fatto che ci fosse la possibilità di fare una cosa piccola e intima. E poi abbiamo avuto un bimbo e non volevamo farlo crescere in una grande città.” Con suo marito Gabriele prende in affitto lo spazio e a giugno 2022 apre Ristorante Delicato, nove tavoli e ventiquattro posti. “Tutti dicevano: quanto durerà? Ma chi ci viene?”

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Alle sue spalle ci sono viaggi ed esperienze internazionali, nonché la televisione con il programma Hell’s Kitchen che vince nel 2016 (“ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio,” mi dice in merito a questa esperienza) da cui il passo verso un borgo di poche anime sembra troppo lungo. “Qui abbiamo cercato di creare una rete con le aziende del posto. Possiamo andare a sceglierci i prodotti in mezzo al verde. Però all’inizio è stato molto difficile.”

Se un progetto cerca di distinguersi nel mondo della ristorazione, gli abitanti di questi posti lo snobbano. Per me questo è un problema gravissimo

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Pizza con cipolle e roofbeef. Foto per gentile concessione de La Pergola

A Radicondoli invece gli abitanti non arrivano a mille. Il paese si trova nella provincia di Siena: qui Tommaso Vatti arriva nel ’98, come dice lui “non da cittadino,” ma da un comune limitrofo. Nel centro storico di questo borgo bellissimo, ai piedi di una riserva naturale, Tommaso rileva una trattoria storica e la trasforma nella sua insegna, La Pergola. “D’estate viviamo grazie al turismo, facendo cassetto. Per chi ha un’attività tradizionale andrà pure bene. Per noi invece che abbiamo puntato a un prodotto molto diverso, con una pizzeria a degustazione e una certa ricerca dei prodotti, le cose sono più complicate.”

All’inizio anche La Pergola era una semplice trattoria di paese, prima che Tommaso decidesse di cambiare offerta nel 2015: “Questo per me ha significato dire addio alla clientela locale e alla margherita a 6,50 euro, diventare un po’ la pecora nera. È una cosa che succede spesso: un progetto cerca di distinguersi nel mondo della ristorazione e gli abitanti di questi posti lo snobbano. Per me questo è un problema gravissimo.”

Un’altra caratteristica è la stagionalità dei flussi, che Tommaso risolve riducendo gli orari in alcuni mesi più freddi in cui si dedica ai panettoni. “In più dal 2020 ho aperto un punto vendita di preparazione di pane artigianale che consegno anche nei paesi limitrofi.” Ma le difficoltà non si risolvono del tutto neppure così. C’è ancora il tema dei no-show, tutti quelli che prenotano e non si presentano in un contesto in cui non c’è nessuna possibilità di rimpiazzo. Allora perché stare qui? Perché quella di Tommaso e di tutti gli altri è, prima tutto, una scelta di vita, oltre che lavorativa.

Facendo questo brevissimo giro dell’Italia, è evidente che chi rimane affronta delle condizioni completamente diverse da quelle della ristorazione metropolitana o di provincia, che gode di una visibilità schiacciante. Abbandonati i paesi, chiuse le case e le attività di ospitalità, anche i ristoranti sono lasciati totalmente alla caparbietà dei loro gestori. Non resta che siano i clienti a popolarli decentrando le loro tappe gastronomiche e scegliendo fuori dai soliti circuiti. 

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