La gita interstellare di Clap! Clap!

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Musica

La gita interstellare di Clap! Clap!

Cristiano Crisci, in arte Clap Clap, ci spiega il suo nuovo lavoro A Thousand Skies e ci racconta come è finito a collaborare con Paul Simon.

Vi ricordate quando Cristiano Crisci si faceva chiamare Digi G'Alessio? Faceva elettronica acida e pulsante, e già nel 2012 diceva con orgoglio di non ritenere che le sue cose appartenessero a un genere specifico, concedendo solo un "sarebbe meglio ascoltare la musica e basta, captare quello che ti dà; credo ci siano dei grandi filoni culturali, e il mio è la black music." Inizialmente per "black music" potevamo intendere footwork, wonky e house (per quanto a lui non andasse giù); il primo seme di quello che sarebbe stato poi fu però un EP, Ivory, composto interamente da campionamenti di musica africana e versi di animali. Da quando ha iniziato a farsi chiamare Clap! Clap!—con Gwidingwi Dema, uscito nel 2013—le intenzioni sonore che Crisci aveva fatto sbocciare in Ivory hanno iniziato a crescere organicamente. Insomma, basta sentire il pezzo di apertura di quell'EP, che si intitola (pronti?) "Please Mother Rain Wash Our Souls From Human Evil" e si auto-qualificava come "un'ipnotica danza tribale moderna", per rendersi conto di come la ricerca di Crisci si stava spostando pesantemente in territori africani ancestrali.  Il botto, Cristiano, lo ha avuto con il suo primo LP, Tayi Bebba, uscito nel 2014 per la bristoliana Black Acre—che però, nonostante suonasse pesantemente africano, era composto per la stragrande maggioranza da materiale sonoro tratto dal patrimonio musicale delle tribù siberiane. Dopo un buon riscontro in Italia, sono iniziati ad arrivare cinque alti anche dall'estero—prima con il riconoscimento di un suo mix da parte di un'etichettina come Ninja Tune, poi del celebre DJ della BBC Gilles Peterson, e infine con la chiamata di Boiler Room.  L'ultima grande soddisfazione che Cristiano si è tolto è stata La Grande Collaborazione™. Il figlio di Paul Simon ha infatti passato a suo padre Tayi Bebba, che l'ha ascoltato e ha deciso di contattare il Crisci per lavorare insieme al suo nuovo LP. "Quando è arrivata, il mio manager pensava che fosse uno scherzo," ha dichiarato in un'intervista a Internazionale. "Mi ha aperto un mondo su una parte della cultura blues e gospel statunitense che non conoscevo." E tanto per, ha pure firmato un contratto di distribuzione con Warp.

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Proprio oggi esce A Thousand Skies, il suo secondo lavoro sulla lunga distanza. C'è sempre la black music e il tribalismo, certo, ma in questo caso sembra di intraprendere una sorta di viaggio cosmico. È un album molto variegato che passa dalla footwork degli esordi a paesaggi incantati, e che unisce ai campionamenti anche tantissime parti suonate dal vivo, creando una sorta di musica totale dal feeling più umano che in passato. Abbiamo fatto una chiacchierata al telefono con lui per tirare le fila del suo percorso finora.

Noisey: Ciao Cristiano, ricapitoliamo un po' il tuo percorso? Ho letto che hai cominciato dal rap, mentre ricordo bene che fino a qualche anno fa invece eri noto come Digi G'Alessio.
Clap! Clap!: È lunga, perché sono quasi vent'anni di cazzate, e anche poco interessante, però ti faccio la carrellata: ho iniziato tra il '95 e il '96 verso i 13, 14 anni come MC del 3gk che era una delle prime crew a Firenze—c'erano già gli Stamina 5 ma non c'era questa grande scena in Italia in generale, figurati a Firenze. È stata una cosa molto intensa per tutti noi, e infatti abbiamo continuato tutti a fare musica. C'è chi ha fatto etichette come Fresh Yo!Label, o gli Schoolboy Sound che sono diventati un soundsystem molto famoso in Italia, anche se ora hanno smesso. Ognuno ha preso la sua strada ma siamo rimasti molto legati alla musica. È partito tutto da lì. Tu di che anno sei?
Dell'81. Poi, arrivati intorno ai primi 2000 sono cascato sul punk-HC come molti adolescenti e da lì ho iniziato a suonare il sax, e diedi vita al Trio Cane, che faceva jazz-punk. Abbiamo fatto un disco, abbiamo suonato un po' in giro per l'Italia, sempre nell'ambito dei centri sociali. È durata tre o quattro anni. Poco dopo, facendo anche jazz nei club in Toscana mi sono avvicinato sempre di più anche al funk, al soul, e da questo filone sono ritornato un po' all'hip hop. Ho messo tutto quanto insieme ed ho iniziato il primo progetto di musica elettronica, sempre di gruppo, che era A Smile for Timbuctu, nel 2005. Dopo questo ho fatto partire il mio progetto solista che era appunto Digi G'Alessio. 2008-2009 feci il primo EP, le prime cose, tutto in free download. Nel 2012 feci l'EP Ivory che mi folgorò, ero superfelice del risultato, e da lì ho deciso di concentrarmi su quella direzione: molto tribale, rivolta a sonorità più africane, etniche, meno elettroniche. E ho creato un nuovo progetto che è Clap! Clap! per andare avanti su quella strada. Ed eccoci qua. Anche come ascoltatore immagino tu abbia spaziato molto.
Uh, tantissimo. Direi quasi a 360 gradi. Dall'ascolto accanito di hip hop all'ascolto accanito di hardcore e di punk, che poi ti portano a loro volta a scoprire tantissimi altri generi. Poi essendo sassofonista, oltre a esserci tutto il mondo del jazz c'è stato anche tutto il periodo della no wave, tutte le sperimentazioni legate al disco punk, o a cose come No New York. Il Trio Cane guardava molto a quelle cose lì: Pop Group, A Certain Ratio. Però il mio maggiore ascolto è sempre stato dedicato al jazz perché è una musica che mi ha sempre dato qualcosa su tutti i lati: sia per rilassarmi, sia per ballare, sia per l'ispirazione, per tutto. Gli ascolti principali rimangono là. Dove vivi adesso? Stai all'estero?
No, sempre a Firenze! Chissà perché ero convinto che stessi a Londra, forse per l'etichetta.
No, no, troppo caotico. Ho fatto un po' di giri, ho vissuto a Rotterdam, un po' in giro, ma poi sono tornato. In primis per la famiglia—abbiamo deciso di far crescere nostra figlia qua in Italia, e poi sono molto legato al territorio. Per quanto uno non ci sia legato a livello sociale, a livello politico, come penso il 99% degli italiani, ci siamo legati per tutto il resto. Sai il sole, il cibo buono… (ride, nda)

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Dalla percezione che ne hai, il tuo è un seguito principalmente internazionale?
Eh, sì. All'inizio soprattutto è andato molto molto più all'estero. È uscito da Londra comunque, come progetto. L'Italia è arrivata un po' dopo, però c'è sempre stata dai, un po' anche per chi seguiva prima Digi G'Alessio, un po' perché comunque un pubblico per certe musiche c'è. Ora di più, sta andando meglio. Poi magari c'è anche quel discorso che una cosa italiana viene percepita come figa solo dopo che se ne sono accorti all'estero.
Sì, è una routine. Però ho notato che non ce l'abbiamo solo noi: tutta l'Europa guarda sempre a Londra e Berlino, anche perché insomma sono città che hanno prodotto grandi cose, hanno fatto veramente cultura. Però sono contento comunque della situazione italiana, sia a livello di band che di produttori. World music ma anche cose più nuove, un'impronta footwork…Tu come definiresti quello che stai facendo? Se vogliamo definire, che è sempre una cosa un po' antipatica.
Ma no, invece fa bene: è comodo, aiuta. Aiuta anche nella ricerca della musica. Descriverla però è molto difficile, per me è una rappresentazione di quello che vivo ogni giorno. Si vede anche nell'itinerario della musica di Clap! Clap!, dal primo EP all'ultimo album non ti dico che sono due musicisti diversi perché lo stile è molto personale, però la musica è molto, molto varia. Il primo EP è molto scuro, le ritmiche sono molto accentuate, è una cosa molto underground quasi tutta a 160 bpm con cassoni giganteschi. Nell'ultimo album invece ci sono proprio cantati melodici. In questi anni ho avuto una figlia, mi è cambiata molto la vita, e questa cosa si legge nella musica. Per me è una cosa legata, più che a un genere musicale, a quello che vivo ogni giorno: in un momento bello produco un determinato tipo di musica, nei momenti neri un altro. Non tanto ispirandomi a qualche artista, ma proprio a come sto, e vai: macchine e si registra.  Secondo me in questo lavoro comunque si sentono anche delle forti radici hip hop.
Sì, sì, sì. anche perché tra le macchine usate per la registrazione dell'album ci sono l'SP 404 e l'MPC che sono praticamente le macchine principali del genere, con cui sono stati fatti la maggior parte dei beat, quindi anche in un discorso di sound e sonorità quello si sente molto. Quando registro dal vivo con le macchinette facendo le batterie a mano mi viene molto da andare su ritmi sui 98, 95 e si va subito su quel genere, ecco.

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C'è anche un concept dietro al disco, giusto?
Il concept, come feci per Tayi Bebba, è un piccolo racconto che segue i brani. Tayi Bebba era un'isola dove succedevano delle cose, invece per A Thousand Skies è la storia di Agata, che è questo personaggio che si addormenta e inizia a sognare di viaggiare nel cosmo. Viaggiando tra le stelle le appaiono tutte quelle che sono la rappresentazioni greco-romane delle costellazioni, da Orione, il Toro, Andromeda… Le appaiono come sono descritte nella presentazione greco romana però con caratteri completamente differenti, fanno altre cose. Ho giocato su questa cosa qui, che segue molto l'idea cosmica dell'album e esprime il concetto di ritornare, alla fine di un ciclo, e trovare molti anni dopo il pianeta cambiato, che vive nell'amore e nella pace. Un po' come in Tayi Bebba, anche qui c'è un finale con pace e amore. Tra il personaggio femminile e il fatto che hai avuto una figlia da poco c'è qualche legame?
Sì sì sì, senza dubbio è lei. Quando ho fatto l'album e ideato la fiaba Greta era appena nata, e io sono concentrato tutto quanto là, ed è abbastanza ovvio che la mia ispirazione al momento sia tutta su lei. Campionamenti, ok, ma c'è anche molto suonato live.
Tantissimo. Nei lavori precedenti sono sempre andato a campionare da diverse parti del mondo, soprattutto all'inizio mi sono concentrato principalmente su posti freddi, come la Siberia, o le pianure della Mongolia, le steppe… e cercare di produrre ritmi caldi, come i ritmi tribali africani. Questa era la prima ricerca di Clap! Clap!, mentre ora è molto più concentrata su quello che è il nostro suolo, infatti ci sono tantissimi sample che vengono dall'Italia, non solo field recording miei ma anche di archivio, di Di Martino, di Alan Lomax. Per quanto riguarda i musicisti praticamente ho raggruppato molta gente con cui avevo già suonato, come la mia prima band, o i jazzisti con cui si suonava insieme. Dall'hip hop al funk al punk al jazz, con gli stessi musicisti, tutti insieme in una sala a registrare le nostre sensazioni. Questa era l'idea e sono molto felice di questa cosa. Soprattutto del risultato. Chi suona il piano in "Ode to the Pleiades" ?
Nicola Giordano che è un mio carissimo amico, pianista fiorentino. Mi piace tantissimo quello che fa. Qualsiasi registrazione che abbiamo fatto è sempre stata fatta alla prima: momenti veramente belli e naturali.

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Nel disco (nell'ultimo pezzo, davvero molto bello) c'è HDADD. 
C'è Marco, bravo! Che a Noisey amiamo particolarmente, il suo ultimo disco è stato una nostra premiere. Che rapporto avete?
Siamo fratelli, fratelli da altri genitori. Ci assomigliamo anche: siam tutti e due piccolini con la pelata (risate). Con lui collaboro già dai tempi di Digi G'alessio, avevamo fatto Danse avec les loops che era il disco con Colossius, poi avevamo un progetto insieme noi tre, che era Brain Funk—lui all'epoca si faceva chiamare ancora Uxo e non ancora HDADD. Io sono completamente innamorato della sua musica, soprattutto le interpretazioni della musica mediterranea che ha lui. Si sente tantissimo, anche se molte volte sono pad, droni (scusa il termine), però si sente tantissimo la sonorità mediterranea, che è una cosa difficilissima da fare, veramente. Soprattutto oggi. Questa cosa si sente in Edizioni Mondo, l'etichetta di Francesco, non solo per le scale ma parlo proprio di sonorità, e la sento da morire nella musica che fa HDADD. Per questo l'ho voluto nell'album e per questo ci ho sempre collaborato da dieci anni a questa parte. Ci sentiamo spesso e collaboriamo insieme, siamo veramente amici stretti. Cosa pensi che A Thousand Skies abbia qualcosa in più, o anche semplicemente di diverso, rispetto al lavoro precedente?
Molte diversità. Molti lavori vecchi erano più basati sulla ricerca, sull'inventare dei suoni nuovi che non esistevano, basandomi su cose già fatte da altre persone: metterle insieme fino a trovare la sonorità che stavo appunto cercando all'inizio. Questa invece è stata molto più istintiva, perché essendo molto più suonato, molte delle registrazioni sono prese alla prima, e si sono tenuti anche gli errori. In passato ho sempre cancellato, rifatto… invece in questo album ho voluto tenerli per tenere il tutto più vivo possibile. Penso sia un disco un po' più umano.

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Parlami un po' di Paul Simon. Come è andata?
Nacque tutto quando il mio manager mi scrisse "non so se è una bufala, è molto strano, ma sembrerebbe che Paul Simon voglia incontrarti per farti sentire le sue canzoni!" ti rendi conto? "Guarda, è una bufala" gli ho detto, "ma te prova, vai avanti". E invece era veramente lui che voleva farmi sentire delle canzoni, quindi già una cosa surreale. Ci siamo sentiti prima tramite management poi siamo entrati in contatto, è stato molto bello. Lui era rimasto molto colpito da Tayi Bebba e mi ha iniziato a parlare di Graceland e di tante cose di ricerca che aveva fatto lui, che aveva rivisto nel mio disco, e in effetti… lui lo ha fatto vent'anni prima e io in un'altra maniera, con un altro genere, però effettivamente ci sono molti legami. Non è soltanto la kalimba o l'indira o l'Africa, ma è proprio un discorso su come si va a ricercare sulla musica, in una maniera più spirituale, più realistica che invece soltanto relativa al sound come succede spesso.  Comunque fissammo questo appuntamento, lui era in tour a Milano, ci vedemmo in hotel, aveva tutto l'album in fase embrionale nel computer, mi fece sentire e mi chiese cosa ne pensavo e soprattutto se c'era una canzone dove potevo sentire di metterci sopra qualcosa di mio. Io ci sono rimasto. La sua musica è molto diversa dalla mia, quindi è molto difficile, però mi piacque tutto, e scelsi una canzone.

Mi mise in contatto con il suo sound engineer, che è Roy Halee. Fu assurdo perché quando mi scrisse Roy Halee, ancora prima di mandarmi i file, nella prima mail mi scrisse per complimentarsi per il suono di Tayi Bebba. E lui è l'ingegnere del suono di Bob Dylan, comunque. È uno che se ti fa i complimenti sul suono di un disco ci rimani veramente di stucco. C'ho la mail stampata! Avevo gli occhi lucidi.
Poi allora feci la prima canzone, e feci dieci take di questo primo pezzo, perché ci vai con i guanti sul lavoro di altri. Il primo take era quello che aveva fatto lui, con aggiunta giusto una drum machine, tipo. Nel take 2 c'era già qualche aggiunta in più… e man mano, nel take 6 avevo cominciato a togliere anche delle cose sue ,e il take 10 era praticamente un remix. Tutta la scala… con molto rispetto. E lui scelse il take 8! Ci rimasi! Era molto modificato, ed è "The Werewolf" poi più o meno come è uscita. Poi mi ha scritto che era molto contento del risultato finale, gli sembrava una delle canzoni più belle dell'album e se volevo farne un'altra. Da lì siamo arrivati a quota quattro, una non è finita nel disco, ma siamo a quota quattro. Una delle soddisfazioni più grosse della mia vita.

È anche uno di quei nomi di cui puoi vantarti, che ne so, con i tuoi genitori e sanno di cosa stai parlando.
Sì! È una pagina della storia della musica. Dopo questa cosa mi hanno messo su Wikipedia. Fantastico! Un paio di mesi faho partecipato a un incontro al festival Jazz Refound sulle contaminazioni tra musica italiana e musica nera, e ho definito il lavoro tuo e anche dell'ultimo Go D ugong come "musiche post-tutto per un mondo post-globale", dicendo anche che "da italiani buttano fuori roba assolutamente slegata da qualsiasi identità nazionale, pastiche totali, fatti di sample o di parti originali, con ospiti dal mondo intero, frullati in assoluta libertà, ma senza poter prescindere da innegabili radici black". Ti ci ritrovi?
Pienamente. Anche DJ Khalab fa questo secondo me, in Italia fortunatamente sta venendo fuori un buon numero di produttori che non va molto a seguire troppo le mode estere ma cerca di crearsi una sua identità e un suo stile. Questo per me è l'abc di tutto. E più siamo e meglio è. E ci hai preso al 1000%, almeno per quanto riguarda me. Dove vorresti arrivare? Quali sono i tuoi obiettivi?
Sto sereno. Basta, va bene così. Come dice Notorius B.I.G., "mo' money mo' problems". Starei tranquillo con la mia famiglia senza rompere le palle a nessuno. Ovviamente facendo la mia musica. Federico non ascolta solo musica post-tutto, ed è anche su Twitter: @justthatsome Segui Noisey sFacebook e Twitter. Altro su Noisey: La rivoluzione nera dell'afrofuturismo L'influenza della cultura black sulla musica italiana Gqom è la musica degli Zulu, è un genere reietto