“A volte nelle polveri ci sono sofisticazioni: curcuma, calendula, barbabietola, addirittura coloranti”
Cose di cui crediamo di sapere tutto: lo zafferano.
Cose di cui non sappiamo nulla: lo zafferano.
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Io vivo in una regione, l’Emilia-Romagna, in cui lo zafferano non è una spezia utilizzata nella cucina tradizionale. Non ricordo nemmeno di aver mai comprato lo zafferano al supermercato. Per quanto ne sapevo, lo zafferano si trovava in polvere, era sempre di colore giallo vivo e si usava nei risotti. Poi mi è capitato di parlare con Raffaella Fargion di Zafferano del Cardinale e ho capito che buona parte, se non tutte, le cose che credevo sullo zafferano erano sbagliate.
L’azienda è stata fondata da suo padre, Beppino Fargion, e ora serve alcuni dei più grandi ristoranti di Milano e non solo – basti pensare che erano loro a rifornire Gualtiero Marchesi con lo zafferano utilizzato per il suo celebre risotto all’oro.
Cos’è lo zafferano?
Fun fact: per un chilo di spezia occorrono circa centoventimila fiori.
Iniziamo a dire cos’è lo zafferano. Lo zafferano è una spezia che si ottiene dagli stigmi del fiore del Crocus Sativus. Il 90% della produzione mondiale viene dall’Iran, seguito da Spagna e Grecia, ma anche in alcune zone d’Italia: provincia dell’Aquila, Sardegna del Sud, provincia di Siena e altre piccole coltivazioni tra Marche e Umbria. Beppino Fargion intratteneva rapporti commerciali con svariate parti del mondo per selezionare lo zafferano migliore e ora la maggior parte dello zafferano che commercializzano viene coltivato nelle pianure spagnole della Mancha e nella regione iraniana di Khorasan.
Ma qual è il legame tra il fiore violaceo e il vostro risotto? Lo zafferano è noto per essere una delle spezie più costose al mondo per il suo tipo di lavorazione: i fiori si raccolgono a mano e gli stimmi (pistilli) devono essere estratti manualmente entro poche ore. Da questi si ricava la famosa polvere ma possono anche essere venduti interi. Fun fact: per un chilo di spezia occorrono circa centoventimila fiori.
Come si riconosce lo zafferano di qualità?
Partiamo da un numero, ISO 1 3632, una categorizzazione internazionale che misura il contenuto di crocina (responsabile del tipico colore), picrocrocina (responsabile del gusto) e safranale (responsabile dell’aroma) nello zafferano, e in base a quello ne decide la qualità.
Più la crocina è alta più lo zafferano è rosso e più è di qualità anche a livello aromatico e gustativo.
Raffaella Forgion commercializza solo zafferano che appartiene alla categoria di prima qualità ma “il problema è che non ci sono regolamentazioni che impongano di mettere la categoria nell’etichetta. È difficile quindi per il consumatore capire quale zafferano è meglio. Io creo sempre una scheda tecnica di accompagnamento e faccio fare analisi doppie. Ma siamo in pochi a farlo.”
Quando lo zafferano non è zafferano
Allo zafferano si aggiungono altre cose, ad esempio stilo e granella macinata dello stimma: se durante la raccolta si spezza perde qualità organolettiche e non è vendibile, se non macinato
Questa mancanza di regolamentazioni incide anche sulla presenza o meno di zafferano nella bustina. Sul serio. “Spesso quello venduto nella GDO è uno zafferano di minore qualità, derivante in parte anche dallo scarto dello stimma,” spiega Raffaella Fargion. “Ad esso si aggiungono altre cose, ad esempio stilo e granella macinata dello stimma: se durante la raccolta si spezza perde qualità organolettiche e non è vendibile, se non macinato.” E non è finita qui: a volte nelle polveri ci sono sofisticazioni. “Curcuma, calendula, barbabietola, addirittura coloranti,” spiega Raffaella.
Parlo anche con Stefano Citi di TourDeFork che ha creato il brand Secret Saffron proprio per valorizzare la spezia: “Intorno allo zafferano c’è tanta complessità. Ci sono tante nozioni, tanti dati, tante informazioni. Quante persone sanno esattamente cos’è? Che viene da un fiore, che non esiste solo in polvere?”. Con il progetto vuole educare il grande pubblico alla conoscenza della spezia attraverso eventi, allestimenti, esperienze sensoriali. E la creazione di prodotti utili ad utilizzarlo come lo stemperatore, un contenitore che aiuta a contare quanti pistilli utilizzare e a lasciarlo in infusione.
Come riconoscere un buon zafferano?
Il prezzo è di 15-20 euro al g, quindi 15-20.000 euro al chilo: l’equivalente dell’oro.
Partiamo dagli stimmi che non sono necessariamente migliori o peggiori della polvere. Come spiega Stefano: “I ristoratori acquistano soltanto gli stimmi perché preferiscono lavorarli loro. Per natura o pistilli si devono presentare con delle sfumature, con una colorazione non omogenea: bordeaux-marroncina scura in cima, più arancionata in basso. Deve essere secco e non umido: senza essiccazione non si ottiene zafferano.”
In mancanza di informazioni precise di tracciabilità di riferimento dobbiamo basarci su altri criteri anche per la polvere. Possiamo affidarci al colore: a differenza di quanto crediamo, non deve essere giallo, deve essere rosso. Più la crocina è alta più lo zafferano è rosso e più è di qualità anche a livello aromatico e gustativo.
Le bustine della GDO sono da 0,15 g. Raffaella però racconta che difficilmente un prodotto di qualità elevata viene davvero pesato in quantità così piccole. “Il prezzo è di 15-20 euro al g, quindi 15-20.000 euro al chilo: l’equivalente dell’oro. Diciamo che non mi aspetterei un grammo di ISO 1 a meno di 10 euro.”
E la provenienza? Come dice Raffaella, la maggior parte della produzione è in Iran, ma questo non significa che uno zafferano proveniente da lì sia necessariamente migliore, o peggiore, di un altro: “ha semplicemente il miglior rapporto qualità-prezzo.”
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