Il mio non-primo appuntamento con Ghemon
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Musica

Il mio non-primo appuntamento con Ghemon

Sono stata a fare due tiri a canestro con Gianluca, in arte Ghemon, e mi sono fatta raccontare un po' il suo nuovo album: Mezzanotte.

Questa storia del primo appuntamento come gioco delle parti su cui doveva nascere l'articolo ha retto ben poco, visto che io e Gianluca ci conosciamo già.

Questo genere di incontri ricade a bomba in quelle coincidenze assurde che mi capitano a fasi alterne; quelle cose che, se le confidi a una persona che non ti conosce, sono difficilmente credibili. È successo che ben cinque anni fa, per cause e motivi fortuiti e non decifrabili, ci incontrassimo. A dire tutta la verità quando lo conobbi non sapevo quasi neanche chi fosse, perché era un periodo in cui non ascoltavo rap italiano. Ma capitava spesso che mi addormentassi con "Piccole Cose" o "La Luce".

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Per tutte le fan di Gianluca all'ascolto chiariamo subito che non c'è stata nessuna love story, né un'amicizia profonda. Il filo che ci lega ancora adesso probabilmente è lo stesso che lega due persone affini che hanno un ottimo ricordo l'uno dell'altra. Io per esempio ricordo una passeggiata, un concerto e un sushi. Gianluca probabilmente lo stesso visto che non appena mi raggiunge sulla panchina del mio parco fa a Francesco (un ragazzo che collabora col suo team e che lo ha accompagnato il giorno dell'intervista): "Lei è Laura, e un po' di tempo fa davanti a un sushi che ci prendemmo vicino a casa sua, tirò fuori dalla borsa un quaderno tutto nero con le pagine bianche; su quello scrissi ORCHIdee".

Poi non dimentichiamoci che io e Gianluca abbiamo in comune l'essere campani, ovvero discendenti di Nino D'Angelo e portatori sani di incapacità di produrre il suono "gl"; cosa che, vi assicuro, ci mette in una confort zone psicologica pazzesca.

Ritornando al nostro non-primo appuntamento, per agevolare l'atmosfera familiare, ho scelto non a caso il campetto da basket del mio quartiere: il Parco delle Cave di Baggio. Il campetto è preso d'assalto per tutto l'anno da una comunità di cestisti che organizzano tornei a ripetizione, ma per fortuna, con l'inizio delle scuole e della stagione lavorativa, siamo rimasti piuttosto tranquilli—a parte l'intromissione a metà intervista di una crew di skater tredicenni con gli speaker nella felpa e Desiigner a palla. Ma nel pieno bronx baggese, in una giornata dal cielo grigio temporale, questo era il minimo che ci potesse capitare.

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Ghemon ama il basket come Fantastic Vol. 2 degli Slum Village, o come Voodoo di D'Angelo. Arriva in tuta e Jordan e gli occhi si illuminano nel vedermi con una palla in mano ed esclama subito: "Biri, che figata", poi aggiunge: "Sapendo che venivano due maschietti ti sei messa davanti ai carabinieri, hai fatto bene".

Dal 2013 a oggi, prima ancora di ORCHIdee, credo che Gianluca abbia affrontato una metamorfosi artistica, fisica e personale non indifferente. Con l'obiettivo di rimanere fedele alla matrice, ha ricercato e si è costruito con fatica il suo habitat naturale; un luogo in cui non deve per forza accontentare tutti quanti, ma piuttosto plasmare le sue liriche lasciandosi guidare dal suo istinto. È da questo che nasce ORCHIdee, un album interamente suonato che ha donato al suo rap un colore nuovo. Il codice comportamentale e artistico iniziato con ORCHIdee si è evoluto fino a portare a Mezzanotte, che ho ascoltato in anteprima.

Rompo il ghiaccio:

Noisey: Cosa succede a Mezzanotte, Gianluca?
Ghemon: Per evitare un risposta marzulliana, è successo che quando ho scritto il pezzo "Mezzanotte" ho subito pensato che sarebbe potuto essere il titolo giusto per l'album. Perché (e potrai capirmi, avendo anche tu origini campane) la prima cosa che mi è venuta in mente è stata "non può venir chiù ner' ra notte". È stato un periodo molto tosto per me, di grossi cambiamenti e personalmente molto duro. A me poi piacciono i titoli polivalenti come era già stato ORCHIdee. E come ogni parola che racchiude due significati o simboli, con Mezzanotte intendo dire che peggio di così non può andare e quindi non potrà che andare meglio. Tutto poi si evince anche dalla copertina: l'alternanza di luce e buio assieme alla contrapposizione tra la mancanza di melanina che fa la pelle bianca e l'anima musicalmente nera.

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Quindi è vero che i buoni vincono a mezzanotte?
Lo spero. Il rischio che si ha con la poetica italiana, alle volte, è quello di sfiorare un pochino l'autolesionismo e l'autocompassione. Ma io volevo scrollarmi un po' queste ondate di tristezza e dire vaffanculo a un po' di gente. E nel disco lo dico più volte, ne avevo bisogno.

Mi ricordo che un giorno mi scrivesti in un messaggio che era molto difficile per te essere un'artista consapevole e responsabile, perché era facile cadere nell'autocompiacimento, simbolicamente simile a un vicoletto da cui non riesci a uscire; circondato da voci che ti incitano e altre che ti sussurano che non ce la farai mai, col rischio di non distinguere più le due cose che per te diventano delle urla, e allora vuoi solo silenzio.
Ti sei ricordata bene, e forse to lo dissi quando già stavo andando verso ORCHIdee. Non è che a me non piaccia o non piacesse fare rap. C'era come una parte di mondo che sentivo mi appartenesse tantissimo ma che non stavo esplorando ancora per paura e insicurezza. Volevo fare un salto qualitativo, ma mi resi conto che il prodotto che ne usciva era pura estetica, quasi masturbazione. Fare la strofa sempre più complicata, più tecnica, mi aveva portato a collezionare cose in cui mi stavo solo specchiando. Era come stare in una zona di confort che ti fa stare tranquillo, ma poi ti frustra se cominci a desiderare di scoprire l'altra parte del mondo.

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Cos'hai fatto allora per uscire dal vicoletto?
Eh, non è semplice: ho agito turandomi il naso e buttandomi un po' di più, perché certe volte, sopratutto se sei insicuro o perfezionista—due lati della stessa mitomania—non ti butti perché vorresti fare da subito il massimo sapendo già che non sarebbe possibile. Poi in realtà quando riesci a lasciarti all'ignoto sorprendi te stesso rendendoti conto che delle cose le sai semplicemente fare quasi con naturalezza. Agire in questo modo negli ultimi anni mi ha portato molte più rassicurazioni. Per esempio: andare al Festival della Lettura a Ivrea o al Corriere per parlare ai lettori non erano di certo i miei ambienti da musicista. Ma vedere che poi andava tutto bene mi portava a capire che forse il mio punto di forza è proprio come racconto le cose. Se non mi fossi buttato avrei perso preziose occasioni di confronto con me stesso e con gli altri che oggi considero piccoli attestati pratici di fiducia verso me stesso.

Secondo me quando fai ginnastica con le parole finisci per limarle così tanto che di riflesso le appesantisci. È successo anche in Mezzanotte, vero?
Sì, ma per la scrittura di questi pezzi ho dovuto lavorare su di una cosa che prima mi sembrava impossibile avendo una formazione musicale fatta dal 90% di musica americana nera. Dopo tanto studio dovuto dall'ascolto ho compreso che le parole in inglese sono conformate in un certo modo, e che quindi la costruzione della melodia risente di tutte queste parole tronche associate a una determinata ritmica. Infatti se io provassi a rifare una melodia in italiano di Frank Ocean su chissà quale testo impressionista, non si capirebbe un cazzo perché noi non abbiamo parole tronche. Ho dovuto quindi trovare una chiave perché l'italiano suonasse ritmico e le melodie ricordassero quella roba lì, tentando di allontanare i rimandi alla musica pop italiana. Avrei potuto anche fare una cosa pseudo ritmica italiana spostando gli accenti, ma di sicuro i ritornelli cantati sarebbero sembrati quelli degli 883. Ho preferito trovare una formula in cui usavo un italiano dignitoso per quella melodia, diciamo che ho iniziato a sperimentare.

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Avevi già iniziato in ORCHIdee, giusto?
Sì, ma lo costruzione del ritornello è molto diversa dalla stesura di un pezzo intero. Certe volte vuoi delle cose con la melodia, ma le parole te la cambiano e non puoi chiudere prima. Infatti ci riusciva chi usava il dialetto come Pino Daniele. Se badi bene in alcune canzoni di Pino dove non usa il dialetto ci sono delle parole in inglese.

Mi dicevi che stavi impazzendo con i volumi, è ancora così? E, parlando di volumi: com'è il rapporto col tuo corpo, ora che dividi il palco con una band vera?
Sì, è sempre strano questo rapporto. Ti ci senti in sovrappeso anche quando non lo sei più. E allora devi fare training autogeno, ti devi rassicurare. Adesso ho più sicurezza col mio corpo e con la mia voce grazie alle emozioni e a quello che succede sul palco. Devo dire grazie alla mia vocal coach Beatrice Sinigaglia, che, a oggi, è diventata un'amica e consigliera. Era l'insegnante di Alessia, la mia corista. Dopo ORCHIdee volevo fare un passo in avanti. Ho avuto insegnanti sempre generosi, come Al Castellana, ma Beatrice ha saputo lavorare in primis sulla componente tecnica e psicologica che mi ha permesso di ributtarmi nelle cose lavorando sodo sulla voce. Senza questa spinta non avrei mai cantato così in questo disco. Non ci sarei mai arrivato se non avessi lavorato a spingere più in là la mia asticella personale. In passato, per decenza, mi sono sempre voluto fermare prima.

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Secondo me in ORCHIdee i testi e le melodie si muovevano come su di un'altalena sorretti da uno storytelling che non sempre ti vedeva in primo piano. In Mezzanotte, invece, è come se affrontassi un viaggio lunghissimo seduto in una macchina da solo. Mi sbaglio?
È assolutamente così, ma, come la maggior parte delle cose che faccio, non è una scelta. Giorno per giorno andavo in studio e scrivevo di me, perché non sapevo di che altro parlare. Questo è un disco di profonda solitudine, di un periodo di vita in cui sono stato principalmente da solo. Sono cambiate le mie frequentazioni, si è interrotta una storia importante, ho conosciuto un miliardo di persone nuove ma nessuna ha superato l'asticella del vedersi più di due volte. Diciamo che poche sono le persone che sono rimaste lì di supporto e che anche io sentivo di poter chiamare. È un disco di profonda solitudine, ma non per questo deve passare che è un disco triste, la luce arriva. In un periodo così le pippe mentali sono dietro l'angolo e quindi ho deciso di processare attraverso la scrittura di Mezzanotte tutte le cose che avrei voluto dire alle persone che si sono allontanate dalla mia vita in quel periodo.

Ne parlerai con loro?
No, no. Anche perché si potrebbero sentire chiamate in causa persone che non lo sono.

Con "Veleno" affrontavi la nostalgia, la malinconia, le aspettative e le insoddisfazioni. Visto che hai sempre parlato di voler trovare l'antidoto al veleno, vorrei sapere se con Mezzanotte ci sei riuscito.
In primis ti posso dire che sono tanto incerto quanto molto positivo e penso di aver trovato una cosa migliore dell'antidoto, ovvero dei motivi fondanti che mi garantiscono un futuro dove mi sento stimolato. Credo di aver aperto un sacco di porte per me scrivendo questo disco; ho trovato delle formule nuove che già da sole vanno bene così, e che mi possono portare ad altre cose. Mezzanotte è un disco di rottura, è più coraggioso di ORCHIdee che affrontava risvolti di vita più leggeri. Mezzanotte è stato fatto in un periodo di vita estremamente complicato per me; è come un diario in cui ho scritto tutto ciò che stavo vivendo. La cosa più preziosa, ritornando alla tua domanda, è che sono venuto a capo della combinazione di una cassaforte difficile da aprire per me e ora che l'ho trovata è una figata. Non mi devo per forza ripetere, posso fare cose nuove, come guidare una band o farne parte. Non sono diventato un cantante perché il rap è dei giovani, ho solamente scelto di sperimentare cose nuove che sentivo mie.

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Notavo che in Mezzanotte, ma anche prima, usi parole come "confessione", "preghiera", "magia nera" e nell'artwork, dopo i ringraziamenti, citi un pezzo della canzone "13th floor" degli Outkast in cui si parla di Dio, discepoli e diavoli. Com'è il tuo rapporto con Dio e perché hai scelto quella citazione?
Diciamo che di Dio percepisco la presenza, ma credo di essere una persona più spirituale che religiosa. Cito una frase di Francesco: "Dio è uno a cui scrivo su Whatsapp e mi becco sempre un visualizzato". Quella frase degli Outkast appartiene a un disco che adoro e a una canzone in particolare che ascolto spesso: "13th Floor". Tredici è il mio numero perché nel gioco della vita mi ritorna sempre. Il pezzo che ho inserito nell'artwork racconta che Gesù assieme ai discepoli fa tredici, un numero importante. Ma il diavolo è sempre presente e quando ti dice che è la fine è solamente l'inizio. Tutto permane nel concetto primordiale di Mezzanotte; bene e male, dentro e fuori di me, luce e buio, bianco e nero.

Già dopo l'uscita di ORCHIdee avevi affermato che il tuo istinto dopo aver concluso qualcosa di importante e bello è quella di demolirlo. In quest'ottica, anche se Mezzanotte non è ancora ufficialmente uscito, smonteresti qualcosa per costruirla da capo?
No, non scomporrei niente questa volta. Mezzanotte è già il riassunto di trenta canzoni e un centinaio di strumentali. Ho già asciugato tutto, non voglio fare un buco, non voglio scomporre niente, né tantomeno superarlo. Ora voglio davvero vivere quello che ho fatto. Dopo ORCHIdee sentivo che ci sarebbe voluto più tempo prima di cominciare a scrivere cose nuove. Adesso, invece, sarei pronto a costruire sopra questo disco altre canzoni anche domani, ma non farei niente diversamente.

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Mezzanotte è la seconda stagione di una serie TV su cui hai già fatto play, oppure ci troviamo davanti a una serie completamente nuova?
Allora non so se la vivo come una seconda stagione di True Detective dove resta solo il nome della serie quindi è tutto diverso, oppure la vivo come Better Call Saul. Forse più come quest'ultima. Nella seconda stagione di Better Call Saul c'è tutt'altro, altro ritmo di racconto con qualche personaggio che ritorna. Ecco, forse Mezzanotte è più uno spin off che una seconda stagione. Era bella questa domanda.

Non sei nella copertina dell'artwork, è stata una scelta anche questa?
Assolutamente sì, non volevo esserci perché non lo desideravo. La scelta dei corpi femminili nudi è stata mia, sviluppata poi da Corrado e da Giuseppe (iononsonopipo). Il corpo nudo di una donna è una cosa istintiva. Volevo che l'artwork avesse un linguaggio diretto e che uscisse fuori dagli standard.

Che tipo di produzione avete costruito questa volta?
La produzione è totalmente diversa, gli unici due punti fissi siamo rimasti io e Colliva, con Macro e Filippo alle spalle. È davvero una fortuna avere delle persone che ti permettono di fare quello che vuoi fare, prendendoti tutto il tempo di cui hai bisogno, non è scontato. Anche perché l'impegno economico per una produzione come questa non è indifferente. Dietro al disco c'è un impiego di energie, risorse e soldi importante e sentirmi libero di fare quello che voglio ha un peso maggiore sulla coscienza. Io e Colliva dopo ORCHIdee abbiamo continuato a sentirci. Ho cominciato a fare le basi da solo (e in un secondo momento insieme alla band), con più impegno del solito, perché avevo ben chiaro dove volessi arrivare e ci tenevo ad arrivarci prima degli altri.

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Figurati che "Temporale", non solo è il primo singolo uscito, ma è proprio il primo pezzo che ho creato per Mezzanotte. L'ho finito il 15 gennaio 2016 mentre con le mie dita da tirannosauro premevo i tasti sulla tastiera. Ascolta un po'… [a questo punto prende il cellulare e ricerca tra le mail l'audio test di quella canzone, lo trova e ci fa sentire] Ero a casa quel giorno, ed ero talmente preso dal momento che non ho nemmeno collegato il microfono, ma da seduto ho registrato cantando negli auricolari del telefono. A livello di produzione, poi, abbiamo capito che quando eravamo tutti insieme nello studio riuscivo a dirigere, ma non potevo interagire. Piano piano abbiamo trovato la formula corretta: il numero perfetto per scrivere un pezzo è in tre.

Ricordo perfettamente la tua passione per le parentesi. Se dovessi aggiungerle, quale canzone di Mezzanotte sceglieresti e cosa scriveresti?
[ Sorride ] È vero, mi piacciono assai le parentesi e le uso spessissimo. Fammici pensare… ce l'ho: la canzone è "Mezzanotte" e tra parentesi scriverei "stronza".

Giallu, quindi non sei più un principe?
Ex Principe, oppure ti potrei dire "Many-Faced God" per citare Game Of Thrones. È un eufemismo però, non voglio ammazzare nessuno eh.


A questo punto il tempo era già volato più veloce del previsto, e considerando che Gianluca-oltre ad avere un altro impegno da lì a pochissimo, non vedeva l'ora di fare qualche tiro a canestro, ci avviamo a chiudere la conversazione. Mi chiede quale canzone o canzoni mi siano piaciute di più e perché. Gli rispondo che sto ancora cercando di metabolizzare l'intero disco, l'ho potuto ascoltare solo cinque volte. Se in ORCHIdee il cantato poteva stupire e disorientare, in Mezzanotte ti lascia completamente senza bussola. Piano piano, però, riesci a riconoscere qualche punto fermo a cui aggrapparti e tutto ritorna normale. La mia scelta ricade su "Mezzanotte" e "Kintsugi", traccia abbastanza incazzata che chiude il disco. Non dice cose molto diverse dalla prima "Impossibile", in entrambe c'è di fatto la stessa veemenza e forza proprio come se fossero le due parentesi dell'intero album.

Adesso era davvero arrivato il momento di toccare la palla, ma prima di alzarci dalla panchina gli dico: "Ho una cosa per te".

Gianluca: "Ah, lo hai fatto davvero! Sapevo che avresti tenuto fede alla promessa".

Dalla borsa tiro fuori un pacchetto che Gianluca scarta al volo. Per lui un'agenda nera con le pagine bianche, per il suo prossimo album.

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