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Politică

Come il Movimento 5 Stelle si è fatto fregare da Salvini

Dopo il 4 marzo il M5S era il primo partito e la Lega era al 17 percento. Adesso le cose sono cambiate.

Sono passate poco più di 24 ore dalla definitiva morte del “governo del cambiamento” e forse è arrivato il momento di parlare di come sono andate le cose—ovvero dei rapporti di forza tra Movimento 5 Stelle e Lega, del modo in cui questi sono cambiati dal voto ad oggi, e di come tutto questo abbia portato a un possibile governo tecnico guidato da Cottarelli.

Nelle ore che hanno accompagnato la rottura sul nome di Savona come Ministro dell'Economia, sono comparsi diversi retroscena che ne hanno dato una spiegazione precisa: lo scontro si sarebbe radicalizzato fino a diventare un aut-aut per volontà di Salvini, che in pratica cercava solo una scusa per non fare il governo, mentre Di Maio era più aperto ai tentativi di mediazione.

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Ad esempio, secondo La Stampa, Giancarlo Giorgetti—stretto consigliere di Salvini e uno dei nomi che sarebbero stati proposti come alternativa a Savona—avrebbe detto a un amico via telefono che Salvini "una volta dice che vuole usare la candidatura del prof. Savona come un piede di porco per far saltare tutto, un altro momento ci ripensa." Anche Vincenzo Spadafora, un deputato M5S vicino a Di Maio, si sarebbe espresso in modo simile quattro giorni fa: "Salvini si sta imputando così su Savona perché vuole tornare al voto." Così come l'avrebbero capito i piani alti del M5S, almeno secondo il Corriere della Sera che ha riportato una frase attribuita (e poi smentita) a fonti vicine Davide Casaleggio: "ci ha usato e fregato."

A ben vedere, però, non si è trattato di un "tradimento" improvviso; ma piuttosto del risultato del mutare dei rapporti di forza tra M5S e Lega, un processo cominciato dai primi momenti della loro alleanza dopo le elezioni del 4 marzo.

Di fatto, i risultati sono molto evidenti: se due mesi fa era Di Maio il giocatore principale e Salvini la "spalla," adesso la situazione si è rovesciata e Di Maio è costretto a rincorrere la Lega su toni e temi per cercare di stargli dietro, mentre Salvini è riuscito a imporre i suoi ritmi e la sua agenda sfruttando la paura del M5S di perdere l'occasione per governare.

Questo è particolarmente evidente nel caso dell'assurda questione della messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica, avanzata da Di Maio e subito messa da parte da Salvini, che ha prontamente accolto l'invito alla calma di Berlusconi. O nella richiesta di Di Maio di appendere le bandiere italiane sui balconi, mossa che strizza l'occhio al nazionalismo e all'elettorato leghista.

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Dopotutto, già al momento della stesura del contratto di governo era palese che si stesse andando in questa direzione. Analizzando il documento, l’Istituto Cattaneo aveva fatto notare che non si trattava di "una soluzione di compromesso" che smussava gli aspetti più estremi dei due partiti, ma piuttosto di "un allargamento" e di un programma "socio-securtario."

La Lega cedeva (almeno pubblicamente) sui temi euro-scettici seguendo il riposizionamento del M5S nell'ultimo periodo, ma quella era la sua unica concessione; in cambio, imponeva buona parte dei temi e otteneva ministri di peso—tra cui appunto l'Economia e Salvini all'Interno—nonostante avesse solo il 17 percento dei voti a fronte del 32 dei Cinque Stelle.

Secondo i retroscena, dunque, sarebbe stato Salvini a imporre il nome di Savona, mentre Di Maio era pronto ad accettare anche Giorgetti o uno spacchettamento del ministero dell’Economia in Finanze e Tesoro. Il motivo è che governare insieme al M5S per la Lega era una delle possibili opzioni, mentre per il M5S era diventata l'unica opzione—principalmente per la smania di Luigi Di Maio. Un esempio è, secondo quanto riporta La Stampa, il modo in cui il capo del M5S avrebbe cercato di convincere Mattarella ad accettare il nome di Savona: "Ci dispiace, Presidente, per questa insistenza su Savona ma sa, purtroppo la Lega si è impuntata in quel modo."

Questo, insomma, è stato il vantaggio che Salvini ha sfruttato per mettersi sotto i piedi il M5S, portarlo ad accettare qualsiasi cosa pur di ottenere l'appoggio al suo governo e alla fine buttarlo via confidando sulla crescita del suo partito nei sondaggi.

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Il vero obiettivo di Salvini, fin dal 5 marzo, sarebbe stato un altro: consolidare la sua posizione di leader del centrodestra, far sgonfiare il M5S e provare a vincere tutto alle prossime elezioni. Non bisogna mai dimenticarsi che il lasciapassare alla formazione del "governo del cambiamento" l'aveva dato Berlusconi, scegliendo di consentire alla Lega di provare a fare il governo con il M5S senza che ciò causasse la rottura dell'alleanza di centrodestra.

A tal proposito, ieri Berlusconi ha annunciato la sua intenzione di schierarsi con Salvini nel non votare la fiducia a Cottarelli e ha ribadito in una nota l'unità del centrodestra. "A chi mi chiede quale sarà il futuro del centrodestra, rispondo che alle prossime elezioni non immagino altra soluzione che quella di una coalizione di centrodestra unita con Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia." Al di là di queste parole c'è però aria di rottura, anche perché Salvini non ha più bisogno dei suoi ex alleati e gli conviene più ridimensionarli e inglobarli che non venirci a patti.

Comunque sia, questo non è l’unico scenario possibile—siamo pur sempre in una situazione incerta e complicatissima, in cui può davvero succedere di tutto. Le alternative per la Lega sono realisticamente due, visto l'equilibrio delle forze in campo: una nuova alleanza con il M5S con la Lega in una posizione sostanzialmente egemone, certificata questa volta dai voti; oppure una ricostituzione della coalizione di centrodestra, ancora trainata dalla Lega, e probabilmente un governo con Salvini premier.

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Nel primo caso, secondo un'analisi dell'Istituto Cattaneo, alle nuove elezioni l'alleanza M5S-Lega potrebbe conquistare circa il 90 percento dei seggi nelle due camere (ammesso che gli elettori si comportino come il 4 marzo). Stando a quanto scrive Il Foglio, al momento questa "alleanza" continuerebbe solo se la Lega votasse in favore della messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica.

Nel secondo caso, invece, Salvini dovrebbe probabilmente mettere da parte le ambiguità su Euro ed Europa, il che potrebbe avere effetti negativi sui mercati e di conseguenza anche sul voto—rischierebbe di fare la stessa fine della Le Pen, sconfitta da Macron non tanto per i meriti di quest'ultimo quanto per aver spaventato molti elettori con le sue posizioni anti-euro. Certo, c'è pure da dire che qui non c'è nessun Macron all'orizzonte.

In entrambi gli scenari però c'è una cosa certa: Salvini parte decisamente avvantaggiato. Stando agli ultimi sondaggi, la Lega si è già mangiata la destra ed è ora il secondo partito al 27,5 percento, a due punti dal M5S.

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