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teatro

Roseline, l'esperienza teatrale italiana che mischia utopie ed escape room

Abbiamo parlato con Paolo Sacerdoti, 24 anni e direttore creativo di Roseline, di stargate e di come rendere il teatro di nuovo pop in Italia.
Paolo Sacerdoti. Foto di Andrea J. Nasi.

Se per caso una sera di inizio maggio eravate a Palazzo Calchi Taeggi a Milano e scendendo le scale lungo cui si dipana il filo narrativo di Roseline avete incontrato una che stava morendo di paura, ero io. Se stai leggendo, giovane dinoccolato poco più che liceale che hai accompagnato tuo padre giornalista all'evento e ti sei ritrovato una alle calcagna che sibilava oddio ogni volta che sentiva i passi di un attore avvicinarsi—ero proprio io.

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L'impatto che io ho chiamato "terrore" e il direttore creativo Paolo Sacerdoti "sublime" dura solo quella decina di minuti che segnano la transizione del partecipante dal mondo reale alla comunità chiusa di Roseline, palazzo-utopia nel quale si svolge una storia di intrighi che prendono le mosse dall'Amleto e nel quale sei libero di esplorare lo spazio in autonomia e seguire il personaggio che preferisci, ciascuno con la sua versione della storia.

Roseline è l'opera prima di Paolo Sacerdoti, 24 anni, attore e laureato del Politecnico di Milano; la prima esperienza italiana di 'teatro immersivo'; e la prima volta in un sacco di tempo in cui sento le persone al bar (non il caffè della Pusterla dove ci trovavamo noi pretenziosissimi studenti della Statale) parlare di teatro.

Dato che attualmente di Roseline si stanno mettendo in scena le ultime repliche milanesi che preludono a un tour internazionale, ho contattato Paolo Sacerdoti per capire come ha fatto a rendere il teatro di nuovo pop.

VICE: Per prima cosa, da dove viene l’idea di questo spettacolo che non so nemmeno se si può chiamare spettacolo?
Paolo Sacerdoti: L’idea viene da una miscela tra la mia formazione teatrale, da attore, e la formazione da project manager al Politecnico. Ho unito queste due parti nell'ottica di riportare il teatro verso una dinamica più comunicativa, più di pancia rispetto a una più di testa, complessa e retorica. In realtà Roseline è il primo di otto progetti, un manifesto di come noi [la Pulsarts, casa di produzione creata da Sacerdoti] intendiamo il teatro: molto istintivo, personale e umano. Sicuramente le escape room e il teatro immersivo hanno avuto un'influenza su Roseline.

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Ma non lo descrivono del tutto, tant'è vero che per Roseline è stato coniato il termine "dramagate".
Il nostro grosso problema nella—lunga—ricerca delle collaborazioni era come chiamare lo spettacolo, perché appena si diceva qualunque parola legata al teatro la domanda era, “Sì, ho capito, ma il pubblico dove si siede?” Allora ci siamo detti, troviamo una parola che quando la diciamo la gente ci chiede, "Cioè?" Il dramagate dà l'idea di stargate, di ingresso in un mondo straniato e con il suo funzionamento.

Roseline in sé viene da Elsinore, il castello di Amleto, ma è una comunità chiusa, una specie di utopia, no?
Esatto, la storia racconta un futuro parallelo in cui questo gruppo di persone disgraziate, senzatetto, hanno creato una comunità indipendente che funziona finché non muore il leader, il 'Capitano'. Da lì si muovono per cercare di capire come andare avanti, cosa è successo, chi ha ucciso il Capitano e soprattutto come si risolvono i drammi familiari che pian piano si sviluppano.

Il palazzo in cui si svolge l'esperienza di Roseline. Foto di Francesco Perrone.

L'ispirazione da Amleto porta con sé anche il tema della follia, della frammentazione.
Amleto è la narrativa dei primi due atti—so che non si capisce la divisione in atti ma per noi è molto più facile—poi si perde, però tutte le circostanze che portano all'azione vengono da un’interpretazione di Amleto che stavo studiando.

Il tema della pazzia viene più che altro dal gioco di specchi, l'esperienza è uno scontro e un incontro tra i punti di vista e verità dei personaggi. Quando finisce lo spettacolo e si è tutti in giardino, e si sente qualcuno che dice, "Hai visto quando uccide quell’altro," e l'amico risponde, “Mica lo uccide, non l’ho visto,” e sembra che abbiano visto uno spettacolo diverso, è quello che vivono anche gli attori. I personaggi non hanno visto le stesse cose, ognuno ha visto una storia completamente diversa.

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La cosa incredibile per me è stata che la storia continuava e gli spettatori progredivano nella comprensione pur seguendo attori diversi. Come si crea una struttura così complessa?
Dipende dove metto la costante, e qui è il Politecnico che parla. Se la costante la metto sulla figura dell’attore ho bisogno di seguirlo; se invece la metto sul tempo, questo va necessariamente in una sola direzione e con uno stesso ritmo a prescindere da dove sono e da che attore sto seguendo, e dunque la narrazione va in una sola direzione. Il trucco sta nel fare in modo che ogni incontro tra personaggi abbia dei riflessi sulle altre linee narrative.

Ci sono dei trucchi per creare quello straniamento che permette agli spettatori di essere parte della rappresentazione?
Il palazzo è formalmente l’edificio più difficile che potessimo trovare perché è fatto a corridoi, quindi dovevamo forzare un po’ la scenografia perché il pubblico fosse incuriosito a entrare nelle stanze. Però dall’altra parte ha un suo fascino e una struttura labirintica che ti teletrasporta fuori dalla città. A questo si aggiunge quello che dicevi prima, che all’inizio sei terrorizzato: quel terrore in realtà è il sublime narrativo, allerta allo stato massimo. Abbassiamo la luce, abbassiamo il suono, creiamo azioni improvvise e allora il tuo cervello apre tutte le parabole che ha per cercare di prevedere qualcosa. In quello stato anche solo lo sguardo di un attore riesce ad arrivarti in modo più forte rispetto a quando sei in pigiama e l’attore è davanti alla telecamera. È uno stato di ascolto molto alto, mettiamola così.

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Poco tempo fa sono stata al LARP Mattatoio68, e la sensazione di totale immersione è la stessa anche se in Roseline tu spettatore non hai un ruolo attivo, sei un fantasma. Secondo te c’è un motivo per cui ora il pubblico cerca esperienze immersive?
Il pubblico ha molta fame di esperienze, quasi più che di narrazione. C’è stato tutto un lungo periodo in cui bisognava avere le storie, ma adesso che lo storytelling è ovunque si ha più voglia di toccare in prima persona. E il teatro può finalmente tornare a essere principe del contesto perché è dal vivo, si può toccare, finita la serata quella versione non esisterà mai più.

Un sacco di gente che solitamente non va a teatro è venuta a vedere Roseline. Secondo te perché è diventato pop e soprattutto, ci hai visto molti giovani?
Sì, assolutamente sì. Il nostro pubblico perfetto è quello che non va a teatro normalmente. L’idea è proprio quella di creare un collante tra varie realtà: alcune persone vengono attratte dall’idea di esperienza, e magari così facendo pian piano scoprono il teatro, mentre quelli più abituati al teatro tradizionale si stanno “proiettando” un po’ su altri fronti. È assolutamente molto pop.

Ogni tanto ti metti a seguire il pubblico durante una serata? Hai mai sentito cose gustose da parte loro?
Abbiamo telecamere ovunque, quindi vediamo come si muove il pubblico; a seconda della serata è un organismo completamente diverso, ci sono serate in cui sono teatrali nel senso che guardano e basta, con molto rispetto per l'attore, serate in cui sono tutto il tempo a interagire… È bellissimo, si creano dei momenti magici.

Ah, posso dirti, così impazzisci, che oltre alla narrativa c’è tutta una narrazione segreta che conosciamo in tre e che ha come premio l’accesso a un intero corridoio segreto. Devi essere al posto giusto nel momento giusto. Una persona ci è arrivata molto vicino, ma poi ha mollato. Però è davvero difficile, mi sa che alla fine l’avrò visto solo io.

Trovi la programmazione e i biglietti di Roseline su TicketOne.

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