Albrecht Becker in un autoritratto
Tutte le foto per concessione dalla collezione Hervé Joseph Lebrun, Delmes & Zander

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Il fotografo pioniere del tatuaggio sopravvissuto ai nazisti

L'esplorazione artistica di Albrecht Becker è cominciata con un esperimento sul suo pene che non è finito molto bene.

Albrecht Becker è sopravvissuto per poter raccontare la sua storia. Nel 1935, il fotografo fu catturato dai nazisti perché omosessuale, un crimine punito con la pena capitale nella Germania di Hitler. Oltre 60 anni dopo, nel 1996, Becker ha girato un breve documentario intitolato Liebe und Leid (Amore e sofferenza) in cui, sorridente, racconta di cosa significasse essere un uomo gay nella Germania nazista.

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Becker, che all'epoca aveva 90 anni, indossa una camicia azzurra con un papillon. Un tatuaggio scuro spunta dal colletto—ed è quello che rivela la seconda parte della sua storia. Dopo essersi ritrovato in un bunker sul fronte orientale, Becker si è tatuato tutto il corpo per scoprire il piacere del dolore.

Becker è sempre stato molto fiero della sua sessualità, del suo corpo e dei suoi esperimenti, anche di quelli falliti—compreso quello che gli ha sfigurato il pene in maniera permanente. Questo è uno dei motivi per cui il mondo dell'arte ha riscoperto il suo lavoro. Dal 7 al 9 marzo 2019, le foto di Becker saranno in mostra all'Independent Art Fair a New York.

Albrecht Becker

Becker colorava spesso le sue fotografie.

Quando è morto, nel 2002, Becker aveva ormai rilasciato molte interviste, aveva scritto un'autobiografia e ci sono diverse persone vicine a lui che possono raccontare la sua vita e la sua determinazione nel lavoro.

In Liebe und Leid Becker spiega come, all'inizio, essere gay non era un problema per il regime nazista in Germania. Il paragrafo 175 aveva proibito il sesso tra uomini, ma a nessuno interessava granché a Würzburg, il paese dove viveva Becker negli anni Trenta. Lui e il suo compagno, un professore che aveva 20 anni più di lui, non cercavano di nascondersi. Secondo quanto racconta Becker, i nazisti non erano interessati a lui, e a livello politico, nemmeno lui era interessato a loro.

Tuttavia, le cose cambiarono nel luglio 1934, dopo la Notte dei lunghi coltelli e l'assassinio di Ernst Röhm, comandante delle SA. Senza Röhm sulla scena, il potere di Hitler si consolidò. E così cominciarono le persecuzioni nei confronti di tutte quelle persone che non rientravano nello standard del Nazionalsocialismo. Poco dopo il Natale di quell'anno, la Gestapo convocò Becker e il suo amante. "Siamo andati senza renderci conto di quello che sarebbe accaduto, ma non siamo più tornati a casa per tre anni," dice Becker alla fine del film.

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"Sono gay e lo sanno tutti," disse durante l'interrogatorio della Gestapo. Anche allora, appena ventenne, Becker era profondamente sicuro di sé. Ma la sua sicurezza celava anche dell'ingenuità. "Purtroppo, finii per fare i nomi di alcuni uomini con cui ero stato." Al tempo non si era reso conto di nulla.

Becker fu condannato a soli tre anni di prigione a Norimberga, probabilmente proprio perché non negò le sue "colpe" e perché, nel corso del processo, denunciò altri omosessuali. "Quando un gay veniva portato a Dachau, potevi essere certo che non l'avresti visto mai più," ha detto Becker alla USC Shoa Foundation quando è stato intervistato sulla persecuzione dei gay da parte dei nazisti.

Una volta uscito di prigione, Becker tornò alla vita normale. Girava sempre con la sua Leica per fotografare i suoi amici. Nel 1940, però, fu convocato dall'esercito e spedito in Russia, appena fuori Stalingrado. Becker scherza nella sua autobiografia su come in quel momento, l'unica cosa che lo rendeva felice era che sarebbe stato nuovamente circondato da giovani uomini.

Rimase in Russia fino all'estate del 1944, ma non combatté mai né trovò l'amore. Tuttavia, sfruttò quel periodo per esplorare le sue tendenze masochiste.

Albrecht Becker

Becker si fece un piercing al pene ispirato alla tribù di Boren.

Durante la guerra, Becker si era reso conto che non avrebbe potuto rivelare apertamente il suo orientamento sessuale, perché rischiava di essere ucciso o mandato in un campo di concentramento. Così si astenne dal sesso per quattro anni, un'esperienza che lo trasformò in una sorta di esploratore della sessualità. Nel bunker si tatuò da solo per la prima volta: si disegnò delle fiamme sul pene. Usò tre aghi da cucito, del filo di lana, una matita e dell'inchiostro nero.

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In quel momento si rese conto di quanto lo eccitava tatuarsi. "Ero lì sdraiato, mi sono tatuato, e poi sono venuto. Gli altri erano poco lontano e giocavano a carte. L'ho trovato strano e divertente," spiega Becker. Da quel momento, i tatuaggi sono diventati un'ossessione.

La vita di Becker al fronte si concluse quando una scheggia di proiettile lo colpì al braccio, mentre la sua divisione si ritirava nel corso di un raid aereo. Nell'ospedale militare, conobbe Herbert Kirchhoff, che era direttore artistico. Per i dieci anni successivi i due fecero coppia fissa, vissero e lavorarono anche insieme.

Becker iniziò a realizzare scenografie insieme a Kirchhoff e i due furono premiati per due volte. E questo è il lato più noto della vita di Becker. Quello meno conosciuto, invece, si svolse negli studi di tatuaggi e nelle scena queer e artistica di Amburgo, dove Becker si trasferì nel 1950 per lanciarsi nel mondo del sadomaso.

Il corpo di Becker era diventato una tela, piena di immagini e motivi, sulla quale lui esprimeva la propria arte. Poi si fotografava, a volte in costume, a volte nudo. Altre volte scattava le immagini mentre faceva sesso.

Albrecht Becker

Mentre in una Germania frammentata veniva eretto il muro di Berlino e il mondo intero si stava riprendendo dopo il conflitto, Becker aveva creato un mondo tutto suo. Aveva letto e studiato una tribù del Borneo che, come parte del proprio rito, si traforava la punta del pene e agghindava il buco con dei gioielli. La cosa lo affascinò moltissimo. Ci vollero due anni di allenamento per prepararsi a sopportare quel dolore, e un'ora intera prima di riuscire a infilare l'ago rovente nella pelle. Con dei punti di sutura, definì l'apertura e la allargò fino a raggiungere circa 2,50 cm di diametro. Questa era una delle storie che amava di più raccontare, da anziano.

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Verso la metà degli anni Sessanta, Becker si convinse che i suoi testicoli erano troppo piccoli. "Ci ho iniettato dentro della paraffina," dice in Liebe Und Leid. Aveva sentito dire che i medici usavano la paraffina liquida per le operazioni di chirurgia estetica, ma quello che non aveva capito era che la paraffina si può espandere in tutto il corpo. Nel corso di diversi anni, Becker si iniettò circa quattro litri di liquido, fino a quando questo non si stabilì nel suo pene, formando, come la definisce lui stesso, una seconda pancia. Non poteva più fare sesso, né avere erezioni vere e proprie. Era come se il suo pene fosse scomparso in un'enorme protuberanza di paraffina.

"Il mio pene era lungo 18 centimetri, ma alla fine, era di soli sei centimetri," racconta Becker nel film. Una volta ha chiesto a un medico di rimuovere quella protuberanza, ma ormai era troppo tardi, la paraffina era stata completamente assorbita dai tessuti. Invece di cercare di nascondere quell'ingombro, Becker si scattò ancora più foto, che rimasero a testimonianza del suo esperimento assurdo. Il filmmaker del documentario, Hervé Joseph Lebrun, che ha lavorato con Becker per quattro anni, dice che è proprio in quel momento che Becker divenne un artista a tutti gli effetti.

Albrecht Becker

Becker non cercò mai di nascondere la sua deformità, né sembrava interessato all'opinione della gente a riguardo. Aveva un ego piuttosto importante, anche a 92 anni, quando Lebrun lo incontrò per la prima volta. Nel 1998, Becker chiamò Lebrun, che all'epoca viveva a Parigi. Aveva visto alcuni suoi lavori e voleva invitarlo ad Amburgo.

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"Dopo la prima telefonata mi mandò molte foto di lui in situazioni sadomaso," mi dice Lebrun. "Quella è stata la prima cosa che ho saputo di lui, la mia prima impressione di Albrecht, ed è stato pazzesco!"

Così Lebrun andò ad Amburgo per incontrarlo.

"Albrecht viveva in una bellissima casa con giardino," racconta ricordando il loro primo incontro. La casa era piena di libri sui tatuaggi. Poi Becker aprì un grande armadio per mostrare la sua collezione di dildo. Parlarono di fotografia, di sesso e di guerra. "Ho ascoltato le storie che questa persona con un cuore grande mi stava raccontando, e ho provato ammirazione," dice Lebrun.

Lui e Becker scattarono foto ogni giorno. "Ogni mattina, appena sveglio, voleva creare qualcosa di nuovo." Hanno collaborato per i quattro anni successivi, fino alla morte di Becker, il 22 aprile 2002.

Albrecht Becker non aveva parenti stretti e lasciò molte delle foto a Lebrun. Il resto lo donò allo Schwules Museum di Berlino, dedicato alla cultura LGBTQ. "Mi manca," dice Lebrun. "È stato una luce per me, e per tutte le persone attorno a lui."

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