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Musica

Recensione: The Weeknd - My Dear Melancholy,

The Weeknd ha smesso di fare la popstar e si è affidato a dei superproducer per creare sei brani astiosi e arrapati che faranno incazzare la sua ex.

Quando comparve dal nulla, The Weeknd non era nessuno. Non era un "lui", una "lei" o un "loro": era solo qualche brano caricato su YouTube, senza video e con solo qualche immagine softcore in bianco e nero come sfondo. Il primo fu "What You Need", ad oggi uno dei suoi capolavori—"Lui ti tocca lì come ti tocco io?", chiedeva, narrando quella che sarebbe stata la prima di una lunga serie di seduzioni. Dolce nella voce e piccante nelle parole, The Weeknd era praticamente una tavoletta di cioccolato al peperoncino che nessun negozio sembrava vendere. Ma era davvero buona, si diceva, e tutti ne volevano un pezzo.

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L'immaginario che evocava con i suoi testi era l'equivalente letterario della sua estetica, descritta alla perfezione da Pitchfork come "un misto tra gli Spiritualized e il porno artistico da Tumblr". Orge drogate venivano narrate come sedute psichiatriche, notti buie e fumose si trasformavano in cristallini after californiani su gelidi beat R&B che avrebbero fatto scuola e regalato una carriera a un producer oggi quotatissimo: Illangelo. Si posizionava però in una zona interstiziale, The Weeknd, rendendo difficile la sua catalogazione. Predicendo il disfacimento dei generi musicali che oggi è realtà, Abel affermava la sua identità culturale campionando un classico dell'R&B come Aaliyah, ma anche quelle leggende del post-punk che furono Siouxsie & The Banshees e due punti cardine del dream pop situati rispettivamente alle sue origini e alla fine della sua lunga coda: i Cocteau Twins e i Beach House.

Quando poi pubblicò i suoi primi brani in un mixtape, che chiamò House of Balloons, The Weeknd diventò immediatamente una superstar. Drake lo supportò fin da subito, twittandone il link. Ne uscirono altri due a breve giro, Thursday ed Echoes of Silence. Fu in quest'ultimo che The Weeknd suggerì le sue reali ambizioni: "D.D." era una cover di "Dirty Diana", uno dei classici del re del pop Michael Jackson. Ed era più che convincente.

Il mondo non era ancora pronto a far diventare Abel Tesfaye una popstar. Il rap non era ancora la forza culturale dominante a livello mondiale che è oggi, e così il suo esordio su major—Kiss Land, uscito a settembre 2013—fu praticamente un palloncino. Scoppiò fragorosamente, vendendo un sacco di copie, ma finì sgonfiandosi con una sonora scorreggia. Era un album lento, monolitico e pesante, privo dell'energia evocativa della trilogia di tape che lo aveva preceduto: una volta venuto a mancare il mistero che lo aveva avvolto agli inizi della sua carriera, The Weeknd sembrava essersi arenato sulla spiaggia dell'autocompiacimento.

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Tutto cambiò nel 2015, per la precisione tra maggio e giugno, rispettivamente mesi di uscita dei due pezzi che avrebbero cambiato per sempre la carriera e la percezione di The Weeknd. La prima fu "The Hills", sorella tutta agghindata e tirata a lucido di un brano R&B ossessivo e inquietante in cui il nostro eroe si presentava come un mezzo stalker notturno. La seconda, invece, si chiamava "Can't Feel My Face" ed era, essenzialmente, l'avveramento della promessa della cover di Michael Jackson: un brano retro-pop da manuale perfetto sia per far ballare i regaz che per passare sulle radio e fare da sottofondo alle pubblicità delle compagnie telefoniche. Questo nonostante ci fosse un riferimento alla bamba semi-nascosto nel ritornello, ma dobbiamo sempre ricordarci che stiamo parlando di una persona che comincia strofe dicendo roba tipo "Ti piace come ti lecco o no? Puoi cavalcarmi la faccia finché non goccioli".

The Weeknd era diventato una popstar, e lo sarebbe restato anche per il suo album successivo, Starboy, un prodotto ancora meno R&B e più rockettino-funkettino-disco. E chi chiamare per legittimare una svolta simile se non i re delle svolte rockettine-funkettine disco? Ma i due tizi che hanno scritto Random Access Memories, cioè i Daft Punk, co-autori delle uniche due vere hit dell'album: "Starboy" e "I Feel It Coming". La street cred era garantita dalla presenza di Kendrick Lamar e Future, ma la concentrazione era ormai tutta sull'Abel popstar. Adesso, due anni dopo, è arrivato My Dear Melancholy,. E siamo tutti impazziti.

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La reazione più comune all'ascolto di questo nuovo album, dato che così sta venendo chiamato nonostante abbia solo sei tracce, è stata OMG The Weeknd è tornato quello dei vecchi tempi capolavoro OMG. Essendo una persona che è andata al Primavera nel 2012 con lo specifico obiettivo di vedere il suo primo concerto in Europa e ha stretto amicizia con uno zio indiano in prima fila con cui ha cantato parola per parola tutta "Crew Love", capisco perfettamente. Ma vorrei dire immediatamente che My Dear Melancholy, non è vibrante e rivoluzionario come furono quei tre mixtape. Ma, aiutato da una durata relativamente breve e una serie di tocchi di classe a livello narrativo e sonoro, non arranca come faceva Kiss Land.

Come ha spiegato Genius con un video su YouTube, ci sono diversi indizi che fanno presumere che la destinataria dei testi di My Dear Melancholy, sia la ex di The Weeknd, cioè Selena Gomez, e che il "lui" citato nell'album sia nientepopodimeno che il suo ex Justin Bieber. Avendo questo contesto in mente, le parole di The Weeknd si fanno più vive: "Ho quasi tagliato via un pezzo di me per salvarti la vita", canta, riferendosi probabilmente al fatto che ha quasi donato il suo rene per Selena, che ha subito un trapianto nei mesi scorsi. Frasi che suonerebbero un po' vuote se riferite a generici destinatari guadagnano così un po' in pepe e potenziale evocativo. Questo nonostante ci siano ancora momenti leggermente da brividi, come quando in "Wasted Times" canta "spero che tu sappi che 'sto cazzo è ancora un'opzione". Ma come dicevamo prima, non c'è da stupirsi dato il personaggio di cui stiamo parlando.

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Un processo simile può essere svolto anche riguardo ai beat del disco: sapendo chi c'è dietro risultano immediatamente più sfaccettati e interessanti. Nello specifico, un paio di superstar electro francesi (ancora i Daft Punk e Gesaffelstein, già entrambi al lavoro con Kanye West su Yeezus) e un superproduttore americano come Skrillex, che ormai si è lasciato dietro la brostep che ha fatto la sua fortuna e ha completato la sua metamorfosi in giocherellone del pop fissato con le vocine: senti "Wasted Times", il momento più movimentato (e interessante) dell'album.

Non sono sei canzoni memorabili, quelle che compongono My Dear Melancholy,. Sono una piacevole aggiunta alla discografia di The Weeknd e la dimostrazione che, se vuole, può ancora permettersi di mollare il pop da classifica. Non è dipendente da nulla, Abel Tesfaye, se non dal suo ego strabordante, dalla sua ugola d'oro e dai produttori con cui lavora. Finché continueranno ad esserci tutti e tre, attorno a lui ci sarà sempre qualcosa di interessante da raccontare.

My Dear Melancholy, è uscito venerdì 30 marzo per XO / Republic / Universal.

Ascolta My Dear Melancholy, su Spotify:

Tracklist: 1. Call Out My Name
2. Try Me
3. Wasted Times
4. I Was Never There (feat. Gesaffelstein)
5. Hurt You (feat. Gesaffelstein)
6. Privilege

Elia è su Instagram: @lvslei

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