La storia inizia nel più semplice dei modi: in una pizzeria. A Napoli.La forma che l’alice assume a Cetara è quella liquida. Una sorta di salamoia, per intenderci. Detta così sembra semplice. Nei fatti, il processo dura non meno di cinque mesi.
Un giovane chef, di nome Francesco Vigna, fa il percorso inverso: apre due locali, Londra e poi Barcellona, prima di far ritorno nella sua città e inaugurare la terza pizzeria. Tutti ingredienti del territorio, promette il menù. Vediamo un po’: ordino una Cetara, il cui ingrediente principale sono le famose alici della Costiera Amalfitana.
Pasquale Battista, in passato proprietario di un piccolo laboratorio di conserve alimentari, è una delle persone cui si deve il vero e proprio culto che i cetaresi nutrono nei confronti della colatura di alici.
D’altro canto, quando si tratta di cibo, non lascio mai nulla d’intentato. Quindi, qualche giorno e qualche telefonata dopo, eccomi nell’azienda Delfino Battista, nata nel 1950 per mano di un signore di nome Pasquale Battista, che all’epoca era proprietario di un piccolo laboratorio di conserve alimentari. Una delle persone cui si deve il vero e proprio culto che i cetaresi nutrono nei confronti della colatura di alici.Costiera Amalfitana: fino al secondo Dopoguerra e ben prima del patinato boom turistico era – sostanzialmente – un’unica, grande lingua di terra composta per lo più da pescatori.
A guidarmi verso il lungo cammino che dalle nasse dei pescatori conduce al filo di colatura con cui condire gli spaghetti, c’è Antonietta, moglie di uno degli attuali proprietari dell’azienda Delfino. Prima tappa: la pulizia. “Le alici vengono private della lisca e della testa, a mano, una per una,” mi spiega; mentre sotto i miei occhi quattro signore procedono spedite. Pochi movimenti, veloci e decisi, che pian piano diventano ipnotici.I tonni sono ghiotti di alici. Quindi più tonni ci sono, meno alici sopravvivono. Qui a Cetara, purtroppo, diventano sempre meno, anno dopo anno.
La logica è quella della disposizione a strati. Il mio occhio vaga tra le mani delle signore che decapitano senza sosta banchi inerti di alici. “Le stiamo scapuzziando”, dice sorridendo una di loro.
Il primo fattore è quello del tempo. Le alici hanno bisogno di tirar fuori tutto il loro liquido. Processo che non è possibile – né tanto meno auspicabile – accelerare in alcun modo. “Diciamo che per un’alice che arriva qui a giugno, questa fase qua dei terzigni può dirsi conclusa verso la seconda metà di ottobre.” Circa cinque mesi, mentre dall’estate si passa all’autunno.Sui siti specializzati, l’antenato della colatura viene quasi sempre identificato col Garum: un condimento che gli antichi romani erano soliti ricavare dalle interiora del pesce, che veniva utilizzato per insaporire i loro piatti