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Un gruppo di paninari davanti alla stazione San Babila del metrò di Milano (Foto: Egizio Fabbrici/Mondadori Portfolio)
Musica

Il disco dimenticato che racconta la Milano dei paninari dopo l’apocalisse

‘Guardie e Ladri’ di Giangilberto Monti è uno degli album pop più all’avanguardia degli anni 80, ma è anche una storia dell’orrore su una società controllata dai computer e ossessionata dalla moda, tipo la nostra.

“Milano… ce se potesse vede'!” era una delle battute che impreziosivano il film di Renzo Arbore FF.SS. – Cioè: “…che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?", in cui si narra la surreale vicenda di un manager del sud Italia emigrato a nord. Ovviamente si prendevano in giro i luoghi comuni a proposito della nebbia nel capoluogo lombardo, ma forse scavando bene nello scherzo del vero c’è. Dov’è davvero Milano? Esiste oppure è solo un’illusione, uno status? È città di cultura o un brand a cielo aperto, un suolo pubblico perennemente affittato per aperitivi con prosecco che sa di tappo, modelle strafatte dall'anima surgelata e DJ set che servono solo ad attirare la gente verso un'auto in esposizione? A volte Milano appare come un deserto nel quale vagano rettili preistorici a caccia di “lavoro” invece che di prede.

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In questo scenario, c'è un disco del passato che può aiutarci ad affrontare meglio il presente: Guardie e Ladri di Giangilberto Monti, 1983. Innanzitutto chi è Giangilberto Monti? Ai giovani d’oggi dirà meno di zero, ma anche all'epoca non era certo sulla bocca di tutti. Era un personaggio atipico: uno che portava avanti l’idea di confine tra cantautorato e teatro, nella ricerca di una fusione multimediale ancora poco o per nulla battuta in Italia, forse l’erede postmoderno di Gaber e del suo teatro canzone. La sua idea di spettacolo totale derivava dalle sue frequentazioni con Dario Fo e Franca Rame, dalle sue sortite allo Zelig di Milano, e quindi al suo collegamento da cantastorie con il cabaret, con la comicità (molto più avanti scriverà i testi anche per i Fichi d’India e scriverà addirittura saggi sulla genesi del cabaret e della canzone francese). “Comicante” è l’aggettivo con cui ama appellarsi, un neologismo curioso e a prima vista forzato, che però gli calza a pennello: un artista/artigiano di confine, difficilmente inquadrabile in quegli anni, figuriamoci oggi.

Giangilberto debutta nella discografia italiana con un disco dal titolo che parla da solo: L'ordine è pubblico? del 1978, un disco poco ortodosso, con numerosi colpi di scena interni ed arrangiamenti sorprendenti e la presenza, oltre che di Tony Esposito e Claudio Pascoli, della micidiale sezione ritmica di Flavio Cuffari, già con Ivan Cattaneo ma soprattutto col Roberto Colombo “zappiano” di Botte da Orbi. Nel periodo successivo al primo album, Monti sembra perdersi un po', forse per colpa dell'influenza della major CBS, che in quel periodo spingeva gente tipo Baglioni.

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Ma la rivoluzione, non solo nella discografia di Monti ma nel pop avanguardista italiano in generale, arriverà poco dopo: Guardie e Ladri è un progetto avveniristico e fantascientifico che estrae da sotto le unghie della musica italiana le schegge di quel “cantautorato di legno” degli anni Settanta e primi Ottanta che aveva oramai mostrato i suoi limiti e la sua inadeguatezza nel leggere i tempi moderni.

L'album ha la struttura di un film, spiegata da Monti stesso nell'intro: lo scenario è una Milano postatomica dove si vive sottoterra, nei tunnel abbandonati del metrò. Nella storia, "il computer programma le vite dei sopravvissuti", che si trasformano tutti in paninari rincoglioniti dai "flipper elettronici" e impegnati a giocarsi il futuro al lotto in attesa della "Grande Estrazione" che promette di farli uscire dai cunicoli. Gli unici ribelli sono i "ladri del metrò", che per resistere devono fronteggiare la repressione delle "guardie da rock". È facile leggere in questa storia le previsioni del mondo di oggi: i centri scommesse, l'ossessione per la tecnologia che influenza la nostra vita, il sistema che manovra come topi in un labirinto—è una fotografia sbiadita del 2019.

"Mr Drugstore" è a tutti gli effetti il primo brano al mondo dedicato al fenomeno dei paninari, prima ancora dei Pet Shop Boys: “il mio panino è legge” è una triste verità degli anni dell’edonismo reaganiano che esploderà da lì a poco e che ci portiamo ancora appresso. E poi ci sono i computer che prendono la gente e le tolgono la voglia di salire in superficie abbandonando i tunnel della metropolitana, invitandoli a cantare invece di parlare, come in un eterno karaoke autistico. A tentare di scappare da questa situazione sono i ladri: sminuiti nei loro successi dai media elettronici, compressi dal controllo sociale in galere a forma di bar (o di beer shop di qualità, se vogliamo trovare un parallelo odierno). Come una specie di The Who Sell Out versione anni Ottanta o di Ubik di Philip K. Dick versione audio, il disco è costellato di piccoli jingle introduttivi mozzafiato che, tra un pezzo e l’altro, illustrano le scene salienti. Quasi pillole di un futuro di smartphone, pubblicità su YouTube e promo di brani trap su Spotify, sono purtroppo presenti solo nella ristampa in CD del 2017.

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Il team di lavoro è in stato di grazia e in piena botta new wave: Roberto Colombo in quel periodo trionfava nelle classifiche italiane grazie alle produzioni di Alberto Camerini e Matia Bazar, quindi qui si sente libero di spingere le sue diavolerie elettroniche a tutto gas. A co-firmare le canzoni con Monti e lo stesso Colombo c’è il tastierista Flavio Premoli ex-PFM, ai cori spicca Dora Carofiglio (poi conosciuta come la italo disco queen Valerie Dore), al sax troviamo il tropicalista Hugo Heredia, solo per citare qualcuno degli addetti ai lavori. Ma la cosa fondamentale sono gli ospiti.

Alberto Camerini presta la sua voce in "Guardie da rock", scritta da Colombo, che non avrebbe sfigurato in un disco dell’arlecchino elettronico nostrano, un feroce synthpop che profuma di potenziale hit. Si prosegue con Francesco Di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso, che duetta con Monti nel singolo "Balla Bella", che viene presentato nelle manifestazioni TV del periodo, e in "Tamburi di notte", nel quale si sente l’influenza della svolta new romantic del Banco, tutta sax alla Spandau Ballet e seduzione. Flavio Premoli canta una traccia fondamentale del disco, "Mr Drugstore", mentre Bernardo Lanzetti, anche lui fuoriuscito dalla PFM e in piena botta new wave e sperimentalismo vocale, interpreta "Hello Flipper". La sorpresa è una stupenda Anna Oxa che, passata dal periodo pop punk a quello “cool”, impreziosisce con la sua voce potente "Gino, le parole". L’ultimo a cantare è lo stesso Roberto Colombo, che lascia per un momento la consolle e si mette davanti al microfono, intepretando con risultati convincentissimi "Il pedinatore".

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Ma ogni aspetto del disco è capace di stupire. Ci sono brani allucinanti tipo "Se non ci fossero le zanzare", una roba elettrolatina che sembra scritta oggi da qualche cantautore indietrapper in stato di grazia e ricorda una specie di lambada prima della lambada; o "Il pedinatore", che sembra a un passo dall'itpop intelligente (magari oggi avessero questa lungimiranza nell'arrangiamento!) e il ritornello micidiale della finale "Ma che bella questa vita!", che riassume tutto il concept, con la presenza di un violentissimo vocoder ancora adesso veramente inaudito.

Ma l’idea di Giangilberto era multimediale, concepita per una versione live ambiziosissima: prevedeva un megaschermo su cui sarebbero stati proiettati innumerevoli shot messi insieme dal regista Fulvio Rinaldo, mentre Monti avrebbe duettato "virtualmente" con gli ospiti del disco e interpretato vari personaggi contemporaneamente. Per ovvie carenze tecnico-organizzative del periodo, a parte alcune versioni ridotte per il teatro, l'opera integrale venne messa in scena solo il 30 marzo del 1984 al Palasport di Milano davanti a settemila spettatori. Tornerà sui palchi solo in occasione della ristampa, ma in una maniera scarna che non le rendeva giustizia.

Come avrete capito, questo lavoro di Giangilberto Monti è una pietra miliare della discografia italiana, e proprio per questo lo conoscono in tre. Su internet si legge che sarebbe “il primo musical discografico in Italia, il primo esempio nella discografia italiana di un'opera rock che prevedeva la collaborazione tra musicisti, anche diversi tra loro, uniti al servizio di una storia": in realtà il primo musical discografico italiano è Alice dei Perigeo, anno 1980. C’è da dire però che la fusione tra voci, concept e musica in Guardie e ladri è decisamente più riuscita. Per questo insospettisce la somiglianza con la trama del film Pirata! Cult Movie, musical new wave del 1984, un anno dopo Guardie e Ladri, ambientato a Torino, che vedeva nel cast nomi incredibili del post punk italiano come Jo Squillo, Kirlian Camera e Gaznevada (tra l’altro la colonna sonora con brani inediti non è mai stata pubblicata ufficialmente). Anche lì troviamo dittature elettroniche, città oscure, flipper impazziti, guardie, pedinamenti di detective, spie, terroristi, e ovviamente musica elettronica come se piovesse. Chi ha influenzato chi? Boh, forse era l’aria che tirava allora.

Ma infatti, sì, forse mi sono sbagliato, forse è la città in generale il problema. La vera Milano, tutto sommato, non è quella che vediamo: è quella che sta oltre il cielo, che in realtà è il sottosuolo. Ma per trovarla è inutile scavare: bisogna vincere la lotteria. “Ma che bella questa vita / Se c'è vita c'è fortuna / Non vogliamo che la Terra / Si trasformi in una luna”.

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