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Come Spider-Man è diventato per caso un'icona politica negli anni '60

Il videogioco 'Marvel's Spider-Man', sviluppato da Insomniac Games, è in uscita a settembre. Ma non tutti sanno che il successo del supereroe ha un'origine sociale molto specifica.
Giulia Trincardi
Milan, IT
Immagine: screenshot via YouTube/PlayStation

Nell’anno domini 2018, grossa parte dell’opinione pubblica ha ancora “paura” che i videogiochi in quanto videogiochi deformino le menti più giovani. Dopo aver provato in anteprima il nuovo Marvel's Spider-Man, in uscita il 7 settembre per PlayStation, ho iniziato a scavare nella storia del supereroe — scoprendo che, ben prima dell’avvento dei videogiochi, pregiudizi molto simili sono stati rivolti a un altro mezzo: i fumetti. E, proprio Spider-Man a fumetti, è stato il protagonista inconsapevole di una battaglia culturale.

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Passata la cosiddetta epoca d’oro — iniziata negli anni Trenta con Superman, Wonder Woman e Batman —, alla fine degli anni Cinquanta i fumetti sono entrati nel mirino del giudizio morale pubblico e le principali case editrici — tra cui Marvel — hanno dovuto sposare agende politiche ben precise per restare a galla.

Proprio Stan Lee — celeberrimo autore della maggior parte dei personaggi Marvel — ideò e modellò (più o meno consciamente) i protagonisti delle sue opere su archetipi che potessero risuonare con le esigenze conservatrici della società americana degli anni Sessanta. Tra tutti, Spider-Man e il suo alter ego Peter Parker sono sfuggiti all’intento con cui erano nati, trasformandosi in una sorta di icona politica rivoluzionaria.

Come riassume lo storico Robert Genter in un saggio dedicato al rapporto tra la Guerra Fredda e la nascita dei fumetti Marvel, la fine della Seconda Guerra Mondiale ha determinato un crollo di interesse per i supereroi che rappresentavano i valori americani contrapposti alla minaccia straniera — incarnata soprattutto da Nazisti e invasori giapponesi. Allo stesso tempo, la nascente cultura pop — tra televisione e rock ‘n’ roll — era criticata da associazioni genitoriali e politici, convinti del suo legame con l’insorgere di episodi di delinquenza minorile. I fumetti in particolare, scriver Genter, “attirarono parecchia attenzione dopo che lo psichiatra Fredric Wertham intraprese una crociata personale […] per dimostrare come stessero ‘distruggendo moralmente’ i giovani.”

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I Fantastici Quattro nacquero dunque nei primissimi anni Sessanta con lo scopo di allineare il mondo dei fumetti all’unico archetipo sociale americano considerato incrollabile: la famiglia, nella sua — ovviamente — forma più tradizionale, per quanto soprannaturale. Mr. Fantastic come figura patriarcale e decisionale, la Donna Invisibile come contraltare materno e comprensivo, la Torcia Umana come adolescente irrequieto e La Cosa — per quanto suoni strano, lo so — come incarnazione dell’infante irrazionale. Nelle avventure del quartetto, spiega Genter, la morale era sempre una sola: la forza dei personaggi stava nella loro capacità di restare uniti.

Per quanto la cosa abbia funzionato, Marvel ha presto avuto la necessità di riconoscere, oltre alla sacralità del nucleo familiare, anche il forte individualismo che andava emergendo nella società americana dell’epoca. Nacquero così due personaggi solo apparentemente antitetici: Hulk — che incarnava l’incontenibilità del genio solitario — e Tony Stark/Iron-Man, icona dell’industria militare e instancabile playboy.

Ma la trasformazione sociale del dopoguerra, complice l’istituzione del sistema scolastico come lo conosciamo, ha anche marcato l’identificazione dell’adolescenza come fase diversa tanto dall’infanzia quanto dall'età adulta. All’improvviso, esisteva un’intera fetta di popolazione, — che, incidentalmente, era anche quella che leggeva maggiormente i fumetti — fino a quel momento ignorata dal mercato.

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Spider-Man che cerca di capire se è meglio la vita da persona normale o quella da supereroe. Immagine via: Journal of Popular Culture

“Le avventure di un playboy esistenzialista,” spiega Genter, “non coincidevano necessariamente con le preoccupazioni personali della gran parte dei lettori di Marvel.” Lee decise dunque di fare un esperimento — che lui stesso ha definito, in realtà, più per gioco che per vera consapevolezza delle dinamiche politico-sociali del tempo —, scegliendo per la prima volta come protagonista un ragazzino. Nel 1963 uscì così la prima avventura di Peter Parker, con il volume The Amazing Spider-Man.

Come dimostrano le infinite edizioni e le varie trasposizioni cinematografiche e videoludiche del personaggio — di cui l’ultimo esempio è il videogioco Marvel’s Spider-Man, sviluppato da Insomniac Games, l’uomo ragno è stato un successo clamoroso.

Grossa parte di questo successo, però, è dovuto a un effetto collaterale del personaggio, che, riporta Genter, Lee ha creato come primo supereroe “introspettivo.” Non solo Peter Parker era lo specchio perfetto di qualsiasi ragazzino in attesa di diventare adulto e distinguersi nella società, ma — grazie al co-autore del fumetto, Steven Dikto, il cui contributo è stato riconosciuto solo molto tardi dallo stesso Lee — era anche l’incarnazione del pensiero oggettivista della scrittrice e filosofa Ayn Rand, particolarmente caro a Dikto.

Spider-Man, dunque, era tanto un adolescente inquieto costretto ad affrontare le responsabilità dell’età adulta, quanto il primo eroe che parlava con sé stesso dei propri problemi, fino a raggiungere apici di vero esistenzialismo.

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Contemporaneamente, il pensiero e le opere principali di Ayn Rand, scrive Genter, rappresentarono uno strano ponte tra i giovani politicizzati sia della nuova destra che della nuova sinistra del tempo — accomunati da “una posizione libertaria che insisteva sulla santità dell’individuo contro la repressione politica, la leva militare obbligatoria e la nociva cultura del consumo.”

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“Ci siamo accorti che le storie migliori su Spider-Man nascono quando il mondo del supereroe e quello del suo alter ego, Peter Parker, entrano in conflitto,” ha ribadito il direttore creativo di Insomniac Games, Bryan Intihar, all’evento di presentazione del nuovo videogioco che si è tenuto a Milano la settimana scorsa. Questo conflitto è ciò che ha permesso al primo Spider-Man di rappresentare la rottura di un’intera generazione nei confronti dei ruoli sociali imposti: “il suo individualismo aspro impedisce a Peter di riconciliarsi con il mondo che lo circonda,” spiega Genter. In particolare, è impossibile riconciliare le avventure che vive mascherato, con le pretese dei suoi interessi amorosi, che lo vorrebbero stabile nel senso più borghese e conservatore possibile del termine.

I doveri da supereroe, per i lettori di Spider-Man, erano l'equivalente fantastico del loro impegno politico, che contrastava con gli schemi imposti della generazione precedente. Al punto che il personaggio finiva citato tra le figure di riferimento insieme a Bob Dylan e Fidel Castro su Esquire nel 1965.

Negli anni, l'allineamento politico ufficiale della Marvel, specifica Genter, è rimasto comunque fedele alla propaganda americana patriottica della Guerra Fredda, mentre molti dei suoi lettori scendevano nelle strade per protestare contro la guerra in Vietnam.

Eppure, gli eroi umani e tormentati di Marvel riuscivano a “esprimere l’ansia esistenziale di una generazione che cresceva sotto la minaccia di una catastrofe nucleare.”

A dimostrazione che il tentativo di Marvel di non produrre contenuti politici — o, di farlo secondo archetipi “sicuri” per l’epoca — ha dato un ritorno di fiamma non poco ironico.