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Italia

Un po' di italiani spiegano cosa li ha scioccati di più al loro ritorno dall'estero

Sei giovani italiani che hanno vissuto all’estero raccontano a cosa si sono dovuti ri-abituare con maggiore difficoltà al loro ritorno in Italia.
Rebecca. Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati.

Circa un anno fa, su queste pagine, avevo raccolto le testimonianze di alcuni stranieri che vivono in Italia e che mi avevano raccontato cosa li avesse colpiti di più del nostro Paese. Stando agli ultimi dossier statistici sull'immigrazione, però, il numero di cittadini italiani residenti all'estero ha superato quello degli stranieri residenti in Italia.

Tra questi ci sono moltissimi miei coetanei, che si trasferiscono per studio e decidono di non tornare una volta completato il loro percorso universitario, o che dopo la laurea lasciano l'Italia in cerca di lavoro. Ispirato dai colleghi francesi ho pensato di rimescolare le carte e di aggiungere un altro punto di vista all'articolo sopracitato contattando un po' di italiani che hanno vissuto all'estero per capire a cosa si sono dovuti ri-abituare con maggiore difficoltà al loro ritorno in Italia.

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REBECCA, 23 ANNI, STUDENTESSA (SOPRA IN FOTO) Dopo aver vissuto e studiato in Olanda, quello che mi fa decisamente strano dell'Italia è l'atteggiamento pigro e la totale assenza di spirito di adattamento degli italiani. Nei Paesi Bassi tutti fanno sport, si muovono perlopiù in bici e non hanno problemi a farsi un paio di settimane di campeggio. Gli olandesi sono molto spartani, hanno uno stile di vita molto attivo e amano stare in contatto con la natura.

In Italia invece amiamo il comfort, essere sedentari e ovviamente usare il più possibile l'auto. Amiamo i viaggi organizzati, e ci faremmo persino pulire il culo se fossimo abbastanza ricchi da permettercelo—cosa che fortunatamente non siamo. Detto questo, c'è anche da dire che gli olandesi sono tirchi e si ricordano di quei due euro che ti hanno prestato due mesi prima per il caffè. Quindi, questo loro spirito da McCandless potrebbe essere anche una conseguenza. Chi lo sa.

ROBERTA, 32 ANNI, TRADUTTRICE

Ho vissuto per diversi anni in Francia sia come studentessa sia come lavoratrice, e sicuramente tornando in Italia la prima differenza che ho potuto constatare è la mancanza di aiuti da parte dello stato—cosa che invece, in Francia, permette ai francesi di rendersi indipendenti già da giovani. Noi italiani siamo notoriamente dei "mammoni", ma non sempre per scelta: in Francia la vita quotidiana mi è sembrata molto più facile (se si esclude la capitale). Certo, ci vuole più impegno dal punto di vista burocratico, ma i vantaggi sono molteplici.

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Nell'ambito lavorativo, poi, le mie esperienze hanno messo in evidenza una maggiore organizzazione rispetto all'Italia e una maggiore tutela del lavoratore—senza contare il lavoro a nero, che sicuramente esiste ma che non è dilagante come qua. Inoltre, è impossibile non notare quanto la laicità influenzi la società: la netta separazione tra Stato e Chiesa permette alla Francia di essere un paese molto più aperto sulle questioni sociali ed etiche.

Alessandro e uno degli oggetti che ha recuperato su un marciapiede in Germania.

ALESSANDRO, 23 ANNI, STUDENTE

Quando vivi in Germania, cercare di integrarti con gli autoctoni porta irreparabilmente ad assumere abitudini che mai avresti creduto possibili in Italia. Abbandonarle tornato a casa, poi, non ti permette comunque di guardare a certi atteggiamenti con gli stessi occhi. I tedeschi per esempio organizzano sempre tutto, anche il minimo dettaglio della propria giornata, di questo mese e se possibile anche del prossimo. Io mi definisco un tipo organizzato, mi piace pianificare le cose: solitamente metto a tabella le ore da dedicare allo studio e quello allo svago. Per questo in Italia vengo spesso etichettato con espressioni che vanno dal "caso psichiatrico" fino al "Nostradamus". Devo ammettere però di essere sbiancato anch'io quando in Germania ho ricevuto un invito a una cena prevista esattamente 40 giorni dopo. Nessuna data importante, nessuna festa di compleanno, semplicemente un invito a cena, formulato dopo aver controllato il calendario sullo smartphone. Parliamo di ragazzi di 20 anni che poi con questa scusa si offendono pure se alla fine te lo dimentichi/trovi qualcosa di meglio/hai un imprevisto.

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Certo, tornare a sentirsi dire "Che fai stasera? Vieni da me!" non ha prezzo.

Ad ogni modo, il confronto che ho fatto più spesso al mio ritorno in Italia è stato quello relativo alla concezione del riciclo. Da noi il riuso non viene praticamente contemplato. In Germania al contrario mi sono arredato molteplici camere praticamente a costo zero. Questo perché ciascuna via della città ha un giorno per stagione durante il quale i residenti svuotano le cantine, o, semplicemente, lasciano ciò che non gli serve più per strada. Durante la notte quindi si sbizzarriscono nella ricerca studenti, squattrinati e loschi figuri armati di furgone che porteranno mobili, pezzi di legno e sanitari chissà dove, chissà a quale scopo. Tutto si svolge con la frenesia di una caccia al tesoro senza indizi ma con una scadenza temporale: alle prime luci dell'alba passa infatti il camion della nettezza urbana che lascia solo trucioli e polvere. In Italia, per qualche ragione, preferiamo far marcire tutto nella cantina di nostra nonna.

GIAMPAOLO, 27 ANNI, ARTISTA Essendo un fobico delle polveri sottili, ritrovarle qui a Milano dopo sei mesi in Islanda dove l'aria è quasi cristallina non è stato esattamente una gioia per i miei polmoni. Detto questo, gli islandesi hanno l'aria profondamente saggia e quella cortesia riservata tipica delle popolazioni dell'estremo nord. Ricordo, per esempio, gli autisti dei bus che rallentano con calma e come un'ammiraglia al Tour de France ti sostengono fino alla fermata, oppure ti fanno salire al volo se ti vedono che corri con la milza in mano. L'Islanda è più che altro un paese dove ti senti al sicuro. Nei momenti lodevoli di solitudine naturalistica, arrivi a chiederti se forse la persona più pericolosa sull'isola non sei proprio tu. Considerazioni che a Milano, ma anche in qualsiasi posto d'Italia, probabilmente non faresti mai.

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FLAVIA, 28 ANNI, GIORNALISTA Sono stata cinque anni negli Stati Uniti, prima in California e poi, per la maggior parte del tempo, a New York. Il primo impatto forte ricordo di averlo avuto dopo la California. In macchina, mentre da Fiumicino tornavo a casa, le strade, le case, gli alberi, tutto, sembrava incredibilmente piccolo. Sembrava di stare dentro un paesaggio Lego.

Al di là di questo, dopo anni negli Stati Uniti, una volta in Italia non riuscivo a non incazzarmi quando non potevo avere una pizza alle 3 di notte (vivevo in un paesino di 10mila abitanti) o quando non potevo fare la spesa la domenica. Insomma trovavo frustrante, nonostante provassi a razionalizzare, non poter avere tutto ogni volta che ne avevo voglia.

Per il resto, altri dettagli a cui ho impiegato un po' a riabituarmi: gli americani si fanno le canne in modo diverso, un tiro e via, è tutta una corsa, quindi se te la tieni fai brutta figura; in Italia non sempre il "ciao, come stai", che in America vuol dire solo "ciao", è apprezzato, o peggio alle volte rischia di essere interpretato come il tentativo di iniziare una conversazione; infine, quando ti abitui a dover lasciare la mancia, farne a meno per un bel po' provoca istanti di felicità.

Alessandro.

ALESSANDRO, 30 ANNI, GRAFICO

Tornando in Italia la prima cosa che ho notato è stata il caos. Ho notato, come mai prima, la sporcizia generale e la gente che fa casino. A Sydney è tutto in ordine e soprattutto la gente non urla—ok, i brasiliani sì, ma in generale nessuno urla. C'è anche da dire che a Sydney tutti sembrano sempre di corsa e camminare tranquilli su un marciapiede a volte è difficile.

Ma quello che mi ha fatto particolarmente strano è stato confrontare i parchi e in particolar modo i parchi per i bambini, le strutture e i giochi. Sono dei giochi immensi, belli da vedere anche per un adulto, come tavoli da ping pong senza nemmeno un graffio. Una cosa simile in Italia sarebbe da buttare dopo due settimane o da ricreare perché qualcuno l'ha rubata. Questo, per come la vedo io, significa anche che ai bambini vengono dati uno spazio e un'attenzione che in Italia non ci sono. Se un bambino sostiene di avere caldo con 5 gradi, in Australia i genitori lo fanno girare in t-shirt. Dico questo perché settimana scorsa ho visto una madre costringere il figlio adolescente a coprirsi "per il vento" a 35 gradi all'ombra.