Cinque ragazzi italiani riflettono sul caso Weinstein e su come li ha cambiati
Immagine via Flickr/Daniella Urdinlaiz.

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Cinque ragazzi italiani riflettono sul caso Weinstein e su come li ha cambiati

"Tutta quest'ansia di auto-assolvimento era dettata dalla consapevolezza di esserci dentro fino al collo io stesso, nel maschilismo."

Nel corso di queste ultime settimane ho ammorbato tutte le persone intorno a me perché esprimessero la loro opinione su quello che sta succedendo, tra Weinstein, Brizzi, articoli che parlano di problemi sistemici della nostra società e altri che paventano una "caccia alle streghe" ai danni di una non meglio specificata "mascolinità". Ammorbo tutti perché l'opinione delle persone a cui voglio bene mi importa più di quella di tizi qualunque su internet, e perché sono abbastanza sicura che quello che sta succedendo riguardi tutti.

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Proprio per questo, e dopo che a prendere la parola sono state soprattutto le donne (perché è anche normale così, no?), ho pensato di rivolgermi in particolare agli uomini.

Quali riflessioni stanno passando per la testa di quelli che, emotivamente o logisticamente, mi circondano? Quello che è successo li ha spinti a riflettere su di sé o sulla realtà intorno a loro? Avevamo davvero bisogno del caso Weinstein per accendere un riflettore sul sessismo? Pensano forse che stiamo esagerando?

Alcuni di quelli a cui ho fatto queste domande mi hanno detto di non sentirsi ancora pronti per rispondere. "Ci sto ancora riflettendo, non è facile, bisogna capire che c'è da ridiscutere tutto e non tutti sono disposti a farlo," è una delle risposte più importanti—senza ironia—che ho ricevuto in merito. Questo, invece, è quello che mi hanno detto gli altri.

"LAVARSI LE MUTANDE IN PIAZZA, FORSE, È L'UNICO MODO DI SMETTERE DI RACCONTARSELA"

Personalmente, e stupidamente, ho sempre pensato di essere l'ultimo maschio che poteva essere accusato di avere un comportamento sessualmente aggressivo e molesto nei confronti delle donne. Seriamente: quando è scoppiato tutto il casino Weinstein la prima cosa che ho pensato è stata "che cosa lontana da me". Poi ho fatto una lista mentale dei motivi per cui io non ero come lui. Non ho mai cercato di approfittarmi di una situazione sessualmente ambigua in tutta la mia vita. Ho dormito decine di volte nello stesso letto con amiche (amiche che magari mi piacevano) senza sfiorarle nemmeno con un gomito mentre mi rigiravo nel letto. Se una ragazza non cerca per prima un contatto fisico, io non mi avvicino nemmeno. Piuttosto rischio di sembrare un pavido, ma non lo faccio. Mai stato con ragazze sbronze o fatte, nemmeno da ubriaco o fatto, a meno che non fosse la mia ragazza e non ci fossimo sbronzati insieme. Non sono mai stato geloso o possessivo. Ho la coscienza a posto, mi dicevo.

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Ma la verità è che tutta quest'ansia di auto-assolvimento era dettata dalla consapevolezza, in fondo in fondo, di esserci dentro fino al collo io stesso nel maschilismo e nella prevaricazione sessuale. E alla fine ho capito che l'unica azione positiva, l'unica riflessione opportuna che un maschio può fare in questa situazione, è tirare fuori il rospo. Fare un elenco crudo di tutti i comportamenti sbagliati che ha avuto nel tempo, per mettere in piazza il fatto che alla fine nessuno è salvo e che viviamo dentro un sistema che ti spinge a essere prevaricatore anche quando non vorresti. E lavarsi le mutande merdose in piazza, forse è l'unico modo di smettere di raccontarsela.

Questo è il mio elenco parziale: i primi anni delle superiori ero solito toccare il culo alle mie compagne di classe più intime e pensare che fosse tutto a posto perché loro ci ridevano su. Verso i 17 anni sono uscito con una ragazza che non mi piaceva molto, ma a cui sapevo di piacere molto, e le ho fatto capire con un discorso da codardo che l'unico modo che aveva di continuare a vedermi e pensare di poterci mettere insieme era che me lo succhiasse. Quando avevo 21 anni uscivo con una ragazza che mi faceva sentire potente, perché pensavo di essere più intelligente di lei e la manipolavo con discorsi melliflui, mentre lei mi ascoltava tutta ammirata e faceva quello che le dicevo di fare. Una volta l'ho fatta tornare dalla città in cui studiava per poi dirle che non mi andava di vederla. Ho abusato della pazienza di un'infinità di amiche, facendo battute pensanti e dando per scontato che non si sentissero in imbarazzo perché sono goffo e babbeo e tanto si sa che scherzo.

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—Niccolò, 29 anni

"MA IO, COSA DEVO FARE?"

Sicuramente [tutto quello che è successo con il caso Weinstein e gli altri casi] è riprovevole, così come lo è sentir dire spesso a persone che conosco “guarda com’è vestita” o “se lo sono meritato.” È sbagliato e nessuno può dire il contrario. Però ora che si è amplificata la bolla molti casi che prima sarebbero stati scusabili vengono fuori: ho paura che arriviamo all’eccesso, al rischio che solo perché una è donna allora a spada tratta questa possa accusare l’altro e prevalere, possa dire, “Siamo stati soli nel suo ufficio, mi ha palpeggiato.” Comunque, sono d’accordissimo che chiunque abbia subito abusi riceva il giusto supporto, sia monetario, sia psicologico o quello che ritiene.

Ovviamente sono anche d'accordo che sia un problema non solo di violenza ma anche di focus: la mentalità dovrebbe essere che quando qualcuno viene stuprato noi ci arrabbiamo con le persone che su Facebook scrivono, "Se l'è meritato," e invece la società scusa questi comportamenti. Però dipende: ieri ero in metropolitana e c’erano due ragazze che facevano commenti sul loro gruppo di amici, parlando di quelli che si sarebbero portati a letto la sera: “Ah quello lì mi ha dato attenzioni di quel tipo, e io le ho anche cercate, le attenzioni.” Quindi non è detto che a certe persone non faccia piacere un fischio.

Ma io, cosa devo fare? Più che non mettermi a commentare su determinate cose, più che… Non so cosa posso fare. Però penso che con la nostra generazione ci sia stato un cambio. Noi riusciremo a elevarci su queste tematiche, anche se bisogna considerare che [in Italia] il livello di vecchiaia è spaventoso, e dall'alto arrivano comportamenti sbagliati.

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—Davide, 27 anni

"TI DICONO CHE LE COSE VANNO COSÌ. ANCHE TRA MASCHI."

Sono cresciuto in una famiglia di donne, unico maschio di casa. Un perfetto esemplare di Edipo interrotto. Sì, sono gay. Vivo a Milano e lavoro nella moda—tutto regolare. Per ovvie ragioni ho una certa propensione nel sintonizzarmi con le donne (cliché, ma è così); e sul rumore mediatico post-Weinstein ho poco da aggiungere, se non sperare che duri il più possibile per riposizionare il valore della donna.

Detto ciò, questa storia mi è servita a far luce anche sul mio punto di vista e a farmi rendere conto dell'irrefrenabile istinto animale che fa da motore a questa macchina di cui nessuno parla mai, perché è troppo bella e comoda per sputtanarla. E non riguarda solo le donne, ma è un problema più diffuso, quello dell'abuso di potere da parte dell'uomo: ho letto dichiarazioni omofobe da parte di stilisti omosessuali e conosciuto redattori di moda che abusano del nudo artistico per fini voyeuristici con modelli minorenni. Poi le pacche sul culo, "in amicizia," da stagista le ho avute anch’io, così come gli sms ambigui dal superiore. Ma "tra maschi è diverso…", ti dicono; mettici anche il mix di cinismo e apertura mentale che erediti dalla grande città e queste cose neanche più le noti. Alla fine il sogno in gioco è sempre troppo alto e ti dicono che le cose vanno così. Anche tra maschi.

—Nicola, 24 anni

"SEI VITTIMA DEL SISTEMA, MA FINISCI PER FARNE PARTE ANCHE TU"

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Storicamente serve un grosso evento per scatenare cambiamenti, quindi io spero che si possa ripartire da questa esperienza, e migliorarsi. Bisogna fare una seria riflessione sul perché la cosa sia esplosa solo adesso, e sensibilizzare a denunciare questi atteggiamenti, che sono sempre esistiti. Penso che ci sia un problema di comunicazione, e soprattutto in Italia un'omertà diffusa sul voler capire cosa succede nelle relazioni.

La mia unica preoccupazione è che ci possa essere una strumentalizzazione della cosa, che porti a una confusione sulla definizione di sexual harassment. Per me la molestia inizia nel momento in cui tu ti relazioni a una persona senza rispettarla. Poi ovviamente ci sono dei comportamenti che possono essere interpretati come ambigui, ma magari non lo sono in modo voluto. Il problema di fondo è che anche chi fa le leggi reputa normale che ci siano atteggiamenti che non sono ok. Sicuramente c'è la molestia come fatto penale, ma poi c'è tutto il resto, ed è su questo "resto" che dobbiamo discutere soprattutto in Italia, dove atteggiamenti di questo tipo sono sempre stati attuati.

Quello che è successo mi ha spinto a essere ancora più all'erta su quello che dico e quello che faccio. Ho provato a pensare alle mie esperienze e ai momenti in cui ho cercato di essere magari propositivo, e invece sono risultato aggressivo—soprattutto perché ormai di molestie si parla continuamente, e [potenziali molestie] vengono fatte passare come il peggio del peggio. Poi figurarsi, sono il primo che si è sempre sentito a disagio ad avere di fianco uomini senza filtri, non l'ho mai tollerato. Ma è difficile andare a tagliare i fili sottili che legano strutture [sociali] così fondate che sì, sei vittima del sistema, ma finisci per farne parte anche tu se non ti fai un esame di coscienza.

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—Alessandro, 26 anni

"CHIUDERE LA BOCCA E APRIRE LE ORECCHIE"

La prima cosa che ho imparato da tutta questa storia è che non bisogna MAI lasciare testimoni. Scherzo. Per il resto non so bene che cosa sia cambiato; ho sempre pensato che certe espressioni di maschilismo, "prendi una donna e trattala male" e affini, fossero grosse stronzate e sono contento che ora sia diventato di dominio pubblico. Sono altresì sollevato dal fatto che pratiche che hanno sensibilmente peggiorato la vita delle donne per decenni abbiano trovato finalmente un po' di opposizione, anche se, sia chiaro, ho avuto conversazioni con amici che continuano a sostenere che concedere favori sessuali in cambio di opportunità di lavoro sia una cosa accettabile. Mi sono anche reso conto di quanta fatica io faccia a comprendere quanto possa essere traumatico per una donna un certo tipo di abuso "leggero"—parlo del commento per strada, della battuta inappropriata, della sessualizzazione fuori contesto. Ho ripensato a tutta la manipolazione, a tutti i trucchetti e le cattiverie che ho usato nelle mie passate relazioni, e cercato di rendermi conto dello sbilanciamento di potere. Sia chiaro: ho cercato di rendermene conto perché essendo cresciuto con l'idea di essere uno sfigatone non è facile per me ammettere di avere più potere di qualcun altro/a.

Una cosa che invece fatico a comprendere e mi manda un po' in paranoia è l'atmosfera di panico. È una corsa per salire tutti quanti sul carrozzone dei giusti, mentre l'effetto che questi avvenimenti dovrebbero generare è di smarrimento, anche opposizione in prima istanza: vuol dire che stai effettivamente pensando con la tua testa, anche se è una gran testa di maschio. Poi dovrebbe arrivare una graduale sensibilizzazione collettiva, rendersi conto che patriarcato e maschilismo istituzionalizzato esistono. E poi, solo alla fine, l'impegno per farli sparire—e non un semplice alzare le mani e dire "io non sono mica sessista". Spesso questo tipo di proclami vengono adottati senza alcun senso critico, e questo è male perché sotto sotto significa non averci capito un cazzo.

Quindi è un impegno enorme, che non si può assolvere soltanto a colpi di hashtag. E per assumerselo non basta avere paura di essere sputtanati su internet. Bisogna studiare, chiudere la bocca e aprire le orecchie.

—Giacomo, 32 anni

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