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Storia di un decreto (anche) contro il femminicidio

Quello che è successo prima che il decreto diventasse legge, e quanto potrebbe essere utile alle donne: l'abbiamo chiesto a due persone che seguono da tempo la vicenda, e che ci hanno confermato che la strada da fare è ancora molto, molto lunga.

Il Decreto Legge noto ai più come “contro il femminicidio” ha una storia particolarmente rocambolesca. L'estate scorsa, presa coscienza di un problema che era tale già da anni, il nuovo Governo Letta dichiara tra i suoi primi obiettivi quello di fare qualcosa per frenare le violenze di genere. Il 14 agosto arriva sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legge sul tema, che genera tanta gioia quanti usi impropri del termine femminicidio (qualcuno ha pensato che il genere femminile avesse tali problemi di ego da pretendere che qualsiasi omicidio con una vittima femmina fosse scisso da tutti gli altri omicidi, DAVVERO) che vengono ben chiariti dai suoi contenuti: sono inasprite le pene nel caso in cui le violenze verso una donna vengano perpetuate dal marito, compagno, o dall’ex marito, e se in presenza di un minore di 18 anni, viene inserito l’arresto in flagranza di reato. Stiamo parlando di violenze tra le mura domestiche, in contesti familiari, tra persone conosciute e che (spesso) hanno una relazione sentimentale. Prima di continuare la cronologia, ho chiesto a un avvocato che da anni si occupa del tema, Susanna Zaccaria—tra le consulenti della Casa delle Donne di Bologna—di spiegarci come funzionassero finora le cose dal punto di vista legale per le vittime, e di fornirci qualche precisazione sui punti più controversi, in particolare l'irrevocabilità della denuncia. Mi ha risposto con la cautela necessaria nel parlare di un decreto che ha pendenti 414 emendamenti.

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VICE: Quali tutele ci sono già per le donne che subiscono violenza?
Avv. Susanna Zaccaria: Di leggi veramente specifiche per questi reati c'era solo la legge sugli ordini di protezione del 2001. È stata la prima volta che si autorizzava la richiesta di allontanamento dal giudice civile o penale come misura cautelare. Per il resto, noi abbiamo sempre usato strumenti che non sono specifici, cioè la denuncia e la procedura penale che è quella per tutti i tipi di reati. Quello sul quale il Decreto sembrava puntare era mettere misure cautelari che sono limitative della libertà della persona che è pericolosa facendo attenzione alla specificità del caso. E per quel che riguarda le leggi sul reato di stalking?
Hanno messo sostanzialmente un nuovo reato (con il solito ritardo rispetto agli altri Paesi), l’unico strumento in più è l’ammonimento, da utilizzare prima del processo.Quando riceve l’informazione dalla persone che subisce lo stalking, verificata l'attendibilità, la polizia può convocare in caserma il persecutore e dirgli sostanzialmente, “Adesso tu la smetti perché altrimenti si va nel penale.” Però a livello di strumenti e di procedura non è che ci sia molto altro. Quindi le misure specifiche erano effettivamente poche.
Il Decreto ha voluto potenziare alcuni punti di tutela, quindi all'interno della procedura già esistente, come ad esempio l’arresto in flagranza di reato che la polizia può effettuare se interviene in casa. È chiaro che bisogna vedere come queste tutele verranno applicate. Cosa pensa dell’irrevocabilità della querela, il punto più discusso del decreto?
Faccio molta fatica a prendere una posizione netta. Da un lato è senz’altro vero che la donna debba essere libera di fare la querela e di poterla ritirare, vista la particolarità di questo tipo di reati, legati alla dimensione affettiva. Nello stesso tempo è altrettanto vero che se la querela diventa irrevocabile la donna non subisce pressioni, e il procedimento può andare avanti. Lo Stato si assume, come secondo me dev’essere, l’onere di questo tipo di procedimenti.
Gli altri paesi europei non hanno questo problema perché questo tipo di reato è perseguibile d’ufficio, altro che querela irrevocabile. Questo perché lo Stato se ne fa carico. Comunque, nel Decreto si parla di irrevocabilità della querela per stalking. Esatto, fa parte delle modifiche alla legge sul reato di stalking.
Ecco, non è questa grande rivoluzione, perché il maltrattamento è già procedibile d’ufficio, e lo stalking per molti versi è già perseguibile d’ufficio. Se ne discute molto perché è una questione politica, non perché il Decreto abbia stravolto un sistema. Nel caso dei maltrattamenti, il DL stabilisce che se è consumato da un coniuge c’è un'aggravante. Questo prima non veniva considerato?
Hanno individuato alcune aggravanti che hanno come significato quello di fare più attenzione ai casi che portano maggiormente al femminicidio. Hanno introdotto, per esempio, la violenza assistita, un'aggravante che andava aggiunta. Per la prima volta si parla espressamente di quei casi a cui assistono i figli, non direttamente subiti dai minori. Questo è importantissimo. Secondo lei quello che viene stabilito nel Decreto è un buon passo avanti?
Non tanto per l’aumento di pena che ci interessa il giusto. Non è dissuasivo. Non è che i maltrattanti stanno lì a pensare se rischiano tre o sei anni, non è importante. Sono importanti per l’attenzione che si farà con i casi specifici. È proprio un cambio di rotta in questo senso e per questo vanno bene le aggravanti. In più, hanno esteso la possibilità di avere il difensore pagato dallo Stato come già succede per i reati di violenza sessuale e al di fuori dei limiti di reddito. Almeno, questo è quello che dovrebbe essere, è ancora presto per parlare. Mi sembra di capire che comunque non siano abbastanza.
È una parte. Bisogna avere consapevolezza che non è tramite lo strumento penale che si risolve. In materia di violenza la formazione degli operatori, l’educazione nelle scuole, il confronto sulle differenze di genere sulle società, l’informazione, la sensibilizzazione, il potenziamento dei centri anti violenza sono fondamentali. Se uno guarda i numeri, siamo ben al di sotto degli standard europei. Ci sono regioni dove questi centri non ci sono neanche. Per me la strada è giusta, ma se si ha la chiara consapevolezza che questo tipo di problema non viene risolto solo con lo strumento penale. Ma da qui a dire che le norme sono sbagliate, ce ne passa.

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- Il 25 settembre è iniziata alle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera la discussione del decreto. La data stabilita per la discussione in Camera per tramutare tutto questo in legge era il 26 settembre, ma è stata rimandata al 2 ottobre, e poi al 9 ottobre. La data di scadenza sul tappo del Decreto è 15 ottobre 2013: in caso di mancata approvazione da entrambe le camere entro il 14 ottobre, tutto sarebbe tornato come prima. Durante questi due mesi, qualcuno ha avuto il tempo di leggere tutte le parti del DL e dei successivi emendamenti per rendersi conto che quello sul femminicidio occupa solo un quarto del Decreto. Per il resto infatti si parla di norme per la sicurezza, cyberbullismo, Val di Susa, e sulla proroga del commissariamento delle province—uno degli emendamenti riguarda proprio questa proroga, che ha fatto incazzare M5S e SEL e alzare le spalle a tutti gli altri.

Mercoledì 9 ottobre, a poche ore dalla fine delle votazioni alla Camera, abbiamo chiesto all'onorevole di SEL Celeste Costantino qualche chiarimento sulle vicende politiche dietro a questo Decreto.

VICE: Com’è stata la trafila che ha portato solo ieri alla discussione di questo decreto alla camera?
On. Celeste Costantino: Questi sono stati i tempi dettati dalla cronaca politica che tutti conosciamo. Il Decreto era stato messo in agenda già dal 20 agosto, poi ci sono state tutta una serie di priorità per il Governo. In ogni caso, noi contestiamo lo strumento del Decreto. Queste non sono misure “urgenti”, sono questioni strutturali che avremmo dovuto affrontare in maniera diversa. Come è andata la votazione?
Noi di SEL non abbiamo votato. Questo decreto “contro il femminicidio”, di fatto è un decreto omnibus che tiene dentro più articoli che nulla hanno a che fare con la lotta al femminicidio. La prima contrarietà nostra è stata proprio questa: il fatto di voler utilizzare il corpo delle donne per mascherare cose che nulla hanno a che fare con la violenza di genere. È dall’inizio della legislatura che vengono presentati Decreti Omnibus dove troviamocose molto diverse tra di loro. Che cosa pensa della parte del decreto dedicata al femminicidio?
La contrarietà più grossa è sull’irrevocabilità della querela, su cui ci siamo opposte sin dall’inizio. È complicato denunciare la violenza di mariti, fidanzati, compagni che hanno rappresentato tanto; non stiamo parlando di estranei. L’idea di non poter tornare indietro dopo la denuncia può spingere levittime a non denunciare. È una conclusione a cui siamo giunti discutendo con le operatrici dei centri anti-violenza.
Poi noi abbiamo proposto un budget molto alto più sul finanziamento ai centri. Nel decreto si parla di 30 milioni, noi ne avevamo proposti 100, ma neanche questo emendamento è stato accettato.
Poi abbiamo presentato una serie di emendamenti aggiuntivi che fanno parte della Convenzione di Istanbul, e altri relativi alla prevenzione, quindi formazione e educazione nelle scuole, e tutta questa parte non è stata minimamente presa in considerazione. È solo SEL che ha mosso questo tipo di critiche, o ci sono anche altri partiti?
No, anche il Movimento Cinque Stelle, tanto che dopo aver annunciato l’astensione al Decreto, anche loro hanno deciso poi di non votare. In realtà anche il PD ha mosso le perplessità che abbiamo riportato noi, con la differenza che il PD ha proposto una discussione sul fatto che comunque sia, qualche passo in avanti è stato fatto. Noi invece pensiamo sia un’occasione mancata. -

A l'una di oggi il testo è passato anche al Senato. SEL, M5S e Lega non hanno partecipato al voto. I senatori si sono seduti in aula tutti tesi per l'arrivo di questo decreto a tre giorni dalla scadenza, consci del fatto che per evitare di dover buttare tutto il lavoro fatto finora dovranno riparlare dei dettagli nei prossimi mesi. Dall'inizio del 2013 gli omicidi di donne per mano di mariti, compagni o ex compagni si avvicinano a quota 100, a quattro anni dalla legge per reato di stalking e a 13 anni dall'inserimento degli ordini di protezione. Magari questa volta funziona, e forse l'abbonamento obbligatorio alla Gazzetta Ufficiale dei soggetti già segnalati come maltrattanti potrebbe essere un ulteriore aiuto.

Segui Chiara su Twitter: @chialerazzi

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