Se scienziati e scrittori avessero una sola possibilità per salvare il mondo, cosa farebbero?

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A11N3: Il mondo sta per finire male

Se scienziati e scrittori avessero una sola possibilità per salvare il mondo, cosa farebbero?

Abbiamo chiesto a scienziati, scrittori e giornalisti qual è secondo loro la cosa più urgente da fare per salvare il nostro pianeta dalle conseguenze del cambiamento climatico. Ecco cosa ci hanno risposto.

Indigo Wells, Oregon, 2012, stampa a colori tradizionale in camera oscura. Tutte le foto sono di David Benjamin Sherry, tratte dalla sua monografia Earth Changes, pubblicata da Mörel Books questa primavera. Immagini per gentile concessione dell'artista e di Salon 94, New York

FARE MENO FIGLI
Alan Weisman, scrittore

Ogni quattro giorni, su questo pianeta c'è un milione di persone in più. Durante il secolo scorso ci siamo quadruplicati—il più grande salto di una popolazione nella storia della biologia, escluse le forme microbiche. Eppure a noi, che ci siamo nati in mezzo, tutto questo nascere e questo traffico e questa folla sembrano normali.

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Non lo sono. Dal momento che la Terra non cresce, continuando ad aumentare inficiamo i nostri bei sogni di sostenibilità. La sovrappopolazione non è solo un altro problema ambientale: è il problema alla base di tutti gli altri. Se non fossimo così in tanti a usare sempre più risorse a ogni generazione che passa, a produrre rifiuti e anidride carbonica che non c'è modo di eliminare, non ci sarebbero problemi ambientali—né un Antropocene.

Fortunatamente, è il problema più facile (e più economico) da risolvere, sia tecnicamente che socialmente—e senza nemmeno dover ricorrere a misure drastiche come la politica cinese del figlio unico. E farlo porterà a un rifioritura economica, a una riduzione delle disparità sociali, e contrasterà il cambiamento climatico più in fretta di qualunque altro rimedio.

Per la maggior parte della nostra storia, come ogni altra specie, abbiamo fatto quello che ci veniva spontaneo: abbiamo prodotto copie di noi stessi—incluse delle copie extra, perché in natura la mortalità infantile è estremamente alta. Fino al 1800, meno di metà della nostra stirpe è sopravvissuta e ha generato a sua volta.

Ma poi abbiamo cominciato a fare cose innaturali, anche se miracolose, a cominciare dal vaccino contro il vaiolo, che fino a quel momento falcidiava ogni anno milioni di persone. Poi sono venuti tutti gli altri vaccini, gli antisettici, il latte pastorizzato, e i metodi di difesa dagli insetti portatori di malattie. All'improvviso, meno bambini morivano, e le persone vivevano molto più a lungo.

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Poi, nel Ventesimo secolo, abbiamo scoperto come far crescere molte più piante di quelle che sarebbero cresciute in natura. L'invenzione dei fertilizzanti, seguita dalle colture geneticamente modificate della Rivoluzione Verde che consentivano di produrre più grano dallo stesso terreno, hanno significato che meno persone morivano per denutrizione, che vivevano per dare vita ad altre persone, che a loro volta ne generavano altre.

Quest'esplosione alimentare comunque era un frutto della chimica. Derivati dei combustibili fossili, i fertilizzanti sintetici distruggevano il suolo e le acque ed emettevano potenti gas serra. Dal momento che non avevano alcuna difesa contro i predatori e le malattie, le colture di laboratorio dovevano essere innaffiate di erbicidi, pesticidi e fungicidi. Oggi conosciamo l'impatto negativo di queste tossine sul nostro ecosistema, e su di noi. Ma con 7,3 miliardi di persone (più briciole), sembra che non possiamo fare altrimenti.

Ci sono anche dei lati negativi a livello sociale. La Rivoluzione Verde è cominciata in India e in Pakistan. Non è una coincidenza che la popolazione dell'India supererà a breve quella della Cina. Al momento, 188 milioni di pakistani abitano un paese delle dimensioni del Texas, la cui popolazione è di 26 milioni di persone. A metà di questo secolo, il Pakistan potrebbe arrivare a 395 milioni di persone—che è ben oltre l'attuale popolazione americana—ma riarrebbe comunque delle dimensioni del Texas. Ed è una potenza nucleare.

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Subito dopo la Rivoluzione Islamica del 1979, l'Iran, vicino del Pakistan, ha stabilito che ogni donna fertile sarebbe dovuta rimanere incinta per poter costituire un esercito da 20 milioni di uomini per contrastare l'invasione irachena. La natalità del paese ha presto raggiunto un apice. Poiché mancavano le armi sofisticate che all'Iraq venivano passate dalla NATO, per otto anni il paese ha utilizzato uomini su uomini per contrastare il nemico. Ma dopo questa strage prolungata, i piani alti iraniani si sono resi conto che tutti gli uomini nati durante la guerra avrebbero avuto bisogno di un lavoro, e le possibilità di fornirglielo diminuivano a ogni nuovo nato. Una nazione piena di giovani frustrati, arrabbiati e disoccupati sarebbe stata una nazione instabile—vedi il Pakistan.

A quel punto l'Ayatollah ha emesso una fatwa che diceva: "Quando la saggezza vi dice che non avete bisogno di altri figli, è permessa la vasectomia." Le équipe mediche percorrevano il paese in lungo e in largo, offrendo di tutto, dai preservativi alla chiusura delle tube, tutti gratis—ma tutti su base volontaria. Ogni coppia poteva decidere quanti figli voleva. L'unico obbligo era la consulenza prematrimoniale, in cui veniva spiegato quanto sarebbe costato crescere, nutrire ed educare un bambino.

Una strategia importante è stata quella di fare in modo che le ragazze non abbandonassero gli studi, dal momento che finché studiavano rimandavano la gravidanza. Nei paesi ricchi come in quelli poveri, l'istruzione femminile sembra essere il miglior contraccettivo. Le donne istruite hanno cose utili e interessanti a cui dedicare le loro vite, e un introito da offrire alla propria famiglia. Ma non è facile vivere così quando hai sette figli, perciò, in tutto il mondo, la maggior parte delle donne che hanno completato il ciclo della scuola secondaria hanno al massimo due figli. Ora il 60 percento degli studenti delle università iraniane sono donne, e l'Iran è arrivato a una situazione di crescita zero—le coppie fanno in media due figli, che non fanno altro che rimpiazzare i genitori—un anno prima della Cina.

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Metà dei paesi di tutto il mondo—posti diversi culturalmente come la Tailandia, il Messico, il Brasile e il Bangladesh—sono ora prossimi o, come nel caso dell'Iran, ben al di sotto della crescita zero. L'Italia è uno dei Paesi col maggior numero di donne che detengono titoli avanzati, e il Paese della Chiesa cattolica ha una crescita demografica tra le più basse. Il famoso Vienna Institute of Demography ha calcolato che se l'istruzione femminile fosse universale, la crescita entro il 2050 sarebbe di un miliardo di individui in meno rispetto ai 2,5 miliardi attesi.

Ma anche le donne istruite hanno bisogno di contraccettivi. Fortunatamente, a differenza dell'energia a zero impatto ambientale, è una tecnologia che abbiamo già. Garantire l'accesso ai contraccettivi in tutto il mondo costerebbe solo 8,1 miliardi di dollari l'anno—quello che gli Stati Uniti spendono in un mese per le loro guerre in Iraq e Afghanistan. Nel giro di due o tre generazioni, tutte queste donne indipendenti ci aiuteranno a passare a una crescita demografica sostenibile, e a un mondo più equo, uno dove la prosperità economica non sia legata a filo doppio a una crescita costante. (Se nascono meno lavoratori, la manodopera è più ricercata, gli stipendi salgono e i profitti vengono redistribuiti.)

Dal momento che meno persone significano anche meno cibo geneticamente o chimicamente modificato, il mondo sarà anche un posto più sano—e con più diversità. Oggi, più o meno metà delle terre emerse servono per nutrire una sola specie: la nostra. Meno persone significano più spazio per le altre specie, quelle che al momento stiamo facendo estinguere—finché ne faremo scomparire una di cui, troppo tardi, ci renderemo conto di avere bisogno.

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E a quel punto la popolazione umana comincerà a decrescere senza fine.

Alan Weisman è l'autore di The World Without Us e Countdown.

Ubehebe Crater, Cottonwood Mountains, Death Valley, California, 2013, stampa a colori tradizionale in camera oscura

INCORAGGIARE LA SMART FARMING
Michael Pollan, esperto di nutrizione e agricoltura
Come raccontato a Wes Enzinna

Al momento negli Stati Uniti il dipartimento dell'Agricoltura offre un sussidio agli agricoltori per ogni staio di grano o di granturco o di avena o di riso prodotto. E se invece dessimo loro un sussidio per il carbonio che riescono a seppellire nel suolo che coltivano? Un tempo, circa un terzo del carbonio che è ora libero nell'atmosfera era intrappolato nel suolo sotto forma di sostanze organiche, ma da quando abbiamo iniziato a bonificare e disboscare, abbiamo liberato ingenti quantità di carbonio nell'atmosfera. Il settore alimentare—che include l'agricoltura, l'industria di lavorazione degli alimenti e il trasporto—contribuisce per circa il 20-30 percento alla produzione di gas serra del mondo civilizzato. Il fertilizzante è tra i primi colpevoli, per due motivi: anzitutto è fatto con combustibili fossili, e poi quando lo nebulizzi sulle colture e si bagna si trasforma in ossido di azoto, un gas serra molto più nocivo dell'anidride carbonica.

Ma ci sono dei modi per eliminare il carbonio dall'atmosfera e rimetterlo nel suolo. Le piante per esempio eliminano il carbonio dall'atmosfera e, attraverso la fotosintesi, lo trasformano in zuccheri utili per costituire i loro interi corpi—le radici, gli stemmi, i rami, le foglie. Quello che è meno noto è che le piante, tramite le radici, seppelliscono nel suolo fino al 40 percento dello zucchero che creano con il carbonio. Lo fanno per nutrire i microbi nel suolo in cambio di altri nutrienti che questi danno loro. Questi microbi mangiano lo zucchero, che entra così nella catena alimentare microbica e infine viene rilasciato nel suolo come carbonio.

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E la chiave per fermare alcune conseguenze negative del cambiamento climatico è riuscire a trattenere nel suolo più carbonio. Se riuscissimo a far salire il livello di carbonio nel suolo anche solo di un paio di punti percentuali, il miglioramento sarebbe palpabile—per il cambiamento climatico, ma anche per le rese delle colture. Quando nel suolo c'è più carbonio, aumentano la fertilità e la capacità di trattenere l'acqua, così il suolo con un sacco di carbonio resiste meglio alla siccità, che è ovviamente un altro effetto del cambiamento climatico. Hai i benefici di una più redditizia produzione agricola insieme alla diminuzione dell'anidride carbonica. È una forma di geoingegneria con pochi rischi e molti benefici.

La domanda, allora, è come possiamo accelerare il processo di formazione di carbonio nel suolo. In California, il Marin Carbon Project sta fertilizzando le terre a coltura con il compost, che fa ingranare il processo microbico, probabilmente perché inietta nel suolo proprio dei microbi. Le piante crescono di più, l'erba è più folta, e i vegetali iniziano a nutrire i microbi in un circolo virtuoso, che porta a più microbi e più erba—e, nel caso di allevamenti di bestiame, anche più cibo. Il risultato è che il carbonio inizia a depositarsi nel suolo in grandi quantità, anno dopo anno. Una singola concimazione con il compost dello spessore di 2,5 centimetri porta all'aumento del carbonio nel suolo per i sei anni successivi almeno, secondo le analisi. San Francisco potrebbe eliminare gran parte dell'anidride carbonica che emette semplicemente spandendo compost sulle sue terre.

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Dobbiamo offrire incentivi agli allevatori e agli agricoltori perché gestiscano le loro terre in modo da massimizzare il deposito del carbonio. Si potrebbero offrire incentivi ai contadini per usare cover crop—ovvero per coltivare a maggese parte dei loro campi, sempre. Perché quando i campi sono inutilizzati, sono più esposti all'erosione e liberano gran parte del carbonio. C'è un progetto collaborativo a Santa Fe, la Quivira Coalition, in cui Courtney White lavora con gli agricoltori per sviluppare delle colture a rotazione che siano pensate per far depositare il carbonio. Molti dei contadini con cui lavora nemmeno credono al cambiamento climatico, ma vedono abbastanza benefici in queste tecniche per provare comunque. Il Rodale Institute della Pennsylvania sta sperimentando tecniche di sod seeding. Il nuovo raccolto viene piantato nel letto lasciato dai resti del precedente in decomposizione. Il risultato è maggiore carbonio nel suolo, più idratazione, meno erbacce e maggior fertilità.

Ci sono molti modi con cui possiamo migliorare l'agricoltura per guarire il pianeta, nutrirci e aiutare ad arginare il cambiamento climatico. Possiamo iniziare smettendo di affidarci al petrolio, che è centrale nell'industria agricola (non solo per i macchinari, ma anche per i pesticidi e per i fertilizzanti); e tornare ad affidarci all'energia solare: alla fotosintesi. Ma siamo solo all'inizio di questa conversione.

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In quanto civiltà, siamo ancora bloccati nella nostra idea di relazione con la natura in cui noi pensiamo di poter prendere quello di cui abbiamo bisogno, che sia cibo o energia o intrattenimento, e che la natura debba darcelo, lasciandosi rovinare. Non è sempre necessario. Le tecniche agricole che ho esposto sono tra le cose più efficaci per contrastare il cambiamento climatico. Questo sistema, in cui le piante rilasciano zuccheri nel suolo, si basa sul sole—sulla fotosintesi—invece che sui carboni fossili. Dimostra che ci sono altri metodi con cui possiamo nutrire noi stessi e curare la terra. Ecco il grande passo che dobbiamo fare: verso un sistema di nutrimento sostenibile dove le piante assorbono l'energia del sole e depositano carbonio nel suolo e nutrono le piante e gli animali che noi mangiamo. È una teoria che sta ottenendo consensi. Io ho fiducia che si stia costituendo un gruppo di persone che vogliano investire in questo senso. Sappiamo verso dove dobbiamo andare—ora abbiamo solo bisogno di costruire un dialogo politico che ci consenta di arrivarci.

Michael Pollan è l'autore di The Omnivore's Dilemma e altri libri.

Rocky Hill, Big Bend, Texas , 2013, stampa a colori tradizionale in camera oscura

MIGLIORARE LE PERSONE
Ken Caldeira, climatologo

L'umanità dovrebbe avviare un programma di ricerca per sviluppare sistemi sociali che incoraggino le persone a mettere al secondo posto il guadagno immediato in favore di benefici comuni di tipo sociale e ambientale di lungo periodo. Dovrebbe essere la cosa più importante. Poi ci potrebbero essere anche altre strade, come quella di sviluppare sistemi sociali in grado di allinearsi a questioni ambientali di più ampio respiro in breve tempo.

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In alcuni paesi, come l'Italia, le persone arrivano quasi a picchiarsi per salire su un autobus. In Inghilterra, alle fermate degli autobus si vedono solo file ordinate. Qual é l'impulso che porta una persona a stare in coda? Com'è che un paese passa da un posto in cui non si sta in fila a uno in cui ci si sta?

Una risposta potrebbe essere che a un certo punto la gente capisce che un'azione i cui effetti si avvertono sul lungo periodo, tipo il mettersi in fila, è di interesse comune, e che un'attitudine di questo tipo aiuta a creare e a preservare una società. Certo, il motivo potrebbe essere anche un altro, e le persone potrebbero optare per stare in fila perché in caso contrario gli altri le picchierebbero, e in questo caso sarebbe la paura di conseguenze negative ad aiutare il mantenimento di un sistema che preserva il bene di tutti.

I nostri problemi ambientali (e politici) derivano in gran parte dall'azione di persone che ragionano in termini di tornaconto personale, sul breve termine. La questione centrale, oggi, è come far diventare la nostra società di persone interessate al guadagno una società composta da esseri umani decisi ad agire e a comportarsi meglio in vista del bene comune.

Ken Caldeira è climatologo al Dipartimento di Ecologia Globale della Carnegie Institution for Science.

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Saguaro Field, Tucson, Arizona, 2013, stampa a colori tradizionale in camera oscura

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LIBERALIZZARE IL MERCATO ENERGETICO
Naomi Oreskes, storica del clima
Come raccontato a Ryan Grim

Le persone non ne vogliono sapere di cambiamento climatico, e questo perché hanno paura. Quello che temono di più sono le ripercussioni che potrebbe avere in diversi ambiti. Per esempio il capitalismo, il libero mercato, e la paura che il cambiamento climatico giustifichi un'espansione statale sul fronte sia economico, che internazionale. A riguardo c'è anche un episodio della serie televisiva di Jesse Ventura, Ipotesi di complotto. Parla di Maurice Strong, uno dei relatori presenti nei primi anni Novanta a un incontro sul clima organizzato dalle Nazioni Unite. Molti di quelli che negano l'esistenza del cambiamento climatico, e che anzi lo considerano un complotto, parlano di questo incontro come dell'inizio della fine. Altri dicono che le conseguenze generate dal dibattito riguardante il cambiamento climatico abbiano limitato cose come la libertà individuale e il libero mercato.

La mia risposta è ok. "Allora parliamo delle soluzioni messe in campo dal Governo. E parliamo anche del mercato dell'energia." Per me è questa la cosa più importante. Perché il presupposto da cui bisogna partire è che il mercato dell'energia non è un mercato libero. Perché la gente è convinta che le libertà politiche, sociali ed economiche vadano di pari passo con il capitalismo, ma la realtà è che l'industria dei combustibili fossili è sovvenzionata in ogni modo possibile. Ecco allora tre soluzioni semplici per rendere il mercato dell'energia un mercato veramente libero:

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1. La carbon tax. È un'idea vecchia. Piazzare una tassa sui combustibili fossili in modo che il prezzo di mercato ne rifletta il costo reale. Uno dei modi più semplici per farlo è mettere una tassa sui giacimenti. C'è un giacimento? Si tassa. Si estrae del petrolio? Si tassa. E che questo si impatti pure sui prodotti finali. Più ci saranno prodotti a base di combustibili fossili, più costeranno. Questo ci darebbe un incentivo concreto per abbandonare un sistema energetico basato sui combustibili fossili in favore di un sistema di energie rinnovabili ed efficienti.

2. Smettere di sovvenzionare l'industria dei combustibili fossili. Oltre all'enorme introito indiretto derivante dal fatto che questa industria non paga sanzioni per l'inquinamento che produce nell'atmosfera, il settore si regge su un mucchio di sovvenzioni dirette. Tipi di crediti, sgravi fiscali, alcuni risalgono ai primi passi delle industrie energetiche, nel 1910. Perché stiamo finanziando il settore più ricco e di maggior successo nella storia del genere umano? Se vogliamo il libero mercato, facciamo il libero mercato. Diamo parità alla competizione, e vediamo quali tecnologie vinceranno senza sovvenzioni.

3. Rispettare le leggi ambientali. Petrolio e gas possono avvalersi di un'infinità di esenzioni. La più eclatante è il Clean Water Act. È un'idea dell'amministrazione Bush-Cheney e ha svolto un ruolo importante nel boom del fracking. Prima che diventasse effettivo, il settore si era incagliato. Il dibattito aveva portato l'attenzione pubblica sulla contaminazione delle acque sotterranee. Poi è arrivato il Clean Water Act e l'industria è ripartita. Se decidessi di scavare un pozzo nel mio cortile di casa, il Clean Water Act sarebbe un problema. Ma se a farlo è un'importante società del gas, il problema non esiste. Questo non è libero mercato, questo è socialismo aziendale.

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Le persone sono convinte che il settore delle rinnovabili sia super-sovvenzionato e che i combustibili fossili tirino avanti. Sbagliano. Se gli si dicesse la verità se ne accorgerebbero, e questo indipendentemente dal fatto che si tratti di democratici per l'aria pulita o repubblicani per il libero mercato. Perché dovremmo sovvenzionare le industrie più ricche e di maggior successo? La carbon tax è difficile da digerire perché i repubblicani hanno demonizzato il concetto di tassazione. Gli americani hanno una lunga storia in materia, ma qualcosa sta cambiando. Il mio amico Bob Inglis è a capo di un'organizzazione che si chiama republicEn. Promuove soluzioni economiche incentrate sul cambiamento climatico. Sono repubblicani, eppure sostengono la carbon tax. Nella Columbia Britannica una carbon tax già c'è. È stata istituita dai conservatori con il sostegno della comunità imprenditoriale. Hanno ottenuto di poterla imporre tenendola bassa, e tagliando alcune imposte su aziende e salari. È così che si affrontano tassazioni e introiti.

Istituire una carbon tax, eliminare sussidi ed esenzioni ambientali, sono queste le misure che aiuterebbero la creazione di un libero mercato, e che renderebbero le energie rinnovabili finalmente competitive.

Naomi Oreskes è docente di storia della scienza e professoressa di scienze della terra e planetarie ad Harvard.

Winter Storm in Zion Canyon, Zion, Utah, 2013, stampa a colori tradizionale in camera oscura

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LA GEOINGEGNERIA
David Keith, esperto di politiche ambientali

Immaginatevi un dottore che si rifiuti di somministrare la chemioterapia a un paziente con un cancro al polmone in stadio avanzato per paura che questo potrebbe disincentivare il paziente dal mantenere il suo standard di due pacchetti di sigarette al giorno. Questa è, in sostanza, la modalità di pensiero ottusa che mina alla base la più grande possibilità offerta all'uomo per contrastare il cambiamento climatico: geoingegneria solare e planetaria.

Il primo dato scientifico da sapere sul cambiamento climatico è che il carbonio è (quasi) per sempre. Supponete che io emetta una tonnellata di anidride carbonica volando sopra l'Atlantico. Il riscaldamento provocato dal mio volo cresce nel giro di un paio di decadi e poi rimane stabile per più di un secolo. Tra un millennio, un quinto della mia tonnellata sarà ancora presente nell'atmosfera causando cambiamento climatico, a meno che l'umanità non faccia qualcosa per eliminarlo.

Molti scienziati considerano la geoingegneria l'unico metodo per contrastare—non solo rallentare—l'impatto climatico del carbonio. Le tecniche di geoingegneria solare possono ridurre parzialmente e temporaneamente i rischi climatici riflettendo parte della luce solare nello spazio, compensando un po' alla buona gli effetti di riscaldamento dei gas serra. La geoingegneria planetaria può rimuovere l'anidride carbonica dall'atmosfera e trasferirla di nuovo nel suolo, rovesciando l'impronta ambientale che l'uomo ha causato estraendo carbone, gas naturale e petrolio.

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La geoingegneria solare è veloce ed economica ma anche rischiosa e temporanea. La geoingegneria planetaria, al contrario, è lenta e costosa, ma una volta che l'umanità taglia le sue emissioni passando a fonti di energia rinnovabile come il sole o il nucleare, le generazioni future saranno in grado di sconfiggere del tutto il carbonio.

Ma il minuscolo spazio che ha avuto la geoingegneria nei dibattiti politici legati al cambiamento climatico è un classico caso di come l'approccio scientifico venga sacrificato sull'altare dell'ortodossia. Quelli che fanno i regolamenti temono che il pubblico sosterrà un taglio alle emissioni solo se gli viene proposto come unica alternativa. Anche gli avvocati della geoingegneria climatica la considerano l'ultimissima opzione. Nelle parole del divulgatore scientifico Eli Kintisch, la geoingegneria è "una cattiva idea il cui tempo è arrivato."

Dobbiamo tagliare le emissioni, ma io non riesco a capire perché l'unica cosa da fare che potrebbe garantire una diminuzione nei rischi del cambiamento climatico sia considerata una cattiva idea. Anche se il mondo intero si accorda per cooperare a tagliare le emissioni dannose, l'inerzia del ciclo del carbonio significa che— almeno per un'intera generazione—tagliare le emissioni servirà solo a impedire che il problema peggiori. Inoltre, la geoingegneria solare non toglie la necessità di tagliare le emissioni. L'unica strada per un clima più stabile è portare le emissioni di gas serra allo zero. La combinazione di geoingegneria solare e riduzione di emissioni permetterebbe al mondo di ridurre il cambiamento climatico nel corso dei prossimi cinquant'anni. Di fermare l'innalzamento del livello del mare. Di bloccare l'aumento di precipitazioni troppo abbondanti e ondate di caldo.

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I nostri discendenti potrebbero usare la geoingegneria planetaria per restaurare l'equilibrio di carbonio nel mondo. Le tecniche di geoingegneria solare utilizzate per stabilizzare il clima diminuiranno man mano che il carbonio libero si ridurrà, e alla fine il clima potrà essere riportato più o meno a com'era prima della rivoluzione industriale.

Critici come Naomi Klein dipingono la geoingegneria come uno strumento del capitalismo tecnocratico che serve a distrarre dalle riforme sociali che mirano alle "radici" del disastro climatico. Alcuni a destra stanno già usando la geoingegneria come scusa per non far niente, proprio come i nuovi farmaci per il cancro fanno pensare ai fumatori che possono continuare a fumare. Ma questa paura di osare troppo a livello etico non deve improntare tutta la nostra politica. Sarà difficile costruire una visione condivisa riguardo alla strada, lunga e paziente, per la restaurazione climatica, utilizzando sia i tagli alle emissioni sia la geoingegneria.

Potrebbe essere ancora più difficile costituire istituzioni internazionali che regolino l'utilizzo di queste tecnologia. Comunque, lavorare per questo scopo potrebbe essere un buon lascito per la prossima generazione, rispetto alla politica attuale di schierarsi contro la geoingegneria per paura che potrebbe allontanarci dal considerare l'eliminazione delle emissioni come unica via per la salvezza.

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Il motto "basta dire no" non si è rivelato efficace per contrastare le droghe o le gravidanze tra le ragazzine. Perché dovrebbe funzionare per il cambiamento climatico?

David Keith è professore alla School of Engineering and Applied Sciences e alla Kennedy School of Government di Harvard.

Winter Sunrise Over Yosemite Valley, Yosemite, California, 2013, stampa a colori tradizionale in camera oscura

REINVENTARE LA CITTÀ
Lauren Markham, giornalista

Io e il mio fidanzato potremmo aver fatto un errore madornale quando l'anno scorso abbiamo comprato una casa con 5.500 metri quadrati di giardino a West Berkeley, in California, poco distante dal mare. Per quanto la amiamo, alcune barriere contro le alte maree la faranno finire sommersa in pochi anni. Il dibattito sul cambiamento climatico e sulle misure da prendere si focalizza sulle zone rurali—le comunità artiche costrette a spostarsi dai ghiacci perenni in scioglimento, le cittadine rurali sommerse dai polveroni mentre le loro risorse idriche vengono prosciugate. Ma noi della città? Non siamo affatto immuni. Abbiamo già assistito all'inondazione di New Orleans e di New York, e non è difficile immaginare uno tsunami che rada al suolo Los Angeles o un'ondata di freddo che paralizzi Boston—o, per quello che importa, la mia casetta che diventerà un relitto sulla baia.

Ho sentito parlare del lavoro di uno studio di architettura di San Francisco, il Future Cities Lab, che ha creato un prototipo del lungomare di San Francisco nell'epoca dell'innalzamento del mare. Il loro modello è affascinante ed estremamente pratico, e mi è piaciuto il loro ottimismo per la mia città: ovvero, quando la mia casa affonderà, non dovrò affondare con lei. Così ho deciso di andare a trovarli per capirne di più.

I loro uffici si trovano in un enorme edificio post-industriale nella parte sud-est di San Francisco. All'interno, stampanti 3D ronzano mentre gli architetti e gli ingegneri assemblano i pezzi e ne testano la meccanica su un enorme tavolo quadrato pieno di righelli e strumenti che riproducono le sollecitazioni e le tensioni. Sopra l'ingresso c'è un modello del Bay Bridge, sotto cui è appesa quella che sembra una lussureggiante isola volante. Tra non molto, mi ha spiegato il co-fondatore del laboratorio Jason Kelly Johnson, la parte occidentale del Bay Bridge dovrà essere ricostruita. E se, nell'epoca dell'innalzamento del livello del mare, il ponte ospitasse colonie di persone ricollocate che possono coltivare e pescare e autosostentarsi? Dei tiranti spessi alzano e abbassano l'isola a seconda del momento del giorno e del tempo—la abbassano se c'è troppo vento, la alzano per una visuale migliore o per prendere più sole. Questi tiranti sono anche in grado di scindere la nebbia, trasformando il vapore in acqua da bere o per coltivare.

"Sempre più architetti hanno la consapevolezza del cambiamento climatico, del fatto che stiamo arrivando a un punto di non ritorno," mi ha detto Kelly Johnson. "Anche i grandi gruppi di ambientalisti stanno cambiando i toni. Non è più tutto incentrato sul risolvere il problema del cambiamento climatico, ma sul conviverci."

Il team del Future City Lab crede che ci siano grandi possibilità di adattamento ai cambiamenti climatici grazie a una serie di principi architettonici, industriali e di landscape design, ecologia e robotica—tutto questo crea una visione futuristica stramba eppure ragionevole. Kelly Johnson mi ha mostrato il progetto Hydramax, gemello della colonia del Bay Bridge, per reinventare la costa di San Francisco quando il livello del mare avrà cominciato ad innalzarsi. Ali raccogli-nebbia rastrellano l'aria umida della baia e innaffiano colture idroponiche che forniscono cibo alla città. I resti dell'acqua usata per l'agricoltura arrivano a cisterne dove vengono allevati pesci per il consumo umano. Intorno alla produzione di cibo c'è la rete delle piazze pubbliche e dei passaggi che funzionano anche come mercato, e una volta che la nebbia si è sollevata ed è uscito il sole, le ali per la raccolta della nebbia diventano delle specie di tende parasole.

"L'idea è che gli edifici possono essere non solo abitazioni o magazzini," mi ha spiegato la co-fondatrice Nataly Gattegno. "Che puoi vivere con le cose che ti sostentano, invece che mantenere sempre tutto a distanza, come facciamo adesso che il nostro cibo viene prodotto nelle pianure fuori città."

Se disegnate su un sistema integrato di livelli, le città sono molto più efficienti delle comunità rurali per la loro densità e il consumo immediato di risorse. Ma questi design integrati prodotti dal Future City Lab sono ancora rari—in pratica, non esistono.

"La Army Corps of Engineers è molto brava a costruire muri di cemento," mi ha detto Kelly Johnson azionando un modello di Hydramax, in cui turbine di ali raccogli-nebbia che roteano le loro appendici come tentacoli, muovendosi attraverso l'immaginaria aria della baia come pale del motore di una nave nell'acqua. Le città barricate sono un metodo medievale di tenere fuori il nemico, ma se il nemico è la terra stessa, non ci sono muri che tengano (pensate a New Orleans). Invece, potremmo cercare modi di vivere in sincronia con l'impatto del cambiamento climatico, non ignorandolo e basta.

Contrastare il male che noi stessi abbiamo fatto richiede innanzitutto riconoscerlo—capire che il nostro stile di vita non è commisurato con il mondo. Siamo esseri umani legati alle nostre abitudini e ai nostri comfort, e dobbiamo arrivare il più vicino possibile al baratro per vedere le cose chiaramente. Ma forse l'incombente apocalisse climatica è un'opportunità per fermare il cambiamento ambientale e creare ambienti di vita in simbiosi con la natura, quelli che avrebbero potuto impedire parte di questo disastro.

I loro progetti sono intelligenti e all'avanguardia, ma quello che mi ha portato al Future Cities Lab è la loro visione di un nuovo mondo di cooperazione ambientale che sia anche bello—un posto in cui mi piacerebbe vivere. Spesso, Gattegno e Kelly Johnson mi hanno spiegato, chi fa design sostenibile pensa solo alla sua funzione. Prendete i pannelli solari o le turbine eoliche: tutta funzionalità, nessuna attenzione estetica. Ma perché il design ecologico deve sempre essere un compromesso, dal punto di vista estetico? Perché le nostre città non possono essere sia verdi che belle? Perché le nostre città non possono essere più come Tesla—belle e intelligenti, le più ingegnose, le più efficienti nel loro genere?

History Channel ha invitato il Future Cities Lab a prendere parte a una gara per riprogettare Washington DC in modo da minimizzare l'impatto dell'innalzamento del livello del mare. Gattegno e Kelly Johnson hanno trovato delle proiezioni scientifiche secondo cui l'intero National Mall potrebbe finire sommerso. Sembrava che non ci fosse modo di fermare l'alluvione. Il loro progetto includeva un network di colonie cittadine—una incentrata sul produrre energia eolica, una sull'agricoltura sostenibile, una sulla purificazione delle acque—che, tutte insieme, avrebbero reinventato il modo in cui gli uomini possono vivere su questa Terra in continuo cambiamento. "Abbiamo pensato che, essendo la capitale, la città avesse la responsabilità di porsi come modello di modi di vita alternativi.

Il progetto è entrato tra gli otto finalisti. Un altro finalista aveva creato una città circondata da mura," ha detto Kelly Johnson.

"Penso che i nostri prototipi fossero un po' troppo avanti per i giudici," ha detto Gattegno. "Ma penso che fossero anche molto più ottimisti degli altri."

Il Future Cities Lab arriva sempre secondo. Per vedere le loro idee come ottimiste bisogna affidarsi a un nuovo tipo di pensiero. Riconoscere che il cambiamento sta arrivando davvero, abbracciarlo, ripensare il modo in cui viviamo con da una parte il senso del dovere e dall'altra la positività non è per niente facile. Ma ho la sensazione che quando arriverà l'onda e le nostre case cominceranno ad affondare, andremo a bussare alla porta del Future Cities Lab e chiedere delle ali raccogli-nebbia.

Dopo aver visitato il laboratorio, sono tornata a casa percorrendo la parte occidentale del Bay Bridge. Mi sono immaginata come sarebbe vivere su un'isola sospesa tra il ponte e la baia, tra l'obsoleto insediamento umano e il luccicante tratto di mare. Forse è proprio quello il posto a cui apparteniamo, ora, in bilico tra due mondi: quello che la natura ha creato e quello che l'uomo ha costruito, ma con la necessità di ripensare radicalmente ciò che c'è in mezzo.

Lauren Markham ha ricevuto la borsa di studio 11th Hour Food and Farming alla University of California, Berkeley.