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Perché siamo gelosi del passato dei nostri ex

Soprattutto in ambito sentimentale, sembra che non possiamo fare a meno di mettere in campo il processo a chi l'altra persona è stata, con chi è stata e cosa questo vuol dire di lei. Ma non ci rendiamo conto che non facciamo che rovinare il presente.

Illustrazione di Heather Benjamin.

L'altra sera guardavo Storie Maledette con Celeste Saieva, condannata a 30 anni per aver ucciso insieme all'amante il proprio marito. Alla domanda di Franca Leosini, "Se tornasse indietro, cambierebbe qualcosa?" ha risposto che "Tutto è conseguenza, quindi non cambierei nulla." Per quanto immagino che le somiglianze tra me e lei si fermino qui, è stata la risposta che presto o tardi ho tirato fuori tutte le volte che mi sono trovata a discutere—o meglio a giustificare—il mio passato relazionale con persone che facevano parte del mio presente relazionale.

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Per qualche motivo infatti la parola "passato" ha assunto il significato di "descrizione del presente con uso incidentale di verbi al passato". Questa sovrapposizione indebita succede in continuazione ed è sempre causa di litigi, drammi e delusioni. Soprattutto in ambito sentimentale, sembra che non possiamo fare a meno di mettere in campo il processo a chi l'altra persona è stata, con chi è stata e cosa questo vuol dire di lei. Perché lo facciamo, e perché non ci rendiamo conto che questo non fa che rovinare il nostro presente insieme?

A un primo livello di gelosia del passato amoroso c'è la volontà di distruzione delle persone che hanno fatto parte del passato dell'altro, e in questo sono stata una campionessa per molti anni. I social network mi hanno dato i mezzi di cui avevo bisogno per esercitare la mia volontà di essere tutto. Il tuo passato mi esclude, e io non voglio essere esclusa; metodicamente, distruggevo tutto quello che non ero io.

Sadie Stein in un articolo di qualche tempo fa descrive con esattezza qual era il mio stato d'animo quando dicevo che "leggere fantasy è da ritardati" oppure "sì, Rothko, mi piaceva tre anni fa" (che è una cazzata, perché Rothko mi fa brillare le sinapsi anche ora). Il mio obiettivo era sminuire le altre per occupare tutto lo spazio possibile, sciogliere con l'acido l'esistenza di persone che non potevano valere quanto me—o meglio: io mi rifiutavo di valere solo quanto Susanna che leggeva i fantasy, Martina che idolatrava Edgie Sedwick o Sara che ascoltava I Cani. Dicevo "sono meglio io", ma pensavo "sono meglio io, vero?"

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In ogni caso, ho smesso: mi sono resa conto che era una grande perdita di tempo. Certo, continuo a non fidarmi del "comunque siamo in ottimi rapporti" e a sapere a memoria gli Instagram delle ex dei ragazzi che mi sono piaciuti. Ma cerco di limitarmi al diritto di cronaca, perché da quando sono stata io la vittima di una campagna simile ho capito che fare terra bruciata del passato della persona che ami è—oltre che un tentativo destinato al fallimento—un altro modo di fare la cosa peggiore che sono capace di fare in una relazione: cercare di render migliore me stessa distruggendo la persona che ho accanto. Cominciando a masticarla dalla sua capacità di giudizio.

E qui arriviamo al secondo livello, in cui non solo ci sentiamo minacciati dai fantasmi di un passato che non sappiamo quanto lontano sia davvero—perché non abbiamo il controllo al 100 percento sull'interiorità dell'altro e questo ci fa schiumare dal naso—ma proviamo rabbia e odio nei confronti dell'altra persona per essere stata così stupida. Ovviamente, stupida secondo noi.

Da questo "secondo noi" nascono spesso situazioni paradossali: sono stata per un anno con un ragazzo che ogni volta che si ricordava che prima di lui avevo frequentato un musicista (che non conosceva) prima ebolliva e poi, con la faccia contrita, singhiozzava quasi, "È colpa tua. Perché me l'hai detto?" mentre io, a metà tra l'ira e l'incredulità, cercavo di individuare il problema reale. Mi sono resa conto dopo che quello era il problema reale: che il passato troppo spesso è davvero un problema. Allo stesso modo, c'è chi non riesce a farsi una ragione che io abbia sopportato un pazzo simile per un anno.

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E la catena è destinata a continuare finché qualcuno non si renderà conto che la persona con cui sta parlando, senza tutto quello che le è successo prima, semplicemente non esisterebbe.

Non è questione di "non rinnegare" o di giustificare o meno l'etica del "se sbaglio, almeno ho imparato qualcosa". Il punto è renderci conto che le persone intorno a noi, soprattutto quelle che amiamo, hanno il diritto di avere un passato e di averci fatto quello che vogliono. Certo, è difficile fidarsi: ci piace dire a noi stessi e agli altri che siamo perfettamente in grado di cambiare, ma che possano farlo gli altri non lo crediamo mai. E non è nemmeno questione di accettare ciecamente la persona che abbiamo davanti—ci sono cose che possiamo ritenere discutibili e cose che ci possono aiutare a capire una persona o a far scattare campanelli d'allarme. Perché noi siamo così crudeli e moralisti nel giudicare le persone che ci piacciono?

Innanzitutto, io credo, perché raccontare il proprio passato ci rende vulnerabili e la prima reazione di molti davanti alla vulnerabilità è l'aggressione. E l'aggressione passa attraverso quello slittamento semantico e temporale a cui risponde anche il "passato".

Ma il punto, per me, è proprio questo: che dopo i vent'anni mi sono rotta le palle della psicologia inversa e dello slittamento semantico, e se dobbiamo presumere che dietro ogni frase che pronuncia una ragazza in presenza di un ragazzo ci sia una ragazza che non è proprio come quella che vedi e che vuole sottintendere qualcosa che non è esattamente quello che dice ma un avvertimento, un'ammissione o un tentativo di fare ingelosire il suo interlocutore, e se io ragazza devo presumere che tu stia presumendo che io ti stia dicendo qualcosa che non sto dicendo e non posso avere una conversazione in scala 1:1 dove tutto è come ci diciamo che sia, sparatemi sulla Luna.

Gesù, quanto tempo perdiamo in puttanate per non ammettere che ci vogliamo bene e che gli altri hanno il potere di farci soffrire.

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