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Musica

Perché il Fabric rischia di chiudere e cosa vuol dire per la club culture inglese

Lo storico club di Londra è di nuovo nell'occhio del ciclone a causa di due morti per droga. Ma chiuderlo non risolverà i problemi della città. Anzi.

This article appeared originally on THUMP UK. L'avrete saputo: il Fabric, la principale istituzione del clubbing underground londinese, è in pericolo. Dopo due morti per droga negli ultimi mesi, il consiglio di zona di Islington ha votato per revocargli la licenza. Il club era già finito sotto osservazione da parte delle autorità lo scorso anno, ma aveva vinto un appello contro il tentatico della municipalità di posizionare all'entrata del club, in maniera permanente, cani antidroga e scanner elettronici per le carte di identità. Stavolta le cose paiono più serie: le due recenti fatalità hanno fatto salire a sei il numero di morti dal 2011, e hanno portato a una nuova indagine sulle politiche del club in fatto di droghe, a troppo poco tempo dall'ultimo processo. Per farla breve: la pressione delle autorità sul Fabric è più forte che mai, e le chance che gli vada liscia per la seconda volta in un anno sono molto scarse.

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Detto questo, la chiamata alle armi per la salvezza del Fabric è già potente. Una petizione lanciata dal resident di WetYourself Jacob Husley è già a novantacinquemila firme, e manca poco al traguardo di centocinquantamila segnato su change.org. Oltre a questo, la petizione ha anche ricevuto il supporto di molte facce note della musica dance, al punto che faremmo prima a elencare gli artisti che non hanno firmato: da Seth Troxler a Carl Craig, da XOYO a Space Ibiza, da Emily Eavis a Lauren Laverne… Praticamente tutto il mondo del clubbing si è fatto sentire.

Gran parte di questa campagna ha avuto come destinatario Sadiq Kahn, il nuovo sindaco di Londra. Per quanto politicamente siano un po' fuori asse (Khan non avrà molto potere sulla decisione finale) il suo supporto ed eventuale contributo segnerebbero un punto importante. Khan ha già risposto con un paio di dichiarazioni che lo hanno mostrato apparentemente vicino alla causa: in seguito agli appelli social di un paio di DJ, Khan ha risposto twittando: "è importante che il #Fabric, la polizia di Londra e Islington trovino un compromesso per proteggere i clubber e garantire un futuro al locale." Dopodiché, in seguito al successo della petizione, ha rilasciato un comunicato in cui confermava il suo supporto, oltre all'impegno di istituire il ruolo di "Night Czar": una figura istituzionale che si occupi di tutelare e valorizzare la cub culture londinese, oltre che l'industria che la sostiene. Ciononostante, è stato piuttosto inamovibile nell'affermare che "Ci sono stati due tragici decessi al Fabric negli ultimi mesi ed è un problema che va assolutamente risolto".

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La dichiarazione di Khan tocca alcune delle questioni più delicate della campagna. Non bisogna essere dei nemici della nightlife per ammettere che due morti sono una cosa seria, e che il sindaco ha ragione a tenerli come punto centrale del discorso. Per quanto le "notti magiche" al Fabric siano importanti per i suoi avventori, questi non devono ignorare che l'abuso di sostanze tra quelle mura è costato la vita a due persone. Certo, la colpa non tutta del Fabric, anzi: gran parte della responsabilità si può attribuire alla fallace e ingiusta legislazione inglese in fatto di droghe, ma non ci si può comunque aspettare che certi incidenti siano lasciati correre. Sarà disfattista da dire, ma è normale che chi non ha legami con la club culture fatichi a capire il senso culturale di un posto in cui sono morti due ragazzi. Se i clubber di Londra vogliono salvare il Fabric, avranno quindi bisogno di fare qualcosa di più consistente che il ricordo dei "bei momenti": devono provare che il clubbing ha un valore culturale intrinseco e che può essere reso sicuro.

Il costo simbolico della chiusura potrebbe essere, catastrofico: il Fabric non è, infatti, solo uno dei migliori club di Londra ma uno dei più celebrati in tutto il Regno Unito, e uno dei brand più forti nell'industria internazionale del clubbing. Che lo preferiate o meno alle controparti berlinesi (Berghain, Tresor), a uno scantinato buio di Manchester o a un superclub di Cardiff, il Fabric è la faccia della club culture britannica. Qualunque cosa succeda al Fabric avrà un impatto non indifferente sulla cultura giovanile britannica ed europea, e manderà un forte messaggio internazionale. Non bisogna illudersi: una eventuale chiusura rappresenterebbe un considerevole posizionamento politico contro l'idea stessa di club culture e dance culture, qualcosa che in Inghilterra non si vedeva dal Criminal Justice And Public Order Act del 1994. Potrebbe anci avere un impatto ancora maggiore sulla vita del paese: se infatti la legge anti-rave, che bollava la musica elettronica con la famigerata definizione "ritmi ripetitivi", era volta a contrastare un certo modo di fare festa, la chiusura del fabric implicherebbe una lotta all'idea stessa di fare festa nel Regno Unito.

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Un trattamento, questo, che le autorità inglesi non riserverebbero certo ad altre istituzioni culturali come la Royal Albert Hall, il National Theatre o il British Film Institute. Certo, non vi si sono vrificati incidenti legati al consumo di sostanze stupefacenti, e non succederà mai. A parte questo, è innegabile che le istituzioni riconoscano a queste realtà un valore che va al di là del loro peso sul mercato. Sono colonne portanti dell'identità britannica, e della cultura del paese. Questo rende la battaglia per il Fabric eminentemente ideologica: in gioco c'è il riconoscimento del clubbing tutto come non solo l'abitudine a sfasciarsi il sabato sera, ma un viatico di energie creative e una risorsa importante per l'economia artistica nazionale.

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Certo, gran parte di questo lavoro spetta al locale stesso, e dipende da quanto preparati sono a lavorare con la polizia e la municipalità, ma il fatto rappresenta un'occasione importante anche per l'autorità di regolamentazione delle licenze. Nel caso che volessero fare del Fabric un caso esemplare, rifiutandosi di lavorare con loro in direzione di una riduzione del danno, bloccando di conseguenza il loro lavoro, allora il messaggio sarà chiaro: il modello proposto di società inglese del ventunesimo secolo rifiuta il clubbing. Di fatto, se neanche il Fabric, che è normalmente il primo nome a venire in mente pensando ai luoghi della musica elettronica in inghilterra, merita di essere protetto, allora nessun club lo merita.

A preoccupare i gestori c'è un dossier della polizia recentemente pubblicato dalla Islington Gazette, il quale suggerisce che l'approccio delle forze dell'ordine finora sia stato fin troppo tenero. Il rapporto, redatto dal sergente Aaron Barnes, include dati approssimativi e vagamente surreali, basati su testimonianze oculari, tra cui una percentuale di avventori del club "sotto l'effetto di sostanze illecite" stimata intorno all ottanta percento. Lo stesso rapporto accusa, ancora senza prove tangibili, la security del Fabric di passare le sostanze confiscate ad "amici dentro al locale". Si tratta di un documento assai preoccupante, perché rivela una volontà da parte della polizia di disseminare voci infondate e infamanti, il che fa pensare che le intenzioni delle autorità siano già molto precise.

Eppure, il presidente dell Night Time Industries Association Alan Miller ci ha detto di essere ottimista: "Siamo sempre stati in contatto con l'ufficio del sindaco, sia durante la precedente amminsitrazione che con quella attuale. Il sindaco ci ha confermato di voler trovare una soluzione, il che è un'ottima notizia. Credo fermamente che i tempi siano maturi per aprire un dialogo sulla riduzione del danno e concentrarsi sull'aspetto sanitario del problema, includendo le autorità ma anche realtà come The Loop e il Secret Garden Party." Miller stesso ci tiene a sottolineare come il Fabric sia vittima di leggi ingiustamente severe. "Non si dovrebbero punire i locali. Se chiudono il Fabric dovrebbero chiudere praticamente tutti i club del paese." Ha perfettamente ragione: punire il Fabric non vuol dire risolvere i problemi che hanno causato queste due tragiche morti, ed è proprio per questo che salvarlo è invece una priorità. Chiuderlo significherebbe cancellare il clubbing, e per esteso la cultura giovanile, dalla vita della capitale. A prescindere dal valore esperenziale del locale per i singoli londinesi, è oramai chiaro che questo dibattito non riguarda un singolo club, ma li riguarda tutti.