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Chiudere il Cocoricò non serve a niente

È di ieri mattina la notizia che il Cocoricò, la discoteca di Riccione coinvolta nella vicenda del sedicenne morto per abuso di droga, rimarrà chiusa per quattro mesi. Ma il pugno di ferro sulle discoteche servirà davvero a qualcosa?

Carl Cox durante l'ultima notte del Cocoricò. Foto via Facebook

Alla fine ieri mattina la questura di Rimini ha decretato che il Cocoricò dovrà rimanere chiuso per quattro mesi in seguito alla morte di un sedicenne per abuso di droga avvenuta tra le mura del locale due settimane fa. Da allora l'opinione pubblica si è spaccata in due, tra chi fatica a vedere un rapporto causa-effetto così limpido tra l'assunzione di una quantità massiccia di droga da parte di un ragazzo e la responsabilità dei gestori di un locale e chi, come il Codacons, si dice soddisfatto perché con la chiusura del locale si è imboccata la strada giusta.

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Certo, dietro la sospensione della licenza al locale c'è anche l'accusa di maxi-evasione fiscale, e la questura di fatto agisce in adempienza all'articolo 100 del TULPS che prevede che una licenza possa essere sospesa se il locale è "un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e per il buoncostume e la sicurezza dei cittadini."

A prescindere dal brivido che mi dà l'idea che la sicurezza e il buoncostume dei cittadini siano tutelati dal medesimo articolo, resta il dubbio che il pugno della legge si sia stretto proprio sul Cocoricò—prima di estendersi, auspica il Codacons, anche al resto d'Italia—perché è un modo come un altro di far vedere che qualcosa contro il problema della droga tra i giovani si sta facendo. Soprattutto considerata la risonanza avuta dalla vicenda nella stampa, che ha subito affossato la morte di un ragazzo in mezzo ad articoli che hanno l'unico effetto di contribuire alla disinformazione.

Ma che qualcosa si sta facendo non vuole affatto dire che si stia facendo la cosa giusta, questo è chiaro. Abbiamo telefonato al dottor Salvatore Giancane, esperto in strategie di riduzione del danno e medico tossicologo che lavora al Ser.T di Bologna, per parlare del significato di queste misure e del perché il proibizionismo, se ancora ve lo state chiedendo, non servirà a niente.

VICE: Ieri è giunta la notizia della chiusura del Cocoricò di Rimini in seguito alla morte di un sedicenne. Pensa che la chiusura di un locale possa essere in qualche modo una misura utile contro l'abuso di sostanze stupefacenti?
Dott. Salvatore Giancane: Faccio una premessa, al Cocoricò non sono mai entrato in vita mia e non è il genere di locale che mi sta simpatico. Detto ciò, secondo me questa misura non serve a niente, o meglio è un provvedimento esemplare: però a me non servono interventi esemplari ma interventi efficaci, e in termini di efficacia io penso che questo provvedimento non serva proprio a nulla. È la stessa linea di sempre; la prevenzione intesa come "le persone non prendano le sostanze."

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È un segnale che vuole dare la questura, più che altro?
È un segnale, ma non so cosa voglia dire. Risponde alle esigenze di chi si è lamentato, ma io credo che rispetto all'obiettivo di ridurre il rischio che queste cose avvengano sia totalmente inefficace. Ci saranno altri luoghi in cui queste cose avvengono: dopo la storia del ragazzino che ha assunto ecstasy a Torino ed è stato ricoverato chiudiamo Torino? E se alla fine dell'anno facciamo i conti e ci accorgiamo che ci sono dieci episodi simili in Italia chiudiamo tutta l'Italia?

Se lei fosse stato il giudice, che tipo di provvedimento avrebbe preso?
Non so neanche se rientra nelle competenze del giudice, ma avrei obbligato il Cocoricò ad assumere anche operatori della prevenzione—riaprite solo dopo che li avete assunti. Il vero problema secondo me non è che i gestori non hanno vigilato sullo spaccio, perché questa è una cosa impossibile da fare, ma che non hanno fatto una cosa possibile: vigilare su chi è in pista e magari sta esagerando.

L'evento Facebook per il No alla chiusura del Cocoricò.

Ricordo che a partire dal 2002 nel bresciano c'era stata un'ondata di chiusure di discoteche per spaccio e violenza, ma un paio di anni fa ci sono tornata e per quanto le misure di sicurezza siano molto rigide, la droga gira.
Ma certo, non sono i luoghi il problema. Il problema è uno stile di divertimento. Lo stile di divertimento sopravvive ai luoghi, allora vogliamo chiudere tutti i luoghi e poi la gente va nelle pinete, nei capannoni abbandonati? A questo punto entra in gioco il luogo italico di intendere la prevenzione.

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A proposito di stile di divertimento, è stato strano sentire Fabrizio De Meis, al momento delle dimissioni, dire che il Cocoricò si schiera contro la droga da anni? Per quanto magari in buona fede sia la sua dichiarazione, è innegabile che un certo tipo di club culture fa blocco unico con il consumo.
Quelli del Cocoricò hanno detto che la battaglia alla droga l'avevano fatta e persa, e per questo l'amministratore ha deciso di dimettersi. Ma era la battaglia a essere impossibile, perché era di non fare entrare la droga. Invece la battaglia doveva essere fare educazione all'interno: se una cassiera o una barista riconoscono uno che sta male, è anche meglio. O prendere degli operatori. Che poi il Cocoricò è sempre stato uno di quei luoghi che ha visto di cattivo occhio quei pochi operatori che sono rimasti e ci andavano, perché se ci vanno vuol dire che c'è la droga. Tutta l'attenzione è sul mantenere "pulito" il posto.

Secondo lei non stiamo assistendo alla ricerca di un capro espiatorio per una vicenda sicuramente brutta, ma non così legata alla discoteca in sé? Anche perché in questo caso specifico non c'era nemmeno stato lo spaccio all'interno del locale.
Ma sì, non si capisce. C'è prima la campagna di stampa, poi c'è la risposta all'emotività scatenata dalla campagna di stampa, che è una risposta emotiva anch'essa. Di questa vicenda abbiamo tutte le informazioni sull'acquisto, ai ragazzini hanno fatto duemila domande su chi gliel'ha data, ma ci fosse stata una e dico una informazione su quanta acqua aveva bevuto, da quanto tempo stava ballando. Quali sono stati i comportamenti differenti trai due amici e il ragazzo morto? È stata questione di vulnerabilità individuale? Erano 3 grammi e adesso 0.3, c'è una bella differenza. È un classico esempio della cattiva informazione italiana su queste cose, io come tecnico non ho nessun dato per capire quello che è successo.

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Il problema è la mancanza di conoscenza, di informazione?
Non c'è conoscenza e c'è la presunzione di declinare l'informazione che "nessuno deve prenderla." Quello su cui c'è da interrogarci non è se il Cocoricò deve rimanere aperto o meno, ma come aumentare la sicurezza. Perché non è il Coco a mettere le pastiglie in bocca ai ragazzi.

Secondo lei a parte gli operatori quali potrebbero essere degli strumenti di prevenzione? Immagino che già dare acqua gratis nei locali non sarebbe male.
Quindici anni fa mi occupavo all'interno di un progetto regionale e nazionale di formazione a cubiste e buttafuori sulle droghe. Queste cose vengono fatte ancora? Perché parliamoci chiaro, 300 mg di sostanza non ti fanno andare in overdose, non è che il ragazzo è caduto per terra e basta; gli altri due hanno assunto la stessa quantità e sono vivi. Allora la cosa importante è perché lui è morto mentre gli altri due sono vivi. Tutte queste cose le abbiamo ignorate. Dove sono finite le politiche efficaci?

Le politiche efficaci potrebbero essere anche i kit per l'analisi delle sostanze?
Sai, io sono a favore dell'analisi delle sostanze, ma c'è un po' di demagogia sul kit, perché l'analisi fatta sul posto non serve a niente e può anche essere pericolosa, perché mi dice solo se lì c'è o no ecstasy, ma non mi dice se c'è anche cianuro. Allora si rischia di sdoganare per buono qualcosa che buono non è, perché ha magari dei contaminanti o è tagliata. L'analisi buona e completa è quella fatta a monte prima di cominciare la distribuzione—il modello olandese funziona molto meglio perché viene usato dai pusher che prima di comprare una partita portano il campione ad analizzare, poi se è buona comprano la partita.

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Queste cose estemporanee hanno un valore solo di promozione: sensibilizzo sulla necessità di fare delle analisi come quando nella giornata per la prevenzione dell'AIDS do in giro i profilattici. Ma la prevenzione funziona se tu poi lo usi tutto l'anno il preservativo. Allora perfettamente d'accordo sull'analisi delle sostanze ma non sul banchetto colorimetrico.

Il fatto che l'Italia sia così carente di una cultura sulle sostanze e che sia così demonizzato il procurarsele, e impossibile analizzarle, non favorisce l'arrivo di sostanze peggiori sul mercato?
In Italia non c'è controllo per cui gira di tutto, quelli buoni, medi e cattivi. Mentre in Olanda i pacchi si tirano ai turisti in livello più elevato perché chiunque in forma anonima può avere un'analisi completa. E insisto completa, perché quella estemporanea serve solo al ragazzino per sapere se ha preso un pacco, se quello che ha comprato non è ecstasy.

Ma se manca un dialogo con le istituzioni non si potrà mai fare un'analisi a monte e precisa, no?
La legge nostra è particolare: in teoria non è possibile farlo perché nessuno può detenere a nessun titolo. Nel libro che ho scritto ultimamente ho fatto una proposta provocatoria: non si tratta di cambiare la legge ma di farsi venire delle idee. Se io spedisco anonimamente alla polizia un campione di sostanza, la polizia ha l'obbligo di legge di sequestrarlo e farlo analizzare, analisi complete. Potremmo creare delle specie di gratta e vinci fatti di due parti con lo stesso numero e una password. Io prendo il mio grattino e mando una parte del numero insieme a una sostanza che spedisco, diciamo il 127. Allora basta che qualcuno metta il referto su un server con il numero e io attraverso la sua password posso caricarlo. Per la polizia è un grande ritorno perché sa cosa circola anche prima di sequestrarlo, inoltre lo farei a pagamento.

Be', bisognerebbe fare il passo indietro di ammettere che questo consumo esiste, invece di fare esattamente quello che si sta cercando di fare ora.
Da noi si declina tutto intorno al problema di non far prendere la droga alle persone. Le scritte che ci sono fuori dal Cocoricò dicono "La droga ti spegne," "No alla droga," "È facile dire no." Questa è la declinazione di prevenzione all'italiana, e dopo che uno ha preso qualcosa le istituzioni se ne lavano le mani, perché non doveva farlo. Io faccio un'altra osservazione, qual è la missione nei confronti della salute di chi queste sostanze le prende? In tutti i provvedimenti presi non ce n'è uno soltanto che vada nel senso di un aumento della sicurezza nel locale. Tra quattro mesi quando riapre siamo al punto di prima.

[Questo] sembra proprio un provvedimento per dare una risposta all'ondata emotiva sollevata da queste cose. Ma che è una risposta altrettanto emotiva. Poi io non sono molto un esperto del mondo della notte eh, però le politiche sono uguali ovunque—prendi il carcere. Il carcere girano un sacco di sostanze, gira l'eroina, lo sanno tutti, ogni tanto muore qualcuno di overdose. Però è un posto dove non dovrebbe girare quindi non si dice e non si fa informazione all'interno, perché l'eroina lì non dovrebbe esserci.

Poi mi chiedo, e in tutte le altre discoteche italiane dove si fanno le stesse cose invece sono aperte? Si chiude solo se c'è il morto. A me sembra che siamo alle solite: ho 57 anni e il Cocco è un luogo che non mi appartiene, che sia aperto o chiuso per me è indifferente—quello che fa specie è che sono tutti esultanti perché "Abbiamo chiuso la discoteca!" e il caso è archiviato. E invece è un'ottica sbagliata.

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