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I fatti di Colonia hanno tirato fuori il colonialismo della stampa italiana

Nonostante i fatti di Colonia siano un tema molto delicato, in Italia se ne sta parlando in modo imbarazzante, con toni e contenuti che ricordano quelli usati dalla propaganda colonialista.

Pur essendo passate quasi due settimane, molti dettagli su cosa sia successo a Colonia tra il 31 dicembre e il 1 gennaio rimangono nell'oscurità, così come l'identità precisa di chi ha commesso violenze e aggressioni.

La polizia tedesca [ha definito](http://www.huffingtonpost.it/2016/01/07/colonia-il-rapportochoc-della-polizian8928250.html target=) la notte di capodanno come un "caos vergognoso," in cui "le donne, accompagnate o meno, sono rimaste in balìa di folle di uomini sbronzi," per la maggior parte di origine nordafricana. Secondo le ultime informazioni diramate dalle autorità, le denunce per i fatti di Colonia sono salite fino a 516, e nel 40 percento dei casi si tratta di molestie sessuali.

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Di certo la vicenda in sé è grave e soprattutto molto delicata per le sue ricadute politiche e sociali. Il settimanale Der Spiegel ha parlato di un episodio che sta già cambiando in maniera significativa l'intera Germania, e proprio questa mattina a Colonia diversi migranti sono stati aggrediti in un attacco pianificato.

Per tutti questi motivi, bisognerebbe cercare di parlare di quello che è successo con cognizione di causa. In Italia, però, il tema sta venendo affrontato in modo decisamente imbarazzante, quando non direttamente inquietante. L'ultimo esempio è l'editoriale di ieri della Stampa, intitolato "Da dove viene il branco di Colonia," che nelle ultime ore ha sollevato un autentico polverone—tanto che, commentandolo, la scrittrice somalo-italiana Igiaba Scego è arrivata a dire che "i cliché coloniali stanno tornando con ferocia inaudita."

— Igiaba Scego (@igiabas)10 Gennaio 2016

La tesi dell'articolo è che episodi come quelli di Colonia—la molestia sessuale di gruppo sulle "nostre donne," da sempre uno spauracchio agitato dalle destre contro l'immigrazione—sarebbero riconducibili alla barbarie intrinseca al "tribalismo," una forma di organizzazione sociale da cui il mondo mediorientale e africano è per sua natura impossibilitato ad affrancarsi. Da ciò deriva, di conseguenza, la necessità di "difendere l'Europa dal ritorno delle tribù."

L'articolo è firmato dal neo-direttore del quotidiano Maurizio Molinari, che in teoria dovrebbe essere un esperto di Medio Oriente, avendo fatto il corrispondente dalla regione e avendo scritto diversi libri sull'argomento—anche se almeno uno di questi, Il Califfato del terrore, a quanto pare sarebbe un pastiche di copia-incolla da varie fonti.

"L'assalto di gruppo alle donne di Colonia è un atto tribale che si origina dall'implosione degli stati arabi in Nordafrica e Medio Oriente. Il domino di disintegrazione di queste nazioni fa riemergere tribù e clan come elementi di aggregazione, esaltando forme primordiali di violenza," esordisce Molinari nel pezzo. Mentre più avanti afferma che "fra chi arriva vi sono portatori di usi e costumi che si originano dalle lotte ataviche per pozzi d'acqua, donne e bestiame. Le conseguenze sono nelle cronache di questi giorni: dagli abusi di massa a Colonia al grido di 'Allah hu-Akbar' per intimorire il prossimo a Brescia e Vignola."

Già nel febbraio 2015, in un altro articolo sempre sulla Stampa, Molinari aveva espresso posizioni simili parlando dell'esecuzione del pilota giordano catturato dall'ISIS. "Trattare un pilota da guerra come un animale—o un infedele—da arrostire," scriveva Molinari, "è un messaggio nel linguaggio delle tribù del deserto, che evoca quanto Omar el-Muktar, leader della guerriglia libica anti-italiana, faceva ai carabinieri negli anni Trenta, usando le loro schiene per cuocere il tè ai propri uomini."

Come avevano fatto notare i Wu Ming, il riferimento a al-Mukhtar era doppiamente falso: in primis sul piano temporale, perché il ribelle era stato impiccato nel 1931. Ma soprattutto, era falso dal punto di vista fattuale: riportando l'anedotto delle schiene dei carabinieri italiani usate per cuocere il tè Molinari riprendeva pari pari la propaganda fascista dell'epoca e riportava come fatti dimostrati le accuse usate nel processo politico al ribelle libico. "In un sol colpo (di spugna)," concludevano i Wu Ming, "Molinari riesce a cancellare i crimini in Libia, assurgendo i carabinieri al ruolo di martiri innocenti, e a puntualizzare che quanto accaduto è per noi un triste dèja vu."

Ma il riaffiorare di questo tipo di cliché è un fenomeno che non riguarda solo il nuovo direttore della Stampa, e anzi sembra essersi ormai diffuso a tutti i livelli nel giornalismo italiano. I principali quotidiani italiani, per esempio, hanno parlato subito dei fatti di Colonia come di un attacco premeditato, nonostante la stampa tedesca non abbia dato credito a questa versione—il giornale tedesco Die Zeit, per esempio, ha scritto che "quello che non si sa è se i colpevoli si conoscessero e se questa sia stata un'azione premeditata o spontanea."

Per sostenere la versione della premeditazione, La Stampa ha riportato, presentandola come verità assoluta, un'affermazione dai toni ipotetici del Ministro della Giustizia tedesco Heiko Maas, il quale avrebbe detto che "deve esserci dietro qualche forma di organizzazione. Nessuno può venirmi a raccontare che non sia stato preparato o concordato." Dal canto suo, Repubblica ha scritto che "governo federale e BKA [la polizia federale tedesca] non smentiscono e di fatto confermano" (corsivo mio) questa versione—il che a quanto pare è abbastanza per giustificare questo titolo in prima pagina:

Così, il Corriere della Sera oggi ha riportato come un fatto accertato un'aggressione di massa avvenuta in una discoteca di Bielefeld in cui "500 uomini avrebbero forzato l'ingresso in una discoteca, l'Elephant Club, e avrebbero molestato molte donne." Peccato che la notizia sia già stata smentita dal portavoce della polizia della città, che ha detto che i fatti di Bielefeld "non c'entrano niente" con quelli di Colonia—in realtà, infatti, in questo caso si trattava solo di circa 150 persone rimaste fuori da una discoteca strapiena, che hanno cercato di entrare lo stesso e sono state respinte con la forza dai buttafuori.

Così, la direttrice dell'Huffington Post Lucia Annunziata ha scritto in un editoriale che "la verità" di cui si deve discutere è che "il rapporto dell'Islam con le donne è un tema devastante, intriso di violenza e di politica, e non è tale solo nelle forme più estreme," cioè "nelle esperienze più allucinate e militanti delle guerre dell'Isis o del terrorismo."

Così, dalla parte opposta, il Secolo XIX ha potuto pubblicare un articolo in cui una giornalista ha passato una notte da sola nei vicoli del centro di Genova e incredibilmente non è stata molestata—per finire anzi a bere una birra in compagnia di un giovane immigrato senegalese, concludendo poi il pezzo con "Genova vs Colonia finisce uno a zero."

In tutti i casi, che si voglia dipingere gli immigrati come potenziali stupratori o come persone educate con cui bere una birra (ma comunque, per sicurezza, da non abbracciare), il senso che sottosta a queste retoriche è sempre lo stesso: in Africa e in Medio Oriente regnano da sempre "tribalismo," arretratezza e bestialità—e di conseguenza "noi" Occidente civile abbiamo il compito di controllare e tenere a freno queste spinte. In questo modo, nel dibattito sull'immigrazione e sulle sue conseguenze, viene fuori tutta la storia colonialista d'Europa e il suo armamentario.

Questo concetto è stato ribadito anche dal poeta Musa Okwonga sul New Statesman, in un altro articolo che è girato molto in questi giorni: "Ai razzisti non importa delle donne che sono state aggredite a Colonia e Amburgo," ha scritto Okwonga, "a loro importa solo dimostrare quel che hanno sempre pensato—o sperato: che siamo delle bestie."

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