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Ecco come finirà Facebook

Una lista di prospettive sulla deflagrazione del social network più odiato di sempre.

Non dimentichiamoci di ciò che Facebook ha fatto per noi. Spingendo sulla curiosità per il prossimo e il nostro innato egocentrismo, Mark Zuckerberg ha dato via a una rivoluzione sociale, obbligandoci a condividere anche gli eventi più banali delle nostre vite. Niente più troll anonimi che attraversano il Far West della rete; oggi, ognuno ha un'effettiva presenza online, definita attraverso il proprio nome, un avatar, e un pubblico sempre presente. Improvvisamente ci siamo sentiti potenti, e a tratti anche un po' dipendenti. Negli ultimi otto anni Facebook è stato il fulcro della condivisione in rete, ma con la sua crescita sono cresciute anche le nostre necessità. Ora che la società è quotata in borsa, scettici e oppositori fanno a gara per ipotizzare come andrà a finire. Una cosa è certa: che faccia il botto o meno, Facebook non sarà mai eterno. Come potrebbe fallire? Ecco una mia personale lista:

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Il PUNTO DI NON RITORNO
Sin dalla nascita di Facebook, Mark Zuckerberg ha mostrato una sorprendente abilità nel mantenere costante la crescita del sito. Nonostante il malcontento di moltissimi utenti con le palle girate da impostazioni privacy non chiare, pubblicità fastidiose, e ovviamente la sua ultima creazione, il Diario, pare che il sito sia più usato che mai. È questa forza, anche in barba all'irritazione generale, che ha spinto alcuni a paragonare il genio coraggioso di Zuckerberg a quello di Steve Jobs. A differenza di Mark, tuttavia, Jobs—pure con la sua schiera di dubbiosi, critici e filosofie opinabili—ha conquistato quel tipo di rispetto che rende i fan del Mac i nerd più fastidiosi di tutto il mondo. Chiunque ha pianto la sua morte, come se se ne fosse andata la più grande rockstar tecnologica di sempre. Zuckerberg non può vantare un seguito simile. È stato ridicolizzato dalla rete e persino in un film hollywoodiano da milioni di dollari. E sono in molti a non fidarsi di lui.

Secondo il guru della neutralità informatica Tim Wu, Facebook ha il karma sporco. L'altro giorno ha twittato “Nessuno ama davvero Facebook, è solo che non riusciamo a liberarcene.” Ed è vero, stiamo solo aspettando un motivo valido. A un certo punto Zuckerberg tirerà troppo la corda—una nuova impostazione, una nuova funzione che pubblicherà troppe informazioni, un prodotto che semplicemente non sopporteremo— e la gente lo mollerà per sempre. Il controverso lancio in borsa e la simultanea pressione al guadagno tramite le pubblicità non faranno altro che accelerare questo processo.

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UN NUOVO, SORPRENDENTE INIZIO
Prima di Facebook c'era Friendster. E MySpace. E Yahoo. E AOL. L'idea di Facebook, seppur ben realizzata, non era niente di rivoluzionario o geniale. Era solo uno dei molti social network emerso dal circuito dei campus universitari nel 2004, ed è un caso che tutti abbiano iniziato ad usarlo. Come per tante storie di successo, il vero merito di Facebook è stato il tempismo. Facebook è arrivato col Web 2.0. La banda larga ha raggiunto le masse e Internet è diventato mainstream—se prima ci volevano secoli per caricare quattro stupide foto, le nuove connessioni hanno permesso di condividerle istantaneamente. I nuovi standard HTML hanno reso la rete non solo più bella, ma molto più funzionale. A quel punto, il mondo era pronto per un social network. Improvvisamente Facebook è diventata la cosa più figa del mondo. Per ammissione dello stesso Zuckerberg, il suo scopo è sempre stato quello di fare un prodotto figo. Per quanto suoni bene, la figaggine resta una qualità effimera ed evanescente. La cose cambiano, e anche la gente. Senza dubbio Facebook continuerà ad adattarsi, ma a un certo punto il sito diventerà vittima del suo stesso successo. È difficile restare fighi quando si condivide tutto con il capo, i nonni, e un eventuale cugino razzista.

Alternative a Facebook (GMASHR)

È vero, Zuckerberg ha superato le nostre aspettative, ma fa parte della bellissima e inevitabile evoluzione della rete. La prossima novità, la prossima figata, è sempre dietro l'angolo (magari non si chiamerà Google+, ma si potrebbe chiamare Diaspora), alimentata in gran parte proprio dal successo personale di Zuckerberg, e finanziata dall'ultima grande bolla del settore. E qual è lo stadio finale di un'azienda spacciata che va avanti zoppicando? I party aziendali.

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IL LENTO DECLINO
Facebook ci ha insegnato a condividere, ma ora che abbiamo imparato vogliamo condividere meglio, in maniera più mirata, non a caso. Sulla carta Facebook funziona bene per molte cose—mandare messaggi, caricare foto, condividere link— ma non è eccellente in niente. Nella nostra eterna ricerca della perfezione e dell'efficienza, Facebook non è che un accessorio, se pensiamo ai prodotti di nicchia che soddisfano meglio i nostri bisogni.

(Infegy)

Linkedln domina già il mondo professionale, Twitter ha trovato la sua via, e Google continua a sfornare strumenti che usiamo quotidianamente. Niente è al sicuro, nemmeno le foto stupide delle feste. Zuckerberg, dal canto suo, ne è consapevole.

Più il social network cresce (e sta già superando i limiti) meno pratico diventa per chi lo usa. Gli sforzi fatti per contenere il baccano hanno compromesso i contenuti. Il sito è troppo ingombrante per avere un flusso di notizie in tempo reale. Così, anziché vedere cosa i nostri amici stanno davvero scrivendo, vediamo quello che gli sviluppatori di Facebook pensano dovremmo vedere, basandosi su un algoritmo. Ogni utente che condivide troppo rende Facebook sempre più confuso, schiacciato dagli stessi meccanismi che lo fanno funzionare. È solo questione di tempo perché queste mancanze sovrastino il resto.

LA PARTE DEL GOVERNO
Se c'è una cosa che abbiamo imparato negli ultimi sei mesi dalla lista senza fine di acronimi come PIPA, SOPA e CISPA (che Facebook ha sostenuto apertamente), l'integrità di internet è costantemente minacciata. Finora la rete ha risposto a dovere, ma quanto resisterà? Ci sono in ballo cifre incommensurabili. Nonché terroristi. Queste minacce alla rete, intesa come piattaforma democratica su cui condividere informazioni, creano dei grossi problemi anche a Facebook. Se iniziamo a dubitare della rete e non la consideriamo più un luogo di scambio libero e aperto basato sul modello della comunità scientifica da cui è nata, Facebook (che possiede tutti i nostri dati ed è pronto a cederli al miglior offerente o a qualche agenzia governativa) inizia a diventare molto sospetto.

Pare che la NSA stia già tenendo sotto controllo gran parte di internet, conservando nel suo centro di spionaggio da 2 miliardi di dollari nello Utah più di 20 trilioni di “transazioni”, e-mail, messaggi e chiamate. L'approvazione di leggi come la CISPA rende questa sorveglianza aperta e visibile, permettendo alle società di condividere legalmente grandi quantità di dati sensibili e personali con le agenzie governative, a causa delle così dette “minacce informatiche”.
 
Un tale cambiamento ci obbligherebbe a rivalutare la pratica della condivisione in rete. Smettere di farlo sarebbe impossibile, siamo dipendenti; ci servirebbe soltanto un nuovo modello di scambio di informazioni, uno che non sia in combutta con i colossi economici e col governo. Facebook, così com'è, non andrebbe bene.

GAME OVER
Mark Zuckerberg vuole farvi credere che Facebook sia diverso, e in un certo senso ha ragione. La scalata del sito, da piccolo progetto di Harvard a conquistatore dell'universo virtuale, è stata spettacolare. Tra le innovazioni più interessanti, il "Mi Piace" è sicuramente ai primi posti, quale una piattaforma globale che un click alla volta traccia il primo grafico sociale del mondo, facilitando quell'esperimento umano che è la riscrittura delle nostre coscienze. Se Google sa quello che stiamo cercando, Facebook capisce come vogliamo essere visti. Rende possibile un'individualità che trascende qualsiasi cosa Yahoo o Aol abbiano mai avuto o sognato di avere. È proprio questo che fa sembrare Facebook diverso, a volte anche invincibile. Eppure, sotto sotto, abbiamo sempre saputo che non lo è. Facebook non è mai stato perfetto. Ci ha venduto e ha perso la nostra fiducia. Zuckerberg non rende le cose più facili. Così come si è adoperato per farci rimanere sul sito, altrettanto sta facendo per impedirci di andarcene, creando un cancello chiuso intorno ai nostri dati, non ricercabili e non trasferibili Zuckerberg si è sempre preparato per questo momento.  Se ci basiamo sulla versione hollywoodiana di Mark, la paura di essere rifiutato lo spingerà solo a crescere ancora, ad adattarsi e a spremere ogni centesimo dai suoi utenti, per alimentare il suo desiderio di avere ragione ancora una volta.
E dopo otto anni insieme ci conosce come nessun altro. Eppure, dopo otto anni di condivisioni, ci sentiamo sfruttati, vuoti dentro. Dopo otto anni che diamo, sentiamo di avergli dato forse un po' troppo. Forse non siamo più presi da Facebook o da quello che ne rimane, forse finalmente ci sentiamo pronti ad andare avanti. O forse, ma forse, decideremo di usarlo ancora un po'. Ma una cosa è certa: nonostante tutti i suoi successi, Mark Zuckerberg resta un uomo che sta dalla parte sbagliata. Non importa quanto duri, anche Facebook prima o poi finirà. E noi passeremo oltre, e staremo meglio.

Ma restiamo amici, ok?