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cibo

Com'è veramente mangiare al ristorante di Massimo Bottura

Per una strana concatenazione di eventi, sono finito a cena nel ristorante di Massimo Bottura.
Niccolò Carradori
Florence, IT
Tutte le foto, scattate all'Osteria Francescana, per gentile concessione di Davide Bonelli.

Per una strana concatenazione di eventi—essere diventato amico di una ragazza che vive a Londra; ragazza che cinque mesi prima aveva prenotato un tavolo all'Osteria Francescana; ragazza che guarda caso era in cerca di qualcuno che la accompagnasse—nel 2016 Davide ha cenato nel ristorante di Massimo Bottura pochi giorni prima che venisse nominato miglior ristorante del mondo [al secondo posto nel 2017, e nuovamente al primo nel 2018]. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza.

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Assicurarsi un posto da Bottura equivale più o meno ad acquistare i biglietti per un concerto: quando inizia la nuova stagione sul sito dell'Osteria aprono le prenotazioni, che vanno via in pochissimi giorni per diversi mesi a venire, e quindi è normale muoversi con cinque-sei mesi di anticipo. La ragazza in questione sapeva, visto che ne avevamo parlato più volte su Facebook, quanto fossi fissato con la cucina: mi è sempre piaciuto sia cucinare sia sperimentare vari tipi di ristorazione, dall'alta cucina alle trattorie più sperdute. Ho 28 anni e nella vita non mi occupo di cucina, ciononostante negli anni avevo già avuto modo di mangiare in alcuni dei ristoranti più famosi d'Italia—sono stato da Uliassi a Senigallia, da Berton a Milano, al Trussardi—quindi bene o male sapevo cosa aspettarmi. Mangiare in un ristorante del genere è piuttosto complesso, perché ogni piccolo particolare, anche semplicemente la presentazione di ogni singola portata, fa effettivamente la differenza. L'alta cucina, per quanto sia scontato dirlo, è più accomunabile a un'esperienza che a un piacere fine a se stesso.

Comunque sia il giorno X la mia amica ed io abbiamo raggiunto Modena da Milano, per quelle che poi si sono rivelate tre ore di cena piuttosto interessanti. Se uno non è abituato quando entra si trova un po' a disagio perché il tutto è piuttosto impostato—non tanto per l'ambiente, ma perché i camerieri sono estremamente silenziosi e affettati, con una gentilezza quasi portata all'estremo che ti spinge alla stessa deferenza. Nella sala c'è molto silenzio. I camerieri si dedicano praticamente a una persona per serata, vista la proporzione camerieri/clienti, e ti capita di trovarti il tuo di fianco che ti riempie il bicchiere non appena finisci l'acqua. Ovviamente la premura è una cosa positiva, ma diciamo che l'Osteria Francescana non è esattamente il luogo in cui poter parlare liberamente dei fatti propri, visto che hai sempre gente intorno. Le conversazioni, quindi, si concentrano quasi tutte sul cibo. Quella sera in sala c'era un altro tavolo piuttosto grande di clienti cinesi, e un altro tavolo occupato da due coppie, credo inglesi o americani. Tutti compiti e silenziosi come noi.

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Ormai, dopo essere stato più volte in un ristorante del genere, ero abbastanza abituato a quel tipo di atmosfera, ma le prime volte mi metteva un po' di ansia perché avevo paura di fare qualcosa che mi avrebbe fatto sembrare sgarbato e fuori luogo: qualsiasi rumore un po' più forte viene sentito in tutta la sala, e con così poche persone è facile sentirsi osservati. Per questo solitamente quando voglio fotografare un piatto con il cellulare chiedo il permesso. Ad ogni modo, per quello che ho visto, sono sempre stato l'unico a farlo.

I menù degustazione, almeno quando ci sono stato, erano tre: un menù della tradizione che include i piatti più famosi di Bottura, un menù dell'innovazione che solitamente è composto dai nuovi piatti pensati dallo chef, e un menù che coniuga piatti provenienti da entrambe le carte. Un'ulteriore possibilità è quella di non scegliere un menù degustazione e ordinare direttamente i piatti singoli dalla carta, ma non è una scelta che conviene. Noi abbiamo scelto il terzo menù.

Prima delle prime portate è arrivata una entrée offerto dalla cucina, che in questo caso era una cialda di pane con gelato salato al coniglio, dei macaron al coniglio e dei fagottini con pomodoro e capperi.

Dopodiché è iniziata la sfilata delle portate, tutte accompagnate da una spiegazione—talvolta più articolata, talvolta meno—sulla preparazione e la composizione di ogni piatto. Fra i 13 piatti, abbiamo mangiato: ostrica fritta su brodo di prosciutto condensato; lenticchie cotte nel brodo di anguilla con emulsione di rapa; rombo e maialino cotti a bassa temperatura con gelatina di zafferano; il famoso croccantino di foie gras all'aceto balsamico. Quello che in assoluto mi ha colpito di più è stato quello a base di lenticchie, veramente incredibile. Ma in generale ogni portata, di volta in volta, è quasi migliore dell'altra. Ogni piatto poi ha uno nome piuttosto strano, che non ti prepara a quello che mangerai; ce n'era ad esempio uno che si chiamava "This Little Piggy Went to the Market", che in pratica erano vari assaggi di maialino da latte con sopra una composizione di ingredienti che gli facevano fare una specie di giro del mondo: curcuma per l'Africa, cetriolo e salsa di soia per l'Asia, barbabietola rossa ed emulsione di salsa barbecue per il Nord America e così via.

La spiegazione del titolo, dell'idea e dell'accompagnamento "tecnico" è importante: può sembrare forse un po' pretenzioso a chi non ne ha fatto esperienza, ma in realtà una cucina di questo tipo deve essere "capita", e non solo assaggiata. A volte, per alcuni particolari piatti, è addirittura Bottura stesso che esce a presentare e spiegare. Si ferma qualche minuto al tavolo, e puoi interagire per farti un'idea più precisa di quello che stai mangiando: è molto gentile, e soprattuto ansioso di far capire ai clienti che tipo di ricerca e di idea ci siano dietro ai suoi piatti. È rimasto al nostro tavolo per un po', parlandoci di un piatto che stavamo assaggiando: in passato in situazioni del genere ho tentato di interagire di più e dire la mia sui piatti, ma poi ho capito di non averne la competenza, quindi in quel caso mi sono limitato a fargli i complimenti.È stato l'unico momento in cui ho parlato un po' più ad alta voce. A questo punto, soprattutto dopo la nomina che ha ricevuto, e soprattutto se non siete dei grandi appassionati di cucina, potreste cominciare a chiedervi che senso abbia tutto questo clima di cerimoniosità. Quindi arriviamo finalmente alle domande che molti si saranno posti: vale veramente la pena spendere più di 300 euro a persona per una cena che prevede un piatto composto da sei bocconcini di maiale a forma di maiale? E una volta considerato ciò, cos'ha di così speciale il ristorante di Bottura? Per quanto riguarda la prima domanda credo che la cifra abbia senso se una persona è particolarmente interessata alla cucina e al cibo, come del resto in tutte le cose. Perché un fissato si prende un'auto sportiva che ha solo due posti, non ha il bagagliaio e probabilmente è anche scomoda? Perché tecnicamente qualcuno ha deciso che è l'auto migliore che c'è in quel momento. Lo stesso vale per la moda: che senso ha comprare un abito da più di mille euro se puoi averne uno che costa dieci volte meno? La cucina di Bottura, in questo momento, rappresenta il picco massimo raggiunto dalla gastronomia. I piatti non solo soltanto "cerebrali": i sapori sono letteralmente incredibili. La piacevolezza del cibo, poi, è abbinata all'esperienza di sentire sapori completamente nuovi, anche quando si tratta di una materia prima conosciuta. A me ad esempio ha stupito incredibilmente scoprire che il sedano, il vero sedano, ha un lieve sapore di liquirizia. Sono ingredienti di qualità assoluta, lontanissimi da quelli che si possono acquistare al supermercato.

In realtà non serve avere un cultura culinaria elevatissima per godere di questa esperienza, anche se prima di prenotare all'Osteria Francescana sarebbe più opportuno avere modo di girare qualche ristorante e farsi un'idea del tipo di cucina di cui si sta parlando, perché ti aiuta ad apprezzarla ancora di più, come è normale che sia. Quella che serve, in fondo, è più che altro una predisposizione verso questo tipo di esperienza, anche se non ha molta confidenza con l'alta cucina. Uno deve veramente voler provare. Perché altrimenti ritrovarsi a sborsare quasi 600 euro in due per una schiuma di grana padano può essere piuttosto deprimente, immagino. Segui Niccolò su Twitter