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Cosa resta dell'occupazione del Teatro Valle

Dopo tre anni di occupazione per lo più criticata o ignorata e un'estenuante trattativa con il Comune di Roma, il Teatro Valle è tornato a essere vuoto.

Foto via Facebook.

L'ultima notte del Teatro Valle occupato è stata trascorsa in strada, con un palco improvvisato davanti al numero 21 della via omonima nel centro di Roma. “Stanotte cessa lo stato di occupazione e inizia un nuovo percorso," hanno scritto gli occupanti il 10 agosto 2014. "Per questo dormiamo tutti insieme sotto le stelle."

L'occupazione del teatro, uno dei più antichi di Roma, era iniziata il 14 giugno 2011, quando un gruppo di lavoratori dello spettacolo, attori e tecnici era entrato nella struttura per scongiurarne la chiusura e la cessione a privati. “Come cittadini vogliamo difendere il patrimonio artistico del Paese. Le politiche governative stanno dismettendo una funzione essenziale che la Costituzione italiana assegna allo Stato: la promozione e la tutela dei beni culturali,” si leggeva nella petizione diffusa il giorno dell'occupazione.

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Uno degli obiettivi principali dell'occupazione, almeno stando a quanto dichiarato dagli attivisti, era quello di "restituire il teatro ai romani." "Abbiamo occupato il teatro Valle per ridarlo ai cittadini," aveva detto l'attrice Giorgia Salari nel 2011, "perché il teatro è vivo fin quando rimane un luogo di incontro, magari anche di scontro, ma in cui attori e pubblico possono incontrarsi e confrontarsi sui temi più disparati, dall'arte alla politica. Crediamo di essere riusciti nel nostro intento.”

Da semplice presidio di salvaguardia del teatro e di protesta contro la politica culturale del governo, il Valle si è trasformato nel tempo in un centro di produzione e formazione (con quasi 5mila ore all'attivo) di arti contemporanee, che è riuscito a coinvolgere cittadinanza, attori e lavoratori dello spettacolo.

Tutto questo è finito, dopo tre anni di occupazione, quando gli attivisti hanno portato fuori scatoloni, materassi e bagagli e lasciato la struttura. Lo sgombero-non sgombero è arrivato dopo un'estenuante "trattativa" con il Comune, intenzionato a riappropriarsi della sala per metterla sotto la gestione del Teatro di Roma.

L'uscita degli occupanti dal Teatro Valle.

La mattina dell'11 agosto, poche ore prima della conferenza stampa in cui si sarebbe ufficializzato il passaggio di consegna, l'Acea ha staccato le utenze della luce. La visita di Campidoglio, Soprintendenza e giornalisti si è svolta così a lume di candela—non esattamente il migliore dei modi per iniziare la "nuova era." “Alla faccia della fiducia,” hanno commentato gli (ormai ex) occupanti.

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La luce è tornata dopo qualche ora, ma la mossa ha seminato diffidenza e malcontento. “Noi: pronti a consegnare tre paia di chiavi: al Comune, al Teatro di Roma, alla Fondazione Teatro Valle Bene Comune. Loro: staccano le utenze disattivando il sistema antincendio e mettendo in pericolo la cittadinanza,” hanno scritto su Facebook durante la conferenza stampa. Il Campidoglio, di contro, ha declinato ogni responsabilità sostenendo di essere stato “preso alla sprovvista.”

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Pubblicazione di Teatro Valle Occupato.

Le voci di un imminente sgombero avevano iniziato a circolare già all'inizio dell'estate, con alcune dichiarazioni del sindaco Ignazio Marino—le prime sulla "questione Valle" dalla sua elezione—che chiedeva agli occupanti “un'assunzione di responsabilità” affinché il teatro potesse "tornare ai romani” e rientrare nella legalità.

A settembre 2013, dopo una lunga serie di assemblee, è stata istituita la Fondazione Valle Bene Comune, a cui hanno aderito più di 5000 soci, “pronta ad affrontare il nuovo viaggio verso un confronto con altre istituzioni, nazionali e internazionali." Peccato che il "viaggio" si sia ben presto scontrato con il netto rifiuto della Prefettura al riconoscimento della personalità giuridica. A marzo era iniziato un processo di dialogo con gli occupanti, portato avanti dall'allora assessore alla cultura, Flavia Barca; le dimissioni di quest'ultima a fine maggio, però, hanno di fatto vanificato tutti i “report” e gli “incontri positivi”.

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L'accelerata alla fine dell'esperienza dell'occupazione è arrivata col neo assessore Giovanna Marinelli, che ha sottolineato come la struttura dovesse essere consegnata alla Soprintendenza per “necessari e improcrastinabili lavori di messa a norma.” L'ultimatum dato agli occupanti era stato fissato al 31 luglio, ma la Fondazione Valle ha dichiarato la propria disponibilità a lasciare il teatro il 10 agosto, a patto che ci fossero i presupposti per una futura "gestione partecipata."

Foto via Facebook.

Mentre il tira e molla per lo sgombero effettivo del teatro è durato fino a lunedì sera, c'è da dire che in questi tre anni al Valle sono successe parecchie cose, per lo più ignorate dal nostro paese.

Durante 37 mesi di occupazione sono andati in scena 281 spettacoli, 127 proiezioni di film e documentari, oltre 90 concerti e 20 giornate dedicate all'arte. Si è trattato di un esperimento con un obiettivo ben preciso: rendere la cultura un "bene comune." Ed è proprio sul concetto di beni comuni che è ruotata tutta l'esperienza di questa occupazione, volta alla ricerca e sperimentazione di "uno spazio d’azione tra la logica del profitto dei privati e l’asfissiante burocrazia pubblica."

Al Valle occupato nulla si è mosso se non è venuto fuori da una discussione, da un'assemblea. In questa direzione è andata anche la costituzione della Fondazione, “un luogo che non è né pubblico né privato, ma governato dalla comunità di artisti e cittadini che si mettono in gioco per curare e decidere quali direzioni dare al Teatro Valle. Ogni testa vale un voto nell’assemblea, al di là delle proprie possibilità economiche, secondo il principio dell’uguaglianza inalienabile tra persone”.

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Facile quindi intuire la curiosità con cui diverse istituzioni culturali estere hanno guardato all'esperienza del teatro romano. Recentemente, tra l'altro, il Valle era stato premiato a livello europeo per essere “di grande ispirazione per tutti coloro che lottano conto l’ondata di misure di austerità e privatizzazione che stanno minacciando la sostenibilità di istituzioni culturali cruciali per la vita della vita artistica e sociale.” Ma se all'estero gode di stima e interesse, in casa l'occupazione del Valle non ha riscontrato troppe simpatie nella stampa, nella politica e nello stesso mondo della cultura.

Foto via Facebook.

“L'ostracismo nostrano è una cosa che sinceramente non riusciamo a spiegarci,” mi ha detto un ex occupante. “All'estero siamo ben visti, siamo considerati. Ci segnalano spesso articoli che parlano di noi in francese, in tedesco. Riceviamo anche adesso attestati di solidarietà.” Sui quotidiani italiani, invece, sul Valle si sono consumate pagine e pagine all'insegna della legalità violata: dal Corriere della Sera, al Tempo o al Foglio che ha addirittura parlato di “privatizzazione militante” e “soviet inverato”.

Contro il Valle occupato è stata lanciata anche una petizione, portata avanti da Edoardo Sylos Labini, responsabile del dipartimento Cultura di Forza Italia. “Questa è una battaglia per liberare la cultura dalla politica. Voglio portare una voce artistica in campo politico, per restituire quel teatro a chi fa teatro,” ha spiegato sul Giornale.

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Sul Valle è stata anche aperta un'indagine dalla Corte dei Conti, per un presunto danno erariale (i 90mila euro di utenze pagate dal Comune di Roma durante questi tre anni); sullo stesso tema l’Agis-Anec ha presentato un esposto. Sul punto si è rivolta alla procura anche Forza Italia—promotore ancora una volta Sylos Labini—“per risolvere una questione divenuta emblematica dei paradossi del nostro paese.” All'appello si sono uniti anche esponenti di Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale. “È una battaglia che unisce il centrodestra,” ha commentato Federico Mollicone.

Ad ogni modo, a Roma il Valle non è un esperimento isolato. Negli ultimi mesi, infatti, ci sono stati altri due piccoli "casi Valle": il Cinema America a Trastevere e il Teatro Volturno a Termini. In tutte e due le circostanze si trattava di locali culturali occupati e autogestiti. Gli epiloghi, però, sono stati diametralmente opposti.

Gli occupanti del cinema America, dopo una lunga battaglia a colpi di appelli e petizioni, sono riusciti a ottenere il vincolo di interesse culturale sulla sala e a scongiurarne la demolizione e la costruzione, al suo posto, di una palazzina. Il teatro Volturno, invece, è stato sgomberato con un'ingente operazione delle forze dell'ordine, che hanno distrutto buona parte dell'interno dei locali. Era occupato dal 2008; ora potrebbe diventare una sala bingo.

All'indomani dell'auto-sgombero del Valle, il presidente del Teatro di Roma Marino Sinibaldi ha espresso apprezzamenti per le condizioni in cui è stato trovato il Valle: "Magari tutti i beni pub­blici della città di Roma fos­sero custo­diti com’è stato custo­dito il Valle in que­sti anni." Nel corso della "trattativa", inoltre, Il Campidoglio ha offerto non poche aperture nei confronti dell'esperienza del Valle, riconoscendo anche il lavoro svolto durante i tre anni passati e promettendo un teatro “che non potrà più essere normale” proprio alla luce di quanto è stato sperimentato.

Ma sull'intera vicenda, alla fine, probabilmente ha prevalso l'estrema diffidenza verso un possibile modello di autogestione degli spazi culturali (come lo è stato il Valle) e le sue reali possibilità. Del resto, lo scorso febbraio lo stesso Matteo Renzi, poco prima di diventare premier, si era espresso così: "Quando mi dicono che per salvare la cultura bisogna fare come stanno facendo al Teatro Valle di Roma, io dico che ci sono altre soluzioni."

Resta da vedere se le soluzioni prospettate dalle istituzioni saranno in grado di "salvare la cultura" e i teatri di Roma, oppure se liquideranno quello che è successo al Valle in questi ultimi tre anni come una trascurabile parentesi della vita pubblica e culturale della Capitale.

Segui Claudia su Twitter: @clatorrisi