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vita vera

Il decennio più sfigato di sempre

Parliamo degli anni Novanta, e della loro immagine vaga, confusa e persino un po’ anonima.

Finalmente pare che ci siamo: il revival anni Novanta è ufficialmente arrivato. Dico “finalmente” non perché dei Novanta abbia nostalgia, ma perché quattordici anni di revival Ottanta cominciavano a essere veramente troppi, roba che meriterebbe un’analisi a sé per quanto ha mandato all’aria la classica teoria dell’eterno ritorno nel pop.

E in effetti diciamocelo, con questi anni Ottanta si potrebbe andare avanti ancora per un bel po’, tanto che di ottantismi continuano a essere zeppe le colonne di destra di repubblica.it, le applicazioni per iPhone, le hit di Justin Bieber e Lady Gaga, le collezioni di American Apparel eccetera eccetera eccetera. Il revival Novanta di cui da qualche mese si discetta un po’ ovunque è più congettura che realtà, una specie di wishful thinking che sa di resa all’idea che se domani deve essere, tanto vale continuare a pescare tra i ricordi di ieri. Dopotutto, negli anni Duemila il ritorno dell’immaginario Ottanta non è stato semplicemente revival: è stato praticamente il linguaggio ufficiale dell’ultimo decennio. Una volta funzionava che sì, andavi a recuperare un paio di suggestioni di vent’anni prima e poi proseguivi a marcia avanti verso il futuro; nei (perdonatemi) noughties invece, di futuro non s’è vista nemmeno l’ombra. Dal 1998 di "Space Invaders Are Smoking Grass" gli anni Ottanta sono stati saccheggiati in lungo e in largo persino nei loro aspetti più improbabili e a conti fatti irrecuperabili, un po’ un atteggiamento del genere “qualsiasi cosa pur di non inventarci niente”. È paradossale come i Duemila, il decennio più futuribile nella storia dell’umanità, siano stati una continua rincorsa con l’occhio puntato allo specchietto retrovisore, ma non ci dilunghiamo. Il fatto è che veramente non se ne può più: dopo aver recuperato pure Kiss Me Licia e il George Michael di Faith, comincia se non altro a mancare la materia prima.

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E però ecco, pare di capire che arrivati a questo punto la soluzione non sia staccare l’occhio dallo specchietto retrovisore e mettersi—che ne so—a curiosare in avanti.  È come se ci fossimo talmente disabituati all’idea stessa di futuro, che per uscire dall’incubo ottantista la soluzione non è mica ricordarsi che ehi, fra tre mesi è il 2013, quanto semplicemente e un po’ meccanicamente passare al decennio successivo: i Novanta, appunto. Da gennaio di quest’anno a oggi, ho contato almeno una trentina di articoli che cercano di convincerci che sì, è arrivato il momento. Che il nineties revival è il next step più logico e a conti fatti ineluttabile. Di nuovo, la sensazione è che questo del tutto ipotetico novantismo di là da venire sia—al contrario della spontanea e un po’ irrazionale immedesimazione degli anni Zero con i vecchi Ottanta—più una scappatoia che il risultato di un moto nostalgico vero e proprio. Ma va bene, se revival Novanta deve essere, prepariamoci.

Come suppongo molti di voi, io nei Novanta c’ero. Ci sono cresciuto, anzi. Ho pensato un po’ a cosa di quel decennio vale la pena recuperare, ma ho voluto farlo nella maniera più erratica e superficiale possibile. Nel senso: non mi sono messo a studiare seriamente cosa hanno rappresentato i Novanta dal punto di vista sociale, culturale, politico e quant’altro. Mi sono semplicemente limitato ad andare con la memoria a come ho passato quegli anni. Cosa di quel decennio m’è rimasto. Sono un periodo strano, i Novanta: al contrario degli ultraiconici Ottanta, la loro immagine è vaga, confusa, persino un po’ anonima. Ai tempi mi (ci) sembrava di vivere nel decennio più sfigato di sempre. Fu davvero così? Alcuni ricordi sparsi.

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Jurassic School

La prima cosa che mi viene in mente, è che nei Novanta cominciai ad andare al liceo. Nelle cinque primavere che vi passai, non v’è stato anno in cui io e i miei compagnucci non abbiamo occupato la scuola, solitamente attorno a novembre/inizi dicembre, in modo da tirare lungo fino alle vacanze di natale e farci un mese e mezzo di meritato riposo. I motivi delle occupazioni erano fumosi, ma erano comunque occasioni sacrosante per, be’, socializzare, e rendere quell’edificio in cui dopotutto eravamo costretti a restare per nove mesi l’anno un posto un po’ più accogliente e (ahem) “nostro”.

I media e la stampa si occuparono del famigerato “movimento degli studenti medi” col debito zelo. Ci trovarono pure un nome, a noi che okkupavamo (sic): Jurassic School. Perché sapete com’è, nel 1993 era uscito il film Jurassic Park coi dinosauri e tutto, e noi che a quanto pare protestavamo contro la scuola “vecchia” o meglio ancora “preistorica”, ecco che okkupavamo contro la Jurassic School.

Vi rendete conto? C’è chi ha fatto il Sessantotto, chi ha fatto il Settantasette, chi ha fatto la Pantera, e io ho fatto Jurassic School. Non è una cosa che vado in giro a sbandierare, evidentemente.

Passatempi

A parte occupare (o meglio, okkupare) scuola un mese l’anno, come passavamo il tempo io e i miei amichetti in quegli infiniti pomeriggi quando c’era Clinton alla Casa Bianca e Gaia De Laurentis la sera tardi in TV?

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Stando ai libri, negli anni Novanta internet esisteva già. Se così è, io non me ne sono accorto. Un momento, forse nel 1998 arrivò in casa questo modem a 56k… Ma eravamo già a fine decennio. Anche i telefonini erano poco diffusi. E allora che diavolo facevamo tutto il giorno? Cosa…? Come…?

Boh.

Guardavamo la TV, mi sa. Ma di programmi dell’epoca me ne sovvengono veramente pochi. Ho dei vaghi ricordi di questa cosa chiamata bong. Che sia il motivo di tale amnesia?

Vita sociale

Nei Novanta evidentemente non si chattava né ci si mandava sms, quindi se volevi comunicare con qualcuno il più delle volte dovevi incontrarlo di persona, esattamente come—incredibile!—nei 4.000 anni precedenti all’avvento di Nokia e MSN.

Mi pare comunque di ricordare che quando ci si incontrava c’era sempre un bong da qualche parte.

InterRail

Non esistevano compagnie low-cost e l’aereo era roba da ricchi. E allora d’estate si andava per l’Europa sui treni, con questa cosa dimenticata chiamata interrail. In un tipico viaggio di un mese di durata, una settimana era riservata alla Spagna, due giorni a Parigi, un weekend a Berlino, il resto in Olanda, dove c’erano i bong.

La droga

Ecstasy e bong.

La moda

È opinione comune che negli anni Novanta ci si vestisse male. Bah. Sì, ammettiamolo, tutti questi vestiti baggy, il grunge, gli anfibi e bla bla bla… Se non ricordo male imperversava anche questa specie di doppio taglio ai capelli diretto erede del Brandon di Beverly Hills 90210: qualcuno può confermare?

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Bene, non so voi, ma a me sembra tutta roba più che sobria a confronto del tipico look da deficiente periodo 2012 del genere occhiali nerd, bomber, risvolto, e colori a cazzo. Come dice il mio amico Francesco De Figuereido: tra un po’ ci troveremo la gente con le mutande in testa.

I dischi

Ecco, questo è un punto veramente dolente. Musicalmente parlando gli anni Novanta furono un vero inferno, direi forse il periodo peggiore dell’intera storia della musica pop. Se dovessi indicare un genere che più di altri ha segnato quel decennio, direi… boh, facciamo l’IDM? Una sigla che, ci crediate o no, sta per Intelligent Dance Music. Intelligent, capito? Nel senso che tutto il resto della musica dance era evidentemente stupida.

Mi ricordo che usavo una compilation della Warp chiamata (toh) Artificial Intelligence per farmi i bong in casa e be’, sì, funzionava. Poi sapete, i vari Aphex Twin, Autechre, roba così: roba ganza, no? Siamo seri: qualcuno realmente ascolta ancora quei dischi? Va bene, sempre meglio di quell’altro incubo che imperversò verso la seconda metà del decennio: il cosiddetto post-rock. Una PALLA MOSTRUOSA. Il disco degli Slint dovevo mandarlo a 45 giri per farmelo piacere. Diosanto, per fortuna che è finita.

Alla tv c’era il brit pop (altro incubo) e qualche rimasuglio grunge (no comment). Ai rave, come dire, non ci andavo esattamente per sentire musica. C’erano anche jungle e drum’n’bass, che ai tempi detestavo perché mi sembravano una forma di tarantella fatta con le drum machine. Ho rivalutato entrambe. La techno-trance continua invece a sembrarmi un crimine contro l’umanità.

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L’hip hop andava alla grande, certo. C’era pure una cosa chiamata hip hop italiano. Non è uno scherzo: vi assicuro che esistevano dei tizi che rappavano nella nostra lingua scimmiottando gli originali USA e l’effetto potete immaginarlo da voi. Mi dicono che questo oscuro fenomeno esiste ancora adesso, ma si tratta evidentemente di una leggenda urbana.

Gli intellettuali si ascoltavano l’indie-rock americano, che non era l’indie che conosciamo adesso. Ad avere in casa i dischi di Pavement e Guided By Voices rischiavi di fare la figura del secchione, quindi me ne tenevo alla larga, però ecco, a riascoltarli oggi devo ammettere che…

Alla fine ecco, gli unici ricordi belli che conservo del periodo sono i dischi della Gravity e quelli della Crypt. Il mio gruppo preferito del liceo erano i Gaunt, figurarsi: roba che nessuno ricorda più. E i Wire, certo: che erano di quindici anni prima.

I Teletubbies

Un giorno torno da scuola, accendo la TV, e mi trovo davanti questi quattro cosi colorati che dicono in continuazione “ciao ciao!”.

Dicevano veramente solo questo: “ciao ciao!”. Quaranta minuti di “ciao ciao!”. Poi facevano delle danze in mezzo ai conigli e si abbracciavano.

Era la primissima puntata dei Teletubbies: io non ne sapevo niente e l’esperienza mi turbò profondamente. Credo sia l’equivalente per la mia generazione dello sbarco sulla Luna per quelli che nel 1969 avevano diciott’anni.

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Politica ed economia

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Negli anni Novanta c’erano Clinton, Tony Blair e Berlusconi, la Germania era un Paese solo (prima era divisa) e l’Euro non esisteva ancora. Nel 1997 le Marlboro costavano 5.500 lire.

Affetti e dintorni

Più o meno tutti i miei conoscenti erano rimasti segnati negli anni dell’infanzia da un’assurda pubblicità con colonna sonora di Laurie Anderson e gente che andava per le strade con un alone viola attorno: era l’AIDS. La cosa ha avuto le sue ripercussioni negli anni della pubertà.

Windows

Negli anni Novanta Apple e il Mac erano una roba esoterica, costosa, e—così dicevano—difficile da usare, quindi la stragrande maggioranza dei computer in circolazione giravano su Windows. Era, insomma, l’epoca del PC.

Questi PC erano dei cosi rumorosi, che si beccavano un sacco di virus ma che potevi ribaltare più o meno a piacimento. Se il PC a un certo punto smetteva di funzionare, gli davi un calcio e quello ripartiva. Se c’erano dei programmi che non ti piacevano e li volevi modificare, potevi farlo. Potevi copiare le robe, craccarle, rubarle, quello che ti pareva. Tutti dicevano che questo Bill Gates padrone di Windows era uno stronzo, e probabilmente lo era. Ma almeno non era Steve Jobs. Almeno non c’erano gli Apple Store con gli impiegati che fanno il balletto il giorno dell’inaugurazione. Almeno non dovevi smadonnare appresso a quella boiata che è iTunes. Almeno questo Gates era un sano, vecchio, antipaticissimo miliardario, e non un santone in jeans e maglietta nera che quando provi a metterne in dubbio le qualità verginali la gente salta in piedi e fa “ma scherzi? Steve Jobs? Il nobel gli avrebbero dovuto dare!”

A casa ho un MacBook Pro, un iPhone e persino un iPad. E devo dire che il ricordo di Windows e del mio orripilante PC color grigio-topo è l’unico particolare che ogni tanto mi fa sospirare “ah, gli anni Novanta… Quelli sì che erano tempi!”