Cotoletta tour milano
Tutte le foto di Carlotta Coppo ove non specificat
Cibo

Il mio instancabile tour delle cotolette alla milanese a Milano

La cotoletta è uno dei pochi piatti tradizionali conosciuti di Milano. Siamo stati a provare alcune delle migliori, in una sola giornata.
I nostri insani food tour in tutta Italia, alla ricerca del cibo di strada migliore o ricette iconiche senza tempo.
Cotoletta milanese ratanà milano

La cotoletta tagliata di Ratanà.

Trovo abbastanza incredibile di aver fatto prima un tour romano che uno milanese. Io, che sono la quintessenza della mia Milano.
Per questo ho deciso che avrei dovuto farlo con il food tour milanese più milanese di tutti: mi sono buttata, in una intera giornata, alla scoperta delle migliori cotolette alla milanese.

Tra tutti i piatti milanesi, è forse la più conosciuta, di certo quella che amano un po’ tutti, ma anche leggendaria. Dove si mangia oggi la vera cotoletta alla milanese? La tradizione è ancora forte o devi cercarla con il lanternino? Com’è cambiata e quante interpretazioni ci sono in giro?

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Iniziamo col dire che, almeno per quello che mi capita di sentire e vedere, la cotoletta alla milanese sembra essere tornata un po’ di moda, forse perché è aumentato il turismo o forse perché nei momenti critici torniamo sempre alle nostre alle radici.

E poi c’è la storia, piuttosto dibattuta. Delle informazioni di base, però, posso darvele: la costoletta alla milanese —si diceva così— pare sia stata cucinata per la prima volta nel lontano 1134, quando l’abate della Basilica di Sant’Ambrogio di Milano offrì al vescovo e al console di Roma i Lombolos cum panitio, ovvero delle cotolette di vitello impanate e fritte, come riportato dall’illuminista meneghino Pietro Verri.
Il primo vero riferimento alla cotelètta, dal milanese cutelèta, apparve però solo nel 1814 nel Dizionario del Dialetto Milanese di Francesco Cherubini ed è anche qui che iniziano i problemi: l’etimologia della parola costoletta ha una chiara origine francese, deriva infatti da côte o côtelette, preparazione gastronomica presente nei libri di cucina francesi dall’inizio del XVIII secolo (per citarne uno La science du maitre d’hotel, 1749).

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Ma non è finita qui. A qualcuno sarà capitato di mangiare la Wiener Schnitzel austriaca, la sottilissima fetta di vitello impanata e fritta nello strutto. Questa sarebbe stata portata in Austria dal generale Josef Radetzky quando ritornò dalla sua lunga residenza lombarda. O, forse, come sostengono gli austriaci, sarebbero stati i milanesi ad avere osservato i cuochi dei reggimenti occupanti? Probabilmente sono stati i milanesi, dato che versioni precedenti a quella di Radetzky non prevedevano la panatura, ma una cosa è certa: la primissima ricetta della costoletta alla milanese fu pubblicata nel 1855 nel libro Gastronomia Moderna di Giuseppe Sorbiatti, si intitolava costoline di vitello fritte alla milanese ed era descritto, nei minimi dettagli, il metodo di preparazione: le costolette, ricavate dal carré del vitello, dovevano essere alte due dita (tra i 2 e i 4 centimetri) e, dopo un’immersione nelle uova sbattute, dovevano essere ricoperte di pangrattato e fritte lentamente nel burro fino a doratura.

L’autore suggeriva di servire la carne rigorosamente accompagnata dallo stesso burro fuso nella quale era stata cotta, con l’aggiunta di fettine di limone, diciamo per sgrassare.

Dopo queste forse noiose, ma doverose nozioni storiche, sono finalmente pronta a raccontarvi i viaggi che ho fatto in giro per Milano e che mi hanno quasi uccisa per quante cotolette ho mangiato.

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La tappa obbligatoria: Osteria del Binari

Osteria del Binari cotoletta milanese milano

Il giardino d'inverno di Osteria del Binari, molto invidiato dagli altri ristoratori.

Partiamo dai Navigli, classica zona di Milano con un bel po’ di trattorie storiche milanesi e non solo bar fighetti.
Qui la tappa obbligatoria è l’”Osteria del Binari”, vicino alla Stazione di Porta Genova. Cesare Denti e la moglie fanno una scommessa nel 1972 e la vincono visto che ancora oggi sono gli unici proprietari dell’attività. Il ristorante inizialmente era un piccolo locale in affitto che negli anni si è allargato fino alle case di ringhiera circostanti: da un modesto dopolavoro del personale ferroviario, in cinquant’anni è arrivato ad avere circa 200 coperti. 

Il design è molto old school, ci sono diversi camini e travi a vista, l’arredo è originale dei primi ‘900 e la chicca è un giardino segreto, devo dire invidiatissimo dai colleghi. Incontro Giuseppe Sabino, lo chef, ed è qui che iniziamo a capire com’è cambiata e come cambia la cotoletta: “Durante il pranzo la facciamo di maiale, mentre la sera di vitello perché l’ingrediente principale scarseggia e non possiamo rispondere alla richiesta giornaliera dei nostri clienti”, mi racconta. “Considera che facciamo fino a 100 cotolette al giorno, quindi puoi capire il problema.”

Osteria binari cotoletta milanese

Lo chef Giuseppe Sabino.

Oltre alla cotoletta classica fanno anche la leggendaria “Orecchia di Elefante”. Sull’origine di quest’ultima occorre specificare che tra gli anni ’60 e ‘80 la costoletta di vitello inizia ad essere battuta così tanto da diventare sottilissima e da raggiungere una dimensione spesso più grande del piatto in cui viene servita. Non potevo esimermi dall’ordinarle entrambi.
Quando arrivano a tavola la differenza di dimensione si nota, ma in comune hanno l’osso e la panatura, molto brunita: “La panatura è fatta con il 30% di ritagli di pan brioche, 40% di pane comune e 30% di grissini per renderla bella croccante e in grado di assorbire anche un po’ il sentore di burro,” precisa lo chef Sabino.

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Le due cotolette mangiate all'Osteria del Binari, tra cui l'Orecchio d'Elefante.

Il burro è fondamentale, se si vuole essere precisi con la cotoletta, perché questo vuole la tradizione, ma è chiarificato, cioè viene tolta la parte grassa, la caseina, così da avere un più alto punto di fumo e non farla bruciare.
Le due cotolette mi vengono servite con i contorni a parte, patate della Sila e verdure di stagione (biete nel mio caso). Il primo assaggio è andato e non era niente male. I prezzi: cotoletta di maiale 22 euro e di vitello 30 euro. In linea con lo scontrino medio per la pausa pranzo, considerando che ormai per mangiare fuori a Milano serve aprire un mutuo.

La cotoletta sulla Darsena: Trattoria La Madonnina

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La cotoletta da La Madonnina.

Rimaniamo in zona e ci spostiamo vicino alla Darsena, alla trattoria “La Madonnina”.
Quando entro noto una ragazza che si sta accomodando e chiede se c’è Wi-Fi. Franco, il cameriere (detto lo Spigoloso, non si sa se per la sua silhouette o per il suo carattere), fa finta di non sentirla. Ovviamente non c’è e il telefono non prende neanche un po’. È proprio la vecchia trattoria in tutto e per tutto: menu scritto a mano, tovaglia a scacchi rossa e bianca, locandine di vecchi film appesi al muro insieme alle foto di Milano.

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Il signor Fabio Locatelli della trattoria La Madonnina.

Ordino la cotoletta direttamente a Fabio Locatelli, il padrone di casa che subito mi specifica: “Qui non facciamo l’Orecchia di Elefante, per me è una sciocchezza degli anni ’80, una piadina di pane grattugiato fritto, totalmente senza senso.”
La sua cotoletta non ha nessun guizzo strambo, sembra tutto in regola con la tradizione, ma è di maiale. “Io ci tengo al rapporto qualità prezzo,” mi dice. “Chi può spendere 30 euro euro per il vitello a pranzo? Preferisco avere un maiale di qualità; infatti pensa che ho mantenuto il fornitore di mia mamma.”
Fabio ci smonta anche un altro punto fermo della cotoletta alla milanese: “La cuociamo nell’olio di semi e non nel burro perché i clienti al giorno d’oggi si lamentano del colesterolo! Ovviamente lo cambiamo spessissimo e alla fine l’olio, per cuocere il maiale, tutto sommato è anche meglio.”

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Cotoletta milanese tour

L'autrice alla sua terza cotoletta, ancora in forze.

La cotoletta che mi arriva è abbastanza alta, ha l’osso e si vede benissimo che è stata impanata due volte. Tocco magico della vecchia ristorazione, al centro è ricoperta di patate al forno che trasudano olio. D’estate, invece, ci si trovano insalata e pomodori, ma non la rughetta. “La rughetta è un’altra pirlata degli anni ’80: qui purtroppo non c’è la vera rughetta romana, quindi meglio non usare surrogati,” dice, ridendo.
Il conto stavolta è più basso, 14 euro. A La Madonnina non saranno sensibili ai richiami della tradizione, ma almeno sono sensibili al portafoglio dei clienti.

A  questo punto voglio andare in una zona più centrale per capire cos’altro posso aspettarmi da questo piatto. 

La cotoletta del Centro: Stendhal a Brera

Nel cuore di Brera c’è un posto che da 34 anni serve la cotoletta milanese rigorosamente di vitello, cotta nel burro: “Stendhal”.
Qui la cotoletta è alta, ma anche molto battuta. “Questo per fare contenti tutti, la nostra clientela amava sia l’una sia l’altra versione,” mi dice il proprietario Marcello Forti.
“Dal periodo pandemico abbiamo voluto lavorare sull'autenticità del luogo mantenendo in maniera ancora più inossidabile i piatti tradizionali. Abbiamo deciso quindi di fare solo la versione classica e di togliere l’Orecchia di Elefante, siamo tornati indietro.”

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Cotoletta tour milano

L'autrice guarda con amore la sua quarta cotoletta, da Stendhal in Brera.

Mentre aspetto la mia cotoletta sono rapita da Vincenzo, uno dei camerieri: ha delle bretelle stupende, sorride, conosce tutti i clienti e si muove nella sala con sicurezza. Si capisce che è un po’ il capoccia. C’è un’atmosfera di casa, anche se il locale è piuttosto pettinato. Vincenzo mi confessa, a bassa voce: “Ho sentito qualsiasi cosa passando tra i tavoli, ma so mantenere i segreti.”
Nel frattempo arriva la cotoletta, la taglio e mi appresto ad attaccare la quarta della giornata. È morbida, nonostante l’altezza, mentre la panatura è molto sottile e si stacca un po’. Nello stesso piatto ci sono le classiche patate al forno, devo dire fatte a regola d’arte. 30 euro anche qui, comincia a sembrare una cifra standard decisa dal sindacato della cotoletta.

Sgancio il bottone dei jeans perché inizio ad accusare il colpo e mi rendo conto che a questo punto devo assolutamente entrare in una cucina per capire tutti i segreti di questo piatto.

La cotoletta di casa: Trattoria del Nuovo Macello a Calvairate 

Cotoletta milanese calvairate

La preparazione della cotoletta alla milanese da Trattoria del Nuovo Macello.

Ci spostiamo nel mio quartiere, Calvairate, alla “Trattoria del Nuovo Macello”.
La saracinesca qui si alzò la prima volta nel 1928 e dal ’59 è in mano alla famiglia Traversone. Nonna Maddalena in cucina e nonno Giovanni tra i tavoli hanno conquistato prima i lavoratori del macello, che sorge proprio di fronte al locale, poi tutta Milano, puntando sui piatti della tradizione. Anche l’ultima generazione, lo chef Giovanni, la sorella Paola e il cognato Claudio in sala, ha continuato a servire la cotoletta di vitello alta, frollata 40 giorni, cottura rosata, servita con o senza osso.

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Una cosa sola è cambiata negli anni ed è la panatura: “Prima usavamo il pancarré, ora il pane lo facciamo noi, di grano duro. Ogni cosa cerchiamo di curarla nei minimi dettagli”, precisa sorridendo lo chef Giovanni.
Andiamo in cucina e la prima cosa che mi mostra è il carré, un pezzo di bestia di 11kg che lui acquista dalla macelleria Motta.
Da qui si possono ricavare 8 cotolette, dalla prima all’ottava costola della parte centrale della schiena, mentre le ultime si tolgono perché sono più piccole, ma non si buttano. “Noi le usiamo per i mondeghili (le tipiche polpette milanesi, NdR), ovviamente sono uno scarto super pregiato” continua Giovanni.

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Il taglio della carne.

Ogni giorno preparano 3 o 4 carré, puliscono le costolette, poi procedono con la farina —pochissima— che serve per far attaccare le uova, e infine la vestono con un velo di pangrattato. Vederlo lavorare è uno spettacolo: è velocissimo e fa sembrare tutto estremamente facile. Arriva il momento clou, il tuffo nel burro chiarificato; cuoce la cotoletta dieci minuti per lato, dolcemente, con amore e rigorosamente sulla fiamma perché “l’induzione è complicata, devi avere delle padelle eccellenti per controllare l’intensità del calore e poi io sono alla vecchia maniera.”

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La cotoletta cotta alla perfezione della Trattoria del Nuovo Macello.

Giovanni la toglie dal fuoco e per condividerla con me la taglia a cuboni che ci spariamo direttamente in cucina: dentro è rosata e succosa. Mentre Giovanni sfoglia un libro del maestro Marchesi, io mi pappo la cotoletta e faccio pure la scarpetta nel purè di cavolfiore, accompagnamento della cotoletta insieme al finocchio marinato. 32 euro ben spesi.

Non avrei dovuto iniziare con due cotolette di fila, alla prima tappa.

La cotoletta veg: da Linfa

E infatti, alla quinta cotoletta, ho deciso di prendere la bici per provare a smaltire un po’. Pedalando come fosse il Giro d’Italia, per fare spazio a nuove cotolette.  

Oltre all’attività fisica, però, mi serviva una pausa dalle proteine animali, così sono arrivata da “Linfa-Eat Different”, ristorante plant based abbastanza nuovo in città.
I tradizionalisti sicuramente insorgeranno, ma questo tour serve a fare una panoramica su ciò che oggi viene chiamata cotoletta a Milano, non stiamo cercando la cotoletta più autentica.

Cotoletta veg milano

Gli interni di Linfa a Milano. Foto dell'autrice.

Il ristorante è curato nei minimi dettagli, mattonelle in ceramica tagliate a mano e sedie in velluto, ovviamente senza alcuna derivazione animale: qui l’esperienza vegetale è a tutto tondo. Il menu ha moltissimi richiami alla cucina mediterranea, ma a me interessa la regina del giorno.
È stata inserita da dicembre grazie alla collaborazione con Heura, azienda spagnola che produce sostituti della carne per la grande distribuzione e la ristorazione. “Nonostante la nostra vocazione, la nostra clientela è principalmente onnivora, quindi cerchiamo di riproporre qualcosa il più simile possibile a quello che conoscono,” mi racconta Edoardo Valsecchi, fondatore di Linfa.  

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Cotoletta vegana milano

La cotoletta vegana di Linfa. Foto dell'autrice.

La milanese —così si azzardano a chiamarla— mi arriva su un letto di rucola di agricoltura verticale prodotta da Planet Farms, scaglie di formaggio vegetale stagionato e salsa di senape ai grani antichi.
All’occhio sembra una cotoletta da supermercato, quella che tutti abbiamo mangiato almeno una volta nella vita, soprattutto se siete stati, come me, universitari fuorisede, ma a base di soia. La consistenza però devo dire è molto più strutturata, perché all’interno è composta da più livelli. Il sapore non si avvicina neanche lontanamente alle cotolette che ho mangiato ma sarebbe sbagliato aspettarselo. E non era poi così male, lo ammetto.
Totale: 15 euro, il secondo scontrino più basso fino ad ora il che forse le garantirà un futuro.

La cotoletta sbagliata: da Anche* a Isola

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L'autrice e Matteo Stefani di anche, che si è presentato con una maschera da asino.

Sul flusso dell’alternatività sono arrivata anche nel quartiere Isola, dove ci ha accolto Matteo Stefani di “Anche*”, indossando una maschera d’asino. “L’asino è il simbolo dello sbaglio,” parola chiave del suo business. La sua cotoletta si chiama sbagliata perché “più di dieci anni fa, per aiutare il nostro fornitore macellaio che aveva un esubero di braciole di maiale, mi faccio convincere a comprarle tutte e usarle per la cotoletta. Credo si sia fatto delle grasse risate alle nostre spalle, ma è stata la nostra fortuna,” mi racconta, sempre con la maschera sul viso.

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Nel tempo, partendo da questa esperienza, Stefano ha capito che poteva divertirsi sperimentando, perché la clientela tornava e si aspettava sempre novità: “Siamo partiti con la panatura di mandorle, per poi passare ai topping di prosciutto e formaggio, gorgonzola e fichi, pizzaiola, capperi e acciughe. Per i vegetariani abbiamo fatto anche quelle di melenzane con salsa di pomodoro.”

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Le cotolette mini "sbagliate" di Anche*

La cottura è ad immersione nell’olio di girasole, in stile fast food. Durante i lockdown ha iniziato a consegnarle non solo in città, ma in tutta Italia e anche in Europa, spedendole sotto vuoto con una catena del freddo controllata.  “Puoi mangiarla a casa come al ristorante in soli 5 minuti di forno o in padella,” chiude Stefano tornando a sembianze umane.

Leggendo il menu ho scoperto la versione mini, l’ultima arrivata: tre cotolettine di trita di maiale, ricoperte di pistacchi, lime e pesto di pistacchi, servite con le patate fritte.  Voglio farmi del male e scelgo queste, così finiamo direttamente nella categoria foodporn. Siamo lontani anni luce dalla cotoletta classica ma cosa vi devo dire, sono una goduria.
Conto 18 euro, bevo un sorso di limonata come disgorgante e rimonto in sella alla bici.

La cotoletta da prenotare: da Ratanà

Ratanà milano cotoletta

Lo chef Cesare Battisti di Ratanà.

Dopo tutta questa stravaganza prima di giungere alla fine della giornata ho bisogno ancora di tradizione, la mia milanesità la reclama.
Quindi vado da “Ratanà” nel parco vicino a Piazza Gae Aulenti, dove la cotoletta è un fuori menù ed è solo su ordinazione, bisogna chiamare almeno 2 giorni prima. “Ne facciamo tantissime, non ci stiamo dietro, per questo ho bisogno di sapere quante ne farò. Per farla a regola d’arte, serve tempo e non posso impallare la cucina,” mi dice Cesare Battisti, chef e proprietario.  

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La cotoletta di Ratanà in cottura nel burro chiarificato.

Anche qui chiedo se posso entrare in cucina perché sento che le cose si fanno serie. Tira fuori la costoletta di vitello: è piemontese e proviene dalla macelleria Annunciata. “L’animale viene nutrito solo con il latte materno e non di acqua e latte in polvere,” chiarisce Cesare Battisti.
Poi mette sul banco il burro, che è di malga e viene chiarificato; infine arriva la panatura, realizzata con un pane fatto con lievito madre. I passaggi ormai li conosciamo, ma è ai fornelli, che in questo caso sono ad induzione, dove  avviene la magia: “Aggiungo la salvia per dare profumo e lo faccio in due momenti: all’inizio e quando si è rosolata con il burro la tolgo e la rimetto verso la fine.”
Volete sapere quanto burro usa per ogni cotoletta? “150 grammi, poi ne aggiungo qualche cubettino freddo durante la cottura” dice, ridendo, Battisti.

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Lo chef Cesare Battisti divide la cotoletta.

Non bisogna sconvolgersi, come diceva Sorbiatti a metà ‘800: al tavolo arrivava sempre il bricchetto pieno di burro spumeggiante di cottura da aggiungere a piacere. Me la serve sul tagliere con la salvia super croccante. Essendo battuta a mano è una via di mezzo tra quella alta e quella bassa, croccante fuori e succosa all’interno. Prima di salutarci discutiamo sulla nascita della cotoletta ma anche lui è d’accordo con la paternità milanese dell’Abate della Basilica di Sant’Ambrogio. 30 euro, devo dire tutti meritati.

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La cotoletta con la Carrà: da Consorzio Stoppani

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L'ultima cotoletta dell'autrice, in compagnia di un cartonato della Carrà.

Boccheggiando decido di finire questo viaggio nel colesterolo con un po’ di ironia, in un posto super informale. Vado quindi da “Consorizio Stoppani”, vicino Viale Abruzzi (vicino al Bar Basso, per intenderci), conosciuto  soprattutto tra i giovani perché non si mangia mai da soli: per mantenere il distanziamento durante le riaperture post lockdown hanno aggiunto a tavola delle sagome di personaggi famosi che poi sono rimaste, diventando un po’ il simbolo del locale.

“La cotoletta è di maiale, viene battuta molto, fino all’osso, la panatura ha all’interno dei pistacchi e la nota fresca viene data dalla scorza d’arancia,” mi racconta lo Chef Wadin Carbone. La cuociono nell’olio di arachidi e, per quanto ne usano, il risparmio dev’essere consistente (chiaramente smaltendolo nel modo corretto). In più per il delivery hanno deciso di trasformare la cotoletta in un panino per la schiscetta –da schiscià, schiacciato, perché il cibo veniva premuto per farlo stare all’interno della scatoletta– che a Milano è una vera istituzione.

Ma parliamo di quella che ho mangiato io -e mi chiedo come ci sia riuscita- con Monica Romanelli, una dei tre soci, in compagnia della mitica Raffaella Carrà versione cartonato. Monica, con un passato nel marketing, condivide con me una riflessione: “La cotoletta oggi è l’alternativa alla pizza, i giovani cercano la tradizione rivisitata e qui la trovano, spendendo il giusto.”

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La cotoletta di Consorzio Stoppani.

Dopo una giornata stremante, ma goduriosa, posso finalmente chiudere la bocca. Ah, quest’ultima cotoletta costava 19 euro, comunque.

Con una giornata intera passata a mangiare solo cotolette alla milanese ho capito alcune cose: la prima è che l’Orecchia d’Elefante, l’Uregia Panada, non la fa praticamente più nessuno; il vitello viene usato più nei ristoranti fighetti, soppiantato dal democratico maiale e che la cotoletta è ormai un brand, che non sfugge nemmeno ai vegani.

E in fondo, perché no? Alla fine c’è posto per tutti e per tutto, anche se nel mio stomaco, di spazio, non ce n’è più.

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