Attualità

Le cose più strane che ho visto facendo l'investigatore privato

Abbiamo chiesto ai titolari di una delle più antiche agenzie investigative di Milano di raccontarci cosa fa un investigatore e quali sono le cose più strane capitate loro.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Quando ero bambino volevo fare l’investigatore privato: un po’ perché il mio giocattolo preferito era la versione detective di Donatello delle Tartarughe Ninja, un po’ perché avevo preso e letto alcuni romanzi di Raymond Chandler dagli scaffali di mio padre.

Ovviamente poi scoprii che molte delle cose a cui leghiamo l’immaginario dell’investigatore privato—storie rocambolesche, sparatorie, momenti pulp—non fanno parte della vera professione, ma ho sempre conservato un certa fascinazione per il mestiere.

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Per conoscere un po’ di retroscena ho parlato con Mario e Francesco Caliò, padre e figlio titolari dell’agenzia investigativa Europol di Milano, aperta nel 1962 e operativa nell’investigazione per privati cittadini e aziende. Insieme, mi hanno raccontato alcune delle loro avventure più strane.

Licenza di ricchezza

Qualche anno fa una grande azienda ci incaricò di investigare su un possibile caso di spionaggio industriale a loro danno. Dovevamo pedinare e avvicinare un manager concorrente, che si sarebbe incontrato con alcuni clienti in un grande hotel di un’esclusiva meta turistica, con l’obiettivo di carpire informazioni.

Il cliente era stato molto chiaro: per suscitare fiducia, in certi ambienti, dovevamo ostentare ricchezza. Ci disse che le note spese non erano un problema, l’unica raccomandazione fu: “Sempre in abito da sera e spendete minimo 1000 euro al giorno in vizi.” Ci facemmo fare dei bellissimi abiti sartoriali, ci fingemmo due broker di un fondo lussemburghese e passammo quei giorni offrendo champagne a tutti gli ospiti dell’albergo (compreso il manager in questione).

Come è facile comprendere, è un caso che ricordiamo con gioia: abbiamo passato dei giorni indimenticabili, raggiunto l’obiettivo e alla fine ci siamo pure tenuti gli abiti da sera.

Fuga ad Amsterdam

Alla fine degli anni Settanta io [Mario Caliò] fui incaricato da una famiglia di rintracciare il figlio minorenne, che era scomparso da settimane. Dopo le prime ricerche riuscii a scoprire che era fuggito insieme ad alcuni amici più grandi ad Amsterdam, che proprio all’epoca si stava affermando come capitale degli amanti della cannabis. Mi incaricarono quindi di localizzarlo e scoprire da vicino come vivesse, perché ero giovane e potevo risultare più credibile, non inducendolo a far perdere ancora di più le sue tracce.

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Non appena arrivato in città mi recai alla Casa Rosso, dove si ritrovavano giovani da tutta Europa, per mischiarmi a loro e cominciare a raccogliere informazioni. Entrai e vidi che c’era un grande tavolo in cui si fumava e si giocava a scacchi: io ero un giocatore appassionato e per attaccare bottone chiesi di fare una partita. Il problema è che mentre giocavamo continuavano a passarmi canne, che non avevo mai provato. Non potevo rifiutarmi di fumare, o sarei sembrato fuori luogo. Quella sera feci delle mosse estreme a scacchi, cose che non sono mai più riuscito a fare, e si creò presto un gruppo di fumati che mi guardavano giocare e mi chiamavano “maestro.”

Grazie a questo potei cominciare a fare domande sugli altri italiani ad Amsterdam, e dopo qualche giorno trovai il ragazzo.

Il tradimento immaginario

Facendo questo lavoro, specie quando si tratta di questioni private, capita di imbattersi in clienti che vedono complotti e tradimenti ovunque. Bisogna stare molto attenti, non solo per il bene dei clienti stessi, ma anche perché possono creare problemi all’agenzia.

Tempo fa ci è capitata una signora fermamente convinta del fatto che il marito la tradisse. Per lavoro la donna doveva alzarsi molto presto la mattina, ed era certa che non appena uscita di casa il marito facesse arrivare altre donne, ma non era mai riuscita a beccarlo sul fatto. Sembrava un caso normale, quindi lo seguimmo per un po’. L’uomo conduceva una vita matrimoniale integerrima—ma la moglie non volle crederci, anzi si arrabbiò: cominciò a tempestarci di chiamate, chiedendoci di raggiungerla per osservare insieme un piccolo graffio in cortile che, secondo lei, testimoniava l’utilizzo di una scala da parte dell’amante per raggiungere il marito dalla finestra.

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Dopo settimane su questo tenore, ci vedemmo costretti a chiudere ogni tipo di rapporto. In seguito abbiamo saputo che la convinzione della donna provocò la fine del matrimonio.

Furbetti del cartellino

Gli incarichi da parte delle aziende possono riguardare anche indagini sui propri dipendenti: anni fa un grande industriale ci chiese di investigare su quattro operai, perché la mole di lavoro del loro reparto era stranamente bassa rispetto agli standard.

Dopo alcuni giorni di pedinamenti scoprimmo la verità: i dipendenti avevano messo su una vera e propria banda di doppio-lavoristi. A turno, sfruttando il poco controllo in un’azienda così grande, si coprivano fra loro, timbrando il cartellino al posto degli altri, così da dedicarsi ad altre attività lavorative.

Uno di questi stava addirittura aprendo un locale e ci lavorava mentre avrebbe dovuto essere in fabbrica.

Doppio gioco

Oltre ai tradimenti immaginari ci sono—ovviamente—anche quelli reali. Anzi, sono molti di più e spesso si concretizzano in situazioni del tutto improbabili.

Una volta, incaricati da una moglie, abbiamo indagato su un marito fedifrago particolarmente bravo a nascondere le sue tracce. Era chiaro che avesse una relazione, ma l’uomo era bravissimo ad occultarla. Alla fine riuscimmo comunque a beccarlo e fornimmo alla moglie tutte le prove per chiedere la separazione.

Poco tempo dopo fummo però contattati proprio dal marito, che ci chiedeva—tanto era rimasto colpito—di fare il doppio gioco e indagare sulla ormai ex moglie per scoprire se c’era qualcosa che gli avrebbe consentito di pagare meno per l’assegno di mantenimento.

Nota: alcuni dettagli sono stati modificati per garantire l’anonimato. L’informazione non era stata aggiunta nella prima versione, ci scusiamo per l’inconveniente.