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I trentenni italiani vengono considerati dei bambini, ma in realtà sono vecchi

I trentenni non sono dei bambini: dovrebbero sapere dove stanno andando, cosa vogliono, avere un futuro quanto più delineato possibile. Eppure in Italia sembra succedere tutto il contrario.
Illustrazione di Stephen Maurice Graham.

Ho sempre dato molta più importanza del dovuto all'età, intesa proprio come dato numerico che separa una fase da un'altra. Così, quando mi rendo conto che spesso questi confini sono soltanto delle illusioni ci rimango male: come nel momento in cui, qualche mese dopo i 18 anni, mi resi conto che ero esattamente lo stesso di luglio (con al massimo l'aggravante di essere tornato sui banchi di scuola).

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Ora che ne ho 21, il traguardo anagrafico a cui guardo con più ansia è quello dei trenta. Nella mia testa, fino a poco fa, il decennio che me ne separa rappresentava l'ultimo periodo della vita in cui sperimentare, fare gavetta e avviare la mia carriera. Perché a trent'anni—mi dicevo—ormai uno è adulto, ha capito cosa vuole fare ed è in grado di affrontare tutte quelle incombenze che a vent'anni si tendono a vedere come lontane e aliene (e che solitamente coinvolgono parole piuttosto vaghe come "stabilità," "responsabilità," magari "famiglia").

Ecco: questa convinzione è stata spazzata via nel momento in cui ho deciso di saltare il passaggio dell'università, iniziato a frequentare più spesso Milano e ottenuto il mio primo lavoro. Per la prima volta mi sono ritrovato a dover costruire e intrattenere dei rapporti con gente più grande di me che non fosse mossa dalla dinamica "io insegno, tu impari". E questo fatto, aggiunto alla vita quotidiana passata insieme a trentenni o gente in procinto di esserlo, mi ha messo di fronte a qualcosa che fino a quel momento non avevo preso in considerazione: mi sembravano molto più "ventenni" di quanto non mi aspettassi.

Al di là degli interessi e delle abitudini sociali condivise—spiegabili su basi geografico-settoriali, dal momento che il dove è appunto Milano, e il cosa è un lavoro "creativo" che ti bolla come giovane anche quando non lo sei necessariamente dal punto di vista biologico—a rendere simili a me quei trentenni era l'impressione che non avessero ancora chiaro cosa fare della propria vita, né godessero di certezze molto più solide delle mie. Anzi, mi sembravano ventenni proprio per il loro gravitare in una bolla generazionale quasi ancora totalmente proiettata verso il futuro.

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È per questo motivo che qualche giorno fa mi sono ritrovato a scrivere su Facebook che, insomma, era inutile girarci intorno: i trentenni non sono giovani. Sono VECCHI. Dovrebbero sapere dove stanno andando, cosa vogliono; dovrebbero, in pratica, avere un futuro quanto più delineato possibile. Le reazioni sono arrivate subito, e dopo poco mi sono ritrovato a discutere in termini molto seri, ovviamente fuori da internet, quella che era nata come una battuta: che significa davvero avere trent'anni, e cosa sono di preciso i trentenni?

Nel caso dell'Italia, la risposta non è particolarmente soddisfacente: i trentenni sono una sorta di enorme buco nero che sta tra la spensieratezza e la fonte dell'eterna giovinezza e quella che i miei genitori chiamerebbero vita, che in generale vuol dire banalmente arrivare a un'indipendenza, pagare le bollette, un affitto e/o un mutuo e, volendo, fare dei figli.

In pratica, quelli che in apparenza mi sembravano giovani (pur avendo l'età per essere adulti), per la società non lo sono solo apparentemente. In Italia chi ha trent'anni è considerato poco più che un adolescente, un individuo privo delle facoltà che gli permettono di affrancarsi dalla precarietà (non intesa soltanto come condizione economica), ancora immerso in quella prova generale della vita che dall'università si diluisce in altra università, stage, in un processo lunghissimo che può durare anche dieci anni dalla fine del liceo.

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Questa impostazione ha chiari effetti anche sul resto, ovviamente: perché se un trentenne è "giovane", un ventenne come il sottoscritto diventa automaticamente un poppante. E se questo ventenne si relaziona quotidianamente con chi ventenne non è più, manca poco che agli occhi degli altri risulti la versione cresciuta della mitica Matilda, quasi un freak con delle capacità di troppo per un corpo così giovane.

Il punto è che idealmente, e fattivamente in posti che non sono l'Italia, un ventenne non è più un ragazzino né a livello mentale né biologico: il più delle volte ha completato lo sviluppo psicofisico, per cui può avere delle responsabilità, può svolgere un lavoro normale e, addirittura, ambire a essere indipendente. Ma non in Italia, a quanto pare: se in stati come Francia e Regno Unito più del 70 percento dei giovani si laurea in media entro i 24 anni di età, qui succede il contrario, e tra fuoricorso e struttura accademica la maggior parte completa l'università oltre i 25. Di conseguenza, e non lo devo spiegare io né le statistiche, anche la ricerca di un impiego o del primo, vero lavoro si sposta fino ad avvicinarsi ai trenta.

In Italia, la soglia di maturità si sta alzando sempre di più, e ogni barriera e distinzione d'età, o per meglio dire generazionale, scompare. Nella mia testa, gli anni tra i venti e trenta sono quelli della definitiva formazione non solo accademica, ma professionale, per fare in modo che qualcuno con tre decadi sulle spalle sia qualcosa in più di un novizio. Ovviamente non è così.

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E in un certo senso tutto ciò, per tornare al rapporto tra ventenni e trentenni, non fa che creare un flusso di esperienze condivise senza alcuna distinzione. Nessuno sa cosa sia di preciso un trentenne, e il tutto è così indecifrabile da riflettersi anche nelle sue rappresentazioni mediatiche. Basta pensare a The Pills o The Jackal, due esempi perfetti per spiegare questo vuoto in cui ciò che viene spacciato come rappresentazione di un trentenne è, più che altro, la rappresentazione di un indefinito giovane di una determinata classe sociale, al quale si attribuiscono delle caratteristiche non proprie, come le VHS o il modem 56k, per rendere il tutto più vecchio. Voglio dire: le VHS le ho guardate anche io che ho vent'anni, ma probabilmente le sentiranno più loro persone che hanno anche più di trent'anni.

Il cortometraggio dei The Jackal mi aveva colpito (purtroppo negativamente) proprio per questo motivo, per il mio disagio nel collocare ciò che vedevo: il pubblico è mediamente più giovane di chi produce quei video, e il protagonista rappresentato incarna due tipi di stereotipi. O quello del giovane eterno nullafacente o dell'adulto che si accorge di essere adulto e vive quindi una sorta di crisi di mezza età—particolare che, se ci si ferma a pensare all'associazione crisi di mezza età e trent'anni, fa quantomeno sorridere. In pratica, anche se interpretati da trentenni, questi video rappresentano quelli che nella realtà sono dei liceali e/o i nostri genitori se non avessero noi figli a rompere le palle.

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E se questa è la situazione di internet, il tutto diventa ancora più grottesco e confuso nella narrazione fatta dalla stampa e la televisione: nell'ultimo caso, per parlare per i "giovani" viene scelta gente che non era già più giovane quando i veri giovani erano ancora in fasce, con il risultato che, mediaticamente e non solo, non c'è nessun vero rappresentate degli effettivi "giovani". Allo stesso modo, sui giornali, l'argomento trentenni spunta fuori solo con allarmanti dati su come siano una generazione di incapaci, di sfruttati, di sfortunati, di choosy e disoccupati.

E qual è il motivo? Forse, semplicemente, siamo arrivati a un punto in cui dai giovani ci si aspetta così poco che è quasi legittimo prolungare quello stato di indefinitezza con cui si è scontrata la mia idea di trentenne. Se hai 23 anni e sai che "c'è tempo" non è così impossibile ritrovarti a 28 senza avere molto in mano.

Probabilmente sulla mia visione delle cose hanno influito quei mesi di nullafacenza che ho passato tra la fine del liceo e l'inizio dei primi lavori, che mi hanno portato alla smania di fare cose e accelerare. Probabilmente se avessi proseguito gli studi mi sarei reso conto in altro modo di questo scarto, o forse ci sarei arrivato soltanto più avanti. Quasi sicuramente, poi, la crisi ha cambiato molte cose. Ma sarebbe utile tornare a esigere un po' di più, tanto dai ventenni quanto dai trentenni, anche a costo di rendere molto meno liberatoria una frase del genere: i trentenni non sono giovani. Sono dei vecchi di merda.

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