Pay-Per-Beat: dentro al mercato sommerso del Soundcloud Rap
Producer Illmind. Foto di Peter Garritano

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Musica

Pay-Per-Beat: dentro al mercato sommerso del Soundcloud Rap

La sempre più diffusa pratica del beat leasing rende gli artisti più indipendenti, ma a quale prezzo?
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT
Elia Alovisi
traduzione di Elia Alovisi
IT

Questo articolo è stato pubblicato nel Music Issue 2017 di VICE magazine e Noisey. Parla di come vendere e comprare beat.

Taz Taylor non ricorda il nome del primo beat che ha dato in affitto sette anni fa, ma ricorda bene quanti soldi ci fece: 250 dollari. La traccia, assemblata su una copia prestata di Reason, il software di produzione musicale, in una camera da letto a casa di sua madre a Jacksonville, gli ha fatto guadagnare l'equivalente di un mese di lavoro come graphic designer agli inizi. All'allora diciassettenne non serviva altro.

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Poco dopo, Taylor impegnò tutto quello che aveva e si comprò monitor, mixer e tutto quello che serviva per trasformare la sua cameretta in uno studio base, divorando video tutorial e discussioni su forum online per imparare l'arte, e sfornando tracce fino all'alba.

I suoi primi beat, ammette, non erano un granché. Ma bastava la sua bravura nel venderli ad aspiranti rapper online dai 20 ai 200 dollari l'uno. Sei mesi dopo, questo ragazzino che non aveva nemmeno finito le scuole medie aveva già guadagnato circa 12 mila dollari vendendo la mattina tracce composte la sera.

"Mi ero stancato di sentirmi dire che non sarei mai stato nessuno", dice Taylor. "Quindi quando ho cominciato a fare soldi con un lavoro che mi piaceva, ci ho messo tutto l'impegno. È la mia unica opportunità".

Ora, a 25 anni, Taylor dice di aver guadagnato oltre 500 mila dollari l'anno scorso da beat noleggiati e venduti online; tra le sue ultime conquiste troviamo pezzi con Gucci Mane, Kodak Black e Big Sean. In agosto, Taylor ha portato sua madre a LA per firmare un contratto sostanzioso con Warner/Chappell's Artist Publishing Group che gli permetterà anche di continuare a vendere beat indipendentemente tramite il suo canale Internet Money ai suoi quasi 80 mila follower online. È tra i primi contratti di questo tipo.

Taylor fa parte di una fiorente scena di producer che hanno creato un'economia sommersa in continua crescita, nata da un panorama musicale democratico in cui chiunque abbia accesso a un software, una connessione internet e un account PayPal può muovere le proprie merci digitali. In un momento in cui i producer sono passati da dietro le quinte al centro dei riflettori, Taylor, i suoi pari e i mercati digitali che fanno loro riferimento sembrano essere stati in grado di fare quello che l'industria musicale tradizionale non è più riuscita a fare da 15 anni a questa parte: pagare le bollette.

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Mentre i producer mainstream devono dividere i loro profitti, aspettare mesi per un pagamento e rischiano di non vedere mai utilizzati i propri beat, gli internet producer come Taylor tagliano fuori l'intermediario riuscendo così a vendere qualunque cosa vogliano a chiunque vogliano nei termini che preferiscono—e il guadagno è immediato.

Una scena di producer su internet sta democratizzando il processo di produzione musicale e creando un mercato digitale affittando beat ad artisti emergenti e operando al di fuori dell'industria musicale tradizionale.

La composizione musicale sta adottando sempre più la comodità da un clic di internet e i beat sono solo un esempio di elementi di canzone prefabbricati che chiunque può acquistare e assemblare, insieme a voice tag, emulatori di strumenti ed effetti per la voce. Il web inoltre aiuta le collaborazioni in un modo del tutto nuovo, mettendo in contatto creativi da tutto il mondo e esponendoli a un pubblico più numeroso. Il risultato è una nuova frontiera dell'industria, tra anarchia e globalizzazione.

Il mercato dei beat market non è nulla di nuovo: la creazione, lo scambio e la modificazione di suoni tra producer e artisti fa parte della storia dell'hip hop. Anni prima che Napster e la pirateria digitale rivoltassero l'industria come un calzino, rapper e beatmaker si ritrovavano in chat room su AOL e su siti come SoundClick, tra le prime piattaforme social in cui gli utenti potevano caricare e ascoltare file RealAudio di propria creazione.

Nei tardi anni Zero, SoundClick era alla guida del gruppo e si è evoluto in una specie di Myspace per producer e altri musicisti, con tanto di profili e una classifica che aiutava i producer a guadagnare maggiore esposizione. Con l'avvento dei social media, altri siti e piattaforme come BeatStars e MyFlashStore (ora conosciuto come Airbit) sono emersi per consolidare e capitalizzare questo fiorente mercato. Quando poi YouTube si è preso lo scettro dell'hosting, lo scambio online delle produzioni era ormai diventato un sistema economico di successo.

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Come ha rapidamente imparato Taylor, il processo di vendita di beat è piuttosto semplice: un producer carica una traccia strumentale su YouTube, sul proprio sito o su mercati social come BeatStars, dove aspiranti rapper e altri possono pre-ascoltare la traccia. Se all'artista piace, può comprarla immediatamente (si chiama "licenza esclusiva") per poche centinaia di dollari o, per una cifra più accessibile che va dai 15 ai 150 dollari, assicurarsi un "leasing" limitato che permette al producer di vendere il beat varie volte a vari artisti.

Mentre la tecnologia rende sempre più democratico il processo di produzione e la concorrenza investe il mercato, queste tracce sono sempre più spesso vendute come "beat tipo"—come ad esempio "beat tipo Drake" o "beat tipo 'Bad and Boujee'". L'idea è di far crescere la visibilità di una traccia associandola a un artista, canzone o producer famosi che probabilmente i compratori staranno cercando. Per alcuni producer non significa molto di più di una tattica di marketing per trovare orecchie affini alle loro produzioni originali; per altri, è un'opportunità per capitalizzare su un trend.

Oggi, affittare beat in leasing è diventato un inizio standard per rapper di poco successo ed emergenti, e questo ha rinforzato l'attuale generazione SoundCloud, e ora si sta facendo strada nel mainstream. Fetty Wap, Joey Bada$$, Bryson Tiller e Young M.A hanno tutti azzeccato almeno una hit con beat presi dal web. A$AP Rocky ha ammesso di aver scoperto la strumentale di una delle sue canzoni cercando "A$AP Rocky–type beat" su YouTube. Forse l'esempio più famoso è quello di Desiigner, che ha affittato e poi comprato il beat di "Panda" (venduto come "Meek Mill–Ace Hood–type beat") per 200 dollari, raggiungendo poi con quel pezzo direttamente il numero uno in classifica che lo ha fatto arrivare da sconosciuto a un contratto con la G.O.O.D. Music di Kanye West, mentre il producer del beat, Menace, ha firmato un fruttuoso contratto di licenza.

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Ma altri dicono che il successo di gente come Taz Taylor e Menace sono l'eccezione che conferma la regola in un mercato saturato da producer da cameretta che cercando di fare due soldi imitando lo stile altrui. È un sentimento condiviso anche da Menace.

"A causa di casi come il mio, tutti pensano di poter avere successo", ha detto il 23enne di Manchester, che dopo "Panda" (aprile 2016) ha lavorato su altre due produzioni mainstream. "Il mio consiglio per i producer che vogliono davvero farcela in questa industria è che creino il loro brand. Devi parlare con i pezzi grossi. Alcuni producer hanno semplicemente fortuna". Il risultato dell'economia del leasing dei beat tipo, dicono i critici, è simile a quello della fast fashion: il mercato è saturato da prodotti mediocri, i prezzi crollano e i producer sono costretti ad assicurarsi i clienti con flash sale e offerte prendi-due-paghi-uno.

Sette anni fa, Taz Taylor ha cominciato ad affittare beat creati con software prestati. Oggi ha un contratto con una major e dice di aver fatto 500mila dollari l'anno scorso dalle vendite e leasing online. Foto di Ryan McFadden.

"C'è senza dubbio un fraintendimento, si pensa che sia la strada per farsi scoprire", dice Illmind, producer di Brooklyn che ha lavorato con artisti come Drake, Kanye West e J. Cole. "È come avere una stampante di biglietti della lotteria in casa. Non faccio altro che stampare biglietti. Più biglietti stampo, più alta è la percentuale… [Ma] penso che un fattore importante sia quanto tempo ci dedichi. Se lavori part-time, hai risultati part-time. Fare così tanti beat e venderli ad altrettanti rapper indipendenti, quello è stato il mio allenamento".

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Illmind ha investito nel mercato delle produzioni vendendo drum kit online. Questi pacchetti di suoni, chiamati Blap Kits, sono diventati una risorsa fondamentale di suoni di batteria, kit e sample per producer dall'underground al mainstream.

"[Il leasing di beat tipo] ti identifica immediatamente come non-speciale negli occhi degli altri", dice Illmind. "Ti fa notare da tutti quegli artisti che cercano 'beat tipo Drake' invece di fare qualcosa di originale". Il suo probelma, dice, è la trasformazione dell'arte in qualcosa di triviale, commerciale, che crea sonorità omogeneizzate e tarpa le ali ai producer con ambizioni più alte.

"Penso che si stiano isolando da soli. Se sono un producer e vendo un beat a qualcuno, si tratta soltanto di una transazione economica", dice. "Non ho nemmeno sentito che musica fai; non so se sei bravo o no. Potrebbe piacermi o farmi schifo. Ma mi sono già impegnato a soddisfare i tuoi bisogni. E l'unica cosa che ci ricavo sono dei soldi. E nemmeno tanti soldi".

Illmind e altri, come il veterano 9th Wonder, hanno scatenato un intenso dibattito su Twitter dopo aver sfogato le proprie preoccupazioni sul fatto che il modello di vendita di produzioni online stia trivializzando il suono e il processo creativo, una posizione a cui Taylor si oppongono. Taylor, che ha lanciato il canale e collettivo Internet Money in parte per sostenere e istruire altri producer online, sostiene che il lavoro dei producer su internet sia di poco diverso da quello delle loro controparti mainstream, che confezionano beat per gli artisti con cui vorrebbero lavorare. La differenza, dice lui, è che l'indipendenza dà a tutti uguali opportunità.

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"Chiunque può trovarsi dove sono io se s'impegna e si concentra sul marketing. Non è la bontà dei beat; è il branding", dice Taylor. "Non sono un'eccezione alla regola. Posso farvi 30 nomi di persone che guadagnano oltre i sei zeri online. Tutti vengono dal nulla".

Illmind, who produces beats and also sells beat kits that help others to do the same, said he's worried that the beat-leasing marketplace is cheapening the sound and process. Photo by Peter Garritano.

Alla radice del dibattito ci sono i problemi di un mercato non regolato, in cui i contratti e le condizioni d'uso non sono sempre curate a norma di legge—se c'è un contratto in primo luogo—e non vengono pagate tasse di alcuna natura. Anche Taylor ha ammesso di avere imparato le regole del gioco solo dopo un paio d'anni, ed è finito a dover ripagare delle tasse di cui non sapeva nulla. Nonostante il leasing sia un'opzione piuttosto comune, chi ha un'esperienza formale nel'industria musicale sostiene che sia una pratica discutibile. Il termine stesso è una forma bastardizzata dei tradizionali accordi di licensing, che sono comunque vulnerabili e possono presentare mancanze e imprecisioni. In genere, accordi come questi reggono solo se chi li stringe ha usato il sito giusto o si è consultato con avvocati adatti—e se sei un ragazzino di sedici anni che vende beat per comprarsi un po' d'erba, probabilmente non è il tuo caso.
Ma il mercato sta cominciando a rendersi conto di tutto questo, e si sta quindi adeguando. Molti ora usano degli accordi standardizzati, generalmente divisi in due forme: il limited lease ("prestito limitato") e l'exclusive lease ("esclusiva"). Non sempre, però, questi accordi sono legittimi allo stesso modo; alcuni contratti sono stati vagliati da avvocati, mentre altri vengono copiati e incollati prendendo testo da accordi trovati in giro. Altri ancora vengono compilati dopo qualche ricerca su Google.

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"Un normale produttore che opera su SoundCloud noleggia i suoi beat, ma nessuno usa davvero dei contratti"; ha detto il producer di Chicago Icytwat, membro del collettivo rap Divine Council. "L'artista guadagna molto di più se qualcuno mette il brano su un sito di streaming. Il che crea un problema tra producer e artista. Molti degli artisti che noleggiano le produzioni non sanno niente, a livello legale, soprattutto che i produttori dovrebbero essere pagati sia per l'uso del pezzo che per gli streaming".

Abe Batshon, fondatore di BeatStars, spera di poter cambiare le cose. Il suo è un mercato online musicale, lanciato nel 2008, ed è stata la prima piattaforma nella sua categoria a introdurre l'utilizzo di contratti formali, accordi di licensing e modelli di pagamento. Oggi è una sorta di emporio per il mondo della produzione musicale online. I suoi servizi stanno andando a coprire molte delle mancanze del mercato contemporaneo, tra cui il modo in cui funziona la monetizzazione su SoundCloud e YouTube e l'utilizzo di etichette proprie da parte degli artisti. Batshon vorrebbe che BeatStars diventasse "l'eBay o l'Amazon dei beat".

"Le regole sono cambiate, no?", ha detto. "Nessuno resta ad aspettare i talent scout. Nessuno aspetta più di trovare un publisher che gestisca i suoi pezzi. Siamo all'inizio della nostra era d'oro—l'era della scoperta dei beat, dei producer liberi e della legittimità del ruolo del producer. È eccitante."

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Batshon ha un passato da musicista, e ha abbandonato il mondo dell'hip-hop underground per dedicarsi al mercato della distribuzione globale e del marketing. Lavora per il gruppo INgrooves, e ha contribuito a scoprire e rappresentare artisti come Killer Mike e Macklemore. Lì, ha sviluppato le conoscenze che ha poi applicato in BeatStars, progetto nato per pura passione.
Quest'anno, BeatStars sta per raggiungere vendite per 12 milioni di dollari. Ha 600.000 utenti registrati e riceve circa 3 milioni di visite uniche ogni mese. Grazie al suo modello di membership, dice Batshon, l'azienda è sempre stata in guadagno—non una cosa semplice, dato che piattaforme come SoundCloud e Spotify, che hanno un pubblico considerevomente più ampio, faticano a generare profitti.

"Penso che ci sia ancora una mancanza a livello di educazione, per quanto riguarda il modo in cui operano molti producer", ha detto Batshon. "Molti producer vogliono solo fare beat. Non sono interessati a venderli, vogliono solo caricarli su SoundCloud e sono felici, giusto? Credo ci sia ancora un enorme segmento della comunità che non vende i propri contenuti online, e ci sono ancora molti artisti bloccati su un modo tradizionale di fare le cose. Non sanno nemmeno di poter comprare beat online". Ma i soldi sono solo una parte del discorso. Alcuni producer entrati nel mainstream grazie a singoli di successo si sono dovuti scontrare con curve di apprendimento piuttosto ripide.

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"Sarò onesto, non credevo che quel beat avesse grande potenziale, ma si è trovato al posto giusto nel momento giusto", ha detto Menace della sua hit "Panda". "Dopo quel brano mi sono trovato a nuotare in un mare pieno di squali."

Molto prima che "Panda" vincesse quattro dischi di platino e venisse nominata ai Grammy, Menace faceva già circa 50.000 dollari all'anno noleggiando e vendendo i suoi beat. Ma la sua scaltrezza nel mondo del marketing di base che lo aveva avvantaggiato in quello spazio non gli è servita a niente quando si è trovato a confrontarsi con i grandi del mercato. Quindi sta ricominciando da capo—sta imparando le regole e le strategie del gioco, come costruire relazioni, e soprattutto a essere paziente.


Siamo ancora all'inizio, ma il mercato del beat-leasing continua ad evolversi. E mentre altri attori si uniscono al gioco, la concorrenza si fa sempre più spietata. "L'invidia è al massimo", dice Taylor, spiegando che gli scontri online tra producer diventano sempre più spesso vere faide, con i rivali che comprano "dislike" ai video YouTube per diminuire la loro influenza, e il traffico clandestino di kit e strumenti vari.

Altri dicono che forse è per questo che questa pratica è poco lungimirante, perché sposta il peso dalla qualità alla quantità e non premia l'innovazione e la creatività. "Non ci sono regole, non ci sono contratti", dice Illmind. "Siamo nell'epoca dello swipe—mi piace questo, non mi piace quello. Penso che sia il vero motivo per cui il leasing sia diventato così diffuso oggi. Perché vuoi tutto subito! Ma finisce per essere solo un rigurgito. Sono due totali sconosciuti che s'incontrano in un punto, e molta della roba prodotta è spazzatura. Non tutta però. Il bello della tecnologia è che qualcosa tra tutta quella merda potrebbe essere magico. La crema resterà in superficie".

Ciò che si perde e che si guadagna da questa nuova economia, e il paradosso della musica come prodotto e come comunità, si estende ben oltre il mondo della produzione di beat fino all'industria nella sua essenza. È al centro dei dibattiti che circondano le licenze emesse da Spotify per l'audio senza royalty, e le lotte di piattaforme dal basso come Soundcloud per restare a galla. E per quelli come Taz Taylor, lì sta il bello.

"Louis Vuitton per caso si preoccupa di quanto costa la roba da Walmart? La gente ha figli e bollette da pagare. Non sta a me decidere come un'altra persona si guadagna da vivere", dice. "Da quand'è che ci sono delle regole su queste cose? È per questo che facciamo le cose su internet. Perché non ci sono regole".

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