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L'abolizione delle tasse sulla prima casa è una fregatura per i giovani

Anche se il governo ne va molto fiero, l'abolizione di IMU e TASI sulla prima casa avvantaggia molti, ma non tutti—specialmente i più giovani, che una casa di proprietà non ce l'hanno.

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione

con Hello bank!

"Se c'è una cifra del nostro governo è il fatto che per la prima volta nella recente vicenda repubblicana le tasse vanno giù in modo sistematico, costante e per molti anche sorprendente: è un dato di fatto." Con queste parole il premier Matteo Renzi ha annunciato la legge di stabilità 2016, il testo che governerà il budget del settore pubblico per l'anno a venire. Parole confermate dal Ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, secondo cui grazie alle misure contenute nella manovra la pressione fiscale—cioè la percentuale di reddito nazionale che viene utilizzato ogni anno per pagare le tasse—calerà al 42,4 percento, contro una stima precedente del 44,2 percento. Tra queste misure, le più rilevanti e criticate sono la completa abolizione dell'IMU e della TASI sulla prima casa—ad eccezione delle case di lusso e dei castelli—che costeranno alle casse pubbliche circa 3,7 miliardi di euro.

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Ad agosto, rispondendo alla lettera di un lettore de l'Unità, lo stesso Matteo Renzi aveva osservato che, "smettere di tassare la prima casa è giusto e anche equo in un Paese dove l'81 percento degli italiani ha sudato per acquistarsi un'abitazione." Un dato che in realtà è da rivedere leggermente al ribasso, visto che secondo i calcoli del rapporto "Gli Immobili in Italia 2015" dell'Agenzia delle Entrate, le famiglie italiane che vivono in una casa di proprietà sarebbero il 76,6 percento, mentre almeno 3,2 milioni di case sarebbero adibite all'affitto principalmente per lavoratori e studenti fuori sede. Le stime della Banca d'Italia, invece, sono ancora inferiori: secondo l'ultima indagine sui bilanci delle famiglie italiane, il 67,2 percento di queste ha una casa di proprietà mentre il 21,8 percento è in affitto.

Ma, insomma, il concetto è chiaro: l'abolizione di IMU e Tasi sulla prima casa avvantaggia molti, ma non tutti—in particolare, la misura avvantaggia quegli italiani che di fatto hanno a disposizione una "prima casa" di proprietà. Si tratta innanzitutto di persone relativamente ricche rispetto alla media: infatti possiede una casa di proprietà circa il 91 percento di chi guadagna oltre 42.547 euro l'anno, ma solo il 34,7 percento delle famiglie con un reddito inferiore a 14.457 euro annui. Queste famiglie, che nella maggior parte dei casi vivono in affitto, continueranno a pagare la TASI secondo la quota stabilita dal comune di residenza—a meno che l'inquilino non abbia spostato la propria residenza nella casa in affitto.

Insomma, molti studenti fuori sede in regola e molti giovani lavoratori che vivono in affitto dovranno continuare a pagare la TASI. Sono dunque proprio i contribuenti più giovani, i cosiddetti millenial, a essere penalizzati dalla decisione di abolire IMU e TASI sulle prime case—perché per lo più non possiedono abitazioni. In media, infatti, oggi ai millenial servono oltre 12 anni di reddito per potersi permettere di acquistare un'abitazione.

È per questo che—sempre secondo l'Agenzia delle Entrate—dei 24milioni di italiani che posseggono un'abitazione solo 810mila hanno tra i 21 e i 30 anni e solo 77mila meno di 20 anni. Insomma, i giovani rappresentano non più del 3,5 percento dei proprietari di case in Italia, e in media queste case valgono meno della metà di quelle possedute da chi ha 50 anni e più. Di conseguenza, in termini assoluti il taglio delle tasse sulla prima casa va a beneficiare più che proporzionalmente gli ultra 50enni e solo marginalmente chi ha meno di 30 anni, anche nei rari casi in cui questi possiedono un'abitazione.

Così, la manovra redistribuisce un carico fiscale da 3,5 miliardi di euro a favore dei cittadini più anziani e dei più ricchi—il tutto mentre sempre più giovani sono disoccupati, non hanno una casa di proprietà e hanno pochi mezzi a disposizione per sostenere il proprio reddito—soprattutto quando si tratta di disoccupazione di lungo periodo. E non è nemmeno la prima volta che questo accade: ad esempio secondo la Banca d'Italia, quasi il 40 percento dello stanziamento per il bonus degli 80 euro è andato a famiglie con un reddito sopra la media nazionale, mentre solo poco più del 10 percento è finito nelle tasche dei lavoratori dipendenti con redditi più bassi—una categoria dove spesso si annidano proprio i lavoratori più giovani.

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