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Metanfetamina su tela

Zefrey Throwell ha creato una serie di opere mischiando le ceneri di suo padre e la crystal meth.

Una delle opere di crystal meth e ceneri del padre di Zefrey Throwell. Tutte le immagini per gentile concessione dell’artista.

Saper gestire la perdita di qualcuno che amiamo è difficile. E se l'apoteosi della commemorazione potrebbe consistere nella trasformazione del caro estinto in un diamante che decori il caminetto, credo concorderemo tutti sul fatto che è più probabile ricordare qualcuno con affetto se viene cremato, i restanti pezzetti del suo cranio vengono polverizzati e mescolati con crystal meth e il miscuglio viene traformato in un'opera d'arte che da una parte rende onore alla memoria del defunto, e dall'altra fa riflettere sulla dipendenza dalle droghe.

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È proprio quello che l’artista americano Zefrey Throwell ha fatto nell'ambito del suo ultimo progetto, "Panic in the Chalk Cave", una specie di raffinato epitaffio per suo padre, morto di overdose sette anni fa. Il catalogo delle opere di Zefrey include anche una bisca di strip poker nel distretto finanziario di New York, per sottolineare le ingiustizie della cultura che mette al centro i pezzi grossi delle banche (stranamente, circa una settimana prima che il movimento di Occupy spuntasse fuori proprio dietro l’angolo) e far incazzare un sacco di gente al Whitney Museum of American Art di New York. Mi sembrava un tipo divertente, quindi ho pensato di chiamarlo per fare quattro chiacchiere sul suo lavoro.

Zefrey si diverte al volante.

VICE: Ehi Zefrey. Come hai trasformato ceneri e metanfetamina in un'opera d’arte?
Zefrey Throwell: È un processo molto simile alla serigrafia. Per prima cosa, ho preso le ceneri di mio padre. Ma la cenere era composta anche da grossi pezzi—c’erano un femore e una mandibola e le parti che non si sono polverizzate quando l’hanno cremato, quindi ho dovuto prendere mortaio e pestello per schiacciarle. Le ho mescolate con la droga e poi ho serigrafato della pittura bianca su una tela bianca, in modo che il miscuglio, una volta setacciato, rimanesse attaccato dove la vernice era umida.

Perché hai scelto proprio quei ritratti?
Volevo mostrarlo durante tutto il corso della sua vita. Mio padre ha vissuto una vita davvero fuori dagli schemi, ma volevo mostrare ogni parte di lui. I ritratti vanno da lui a sette anni a quando è morto d'overdose a 59. Ha lasciato la scuola a 15 anni e a 20 era tossicodipendente, viveva la sua gioventù a San Francisco. Poi ce n’è una di lui quando ha incontrato per la prima volta mia madre e una di lui che mi tiene in braccio in uno dei rari momenti in cui c’era. E le restanti sono di lui in veste di motociclista negli anni Settanta e Ottanta, alcune di quando la sua salute ha cominciato ad andare a rotoli e una di un’ora prima che morisse.

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Immagino tu abbia avuto rapporti piuttosto tesi con luiil progetto è stato una specie di catarsi, un modo per superare questa cosa?
Sì, non era facile convivere con lui—era molto violento e sfrenato. Non l’ho visto molto quando ero piccolo, ma ho cominciato ad andarlo a trovare da adolescente. Ricordo che mi piaceva perché era pazzo; mi portava nei bordelli e mi ha comprato un coltello a serramanico quando avevo 12 anni. Allora ricordo di aver pensato, "Accidenti, è molto più divertente della mamma!" Ma poi ha cominciato a fare più cazzate, tipo non presentarsi ai compleanni e roba simile…

Sì, immagino i pro e i contro.
Già. Dopo la sua morte pensavo di stare bene, ma dopo circa cinque anni in uno strano stato emotivo sono iniziate a succedere delle cose. Ero a una festa e cominciavo a piangere a caso, quindi ho dovuto lavorarci su per capire cosa diamine stesse succedendo e perché avessi quei crolli. Ma è stato decisamente molto terapeutico.

Quanta metanfetamina hai usato per l’opera?
Ci sono due domande a cui non rispondo. La prima è, “Dove hai preso la droga?” Me lo chiedono tutti, il che è strano perché non è difficile trovarne. La seconda è quella che mi hai appena fatto. Ce ne ho messa un po’, ma è soprattutto cenere.

Ci si potrebbe sballare con uno dei tuoi quadri?
Be’, dipende da quanto sei dipendente. Dovresti fumarti un bel po' di mio padre, prima.

Mi potrebbero accusare di possesso di droghe se andassi in giro con una delle tue opere?
È una domanda interessante. Una delle cose che preferisco in questa mostra è stato il fatto che, quando ho spedito i quadri in Germania, le droghe non sono state un problema, ma lo sono state le ceneri. Ci sono delle leggi specifiche riguardo a come gestire i resti umani dopo la Seconda Guerra Mondiale. “Ah, c'è della droga—va be',” ma la cenere era un problema. Invece, negli Stati Uniti si sono tutti concentrati sul fatto che ci fosse della metanfetamina. È una differenza culturale interessante.

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Quanto ha lottato tuo padre con la tossicodipendenza?
Quando ero più piccolo era dipendente dall’eroina, poi è stato dipendente dal metadone per anni e anni. Era tossicodipendente da quando aveva 15 anni, ma si è buttato sulla meth negli ultimi dieci, 15 anni della sua vita. Devi considerare quando la meth si è diffusa negli Stati Uniti—soprattutto verso la metà e la fine degli anni Novanta..

Quindi queste opere sono più un elogio a tuo padre o una testimonianza sulla dipendenza dalle droghe?
Buona domanda. Credo sia un modo per mostrare l’intera parabola della dipendenza da droghe, invece di, tipo, un genitore, uno sbirro o un insegnante che dice ai bambini “Non fate uso di droghe!” I ragazzi non li ascoltano. Credo sia particolarmente efficace per gli adolescenti che sono nell’età in cui si chiedono, “La prendo o no?” Penso che vedere le immagini esposte in questa maniera, invece che in modo autoritario, sia un buon metodo per lasciare che la gente tragga le sue conclusioni.

Già. Ci vuole decisamente un occhio più neutrale rispetto agli altri media che trattano di meth, tipo Breaking Bad o la maggior parte dei film di Hollywood che l’hanno resa glamour o ne hanno esagerato gli effetti.
È buffo—quando ho fatto la prima serie, la gente mi diceva, “Oh mio Dio! Hai visto Breaking Bad?” E a quei tempi non l’avevo visto, ma poi l’ho guardato e, essendo stato a lungo tossicodipendente—ne sono uscito da otto anni ormai, mio padre ne è morto e mia sorella al momento è sfatta nel Nord della California—mi sembrava un po’ troppo strafottente e gioviale. Perché in realtà è davvero contorto. Hai visto Un gelido inverno?

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No, non l’ho visto.
È molto più accurato di Breaking Bad. Guardando Un gelido inverno pensavo, "È come vedere un documentario sulla mia famiglia."

Hai fatto anche un cortometraggio sulla crystal meth per la mostra, giusto?
Sì, il corto è su due ragazzi che si innamorano, diventano dipendenti dalla meth e cercano di viaggiare nel tempo con orgasmi simultanei. Il viaggio nel tempo non è quel genere di cosa hollywoodiana alla Ritorno al futuro, è più un black out di tre settimane; ti svegli e non hai idea di cosa sia successo—dove sono finiti tutti i tuoi soldi, dove ti trovi, ecc.

Time Stau

di Zefrey Throwell.

Orgasmi simultanei? Come ti è venuto in mente?
Mi sembrava interessante, tutto qui. Gli orgasmi simultanei sono piuttosto rari—almeno per me—ma quando capitano, è davvero un momento assurdo. C’è la sensazione di sospensione nel tempo per quei 30 secondi che dura, o quello che è. Voglio prendere quel prezioso, inestimabile momento ed estrapolarlo. Del tipo, “E se si potesse viaggiare nel tempo mentre succede?”

Ci hai provato?
Credo che i viaggi nel tempo siano una cosa relativa. Non è come tornare indietro nel tempo, è per lo più percepire il tempo che va avanti ma con un’altra velocità—una percezione empirica. Quando due ore sembrano un minuto, lo considero viaggiare nel tempo.

Per la tua opera Ocularpation: Wall Street, hai messo delle persone a giocare a strip poker vicino alla borsa di New York. Quale pezzo ha attirato più critichequello o Chalk Cave?
Probabilmente quello. New York è molto conservatrice—è uno dei pochi posti al mondo in cui se ti trovi di fronte a una sparatoria è un giorno come un altro, ma se qualcuno si spoglia per strada la reazione è, “PORCA PUTTANA! Chiamate gli sbirri!”

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Il tempismo è stato abbastanza incredibilecinque o sei settimane prima che Occupy si insediasse allo Zuccotti. Sai se il tuo lavoro li ha ispirati?
Ho lavorato a quel progetto per anni, poi quando c’è stato Occupy i media vi hanno portato un sacco di attenzione; è stato fantastico perché nessuno parlava davvero della riforma finanziaria, all’epoca. I banchieri erano segretamente tornati ai loro bonus esagerati e la cronaca non ne parlava affatto. Il mio scopo principale era portare all’attenzione dell’America e del mondo quello che stava succedendo, e ha funzionato; circa una settimana dopo la performance, quei tipi mi hanno contattato dicendo, “Stiamo mettendo insieme una protesta a Wall Street e vorremmo che ci aiutassi.” Così ho fatto.

Ti senti demoralizzato dalla sua relativa mancanza di successo?
Credo che Occupy abbia dimostrato che la rivoluzione può avvenire—che è possibile fare qualcosa. Prima di Occupy, la gente non la vedeva così. Credo che ai ragazzi più giovani sia stato insegnato che il capitalismo è l’unico sistema possibile, e che è un dono divino perché è l’unico che funziona. Ma non è vero, e penso che Occupy l’abbia evidenziato in maniera molto concreta.

Che progetti hai per il futuro?
Ho un progetto per la Biennale di Venezia intitolato The Croatian Architectural Reclamation Project. Venezia è stata costruita usando dei grossi alberi come palafitte a partire da piccole isole in una palude. Molti di questi alberi sono stati presi da foreste in Croazia e usati come mezzi per evitare che Venezia affondi, e ora sono alle prese col MOSE. Il CARP è un gruppo di artisti croati che visiterà con me Venezia e reclamerà la proprietà di pietra e legname.

Potete vedere altre opere di Zefrey sul suo sito.

Altre interviste per intenditori:

Ho intervistato un negazionista a proposito della sua nazi-arte