Spaghetti e banana, il tipico comfort food in Somalia

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Cibo

Spaghetti e banana, il tipico comfort food in Somalia

“Devi assolutamente completare il pasto con un pezzo di banana. Se non c’è, non è realmente completo.”

Fa freddo, il cielo è piuttosto plumbeo e qui a Toronto, nel quartiere di Rexdale, i residenti si stanno riversando nel centro commerciale dove si trova il piccolo ristorante somalo Hamdi, famoso per servire di tutto dalla braciola di capra con chapati, agli spaghetti.

Il proprietario dell’Hamdi si chiama Mohamed Omar, e se gli chiedi a cosa sia dovuta la popolarità del suo ristorante, lui ti dirà che, in parte, il successo ha a che fare con il processo di contaminazione a cui la tradizione gastronomica del suo paese è stata soggetta nel corso dei secoli. Durante il Diciannovesimo e Ventesimo secolo, infatti, la Somalia faceva parte dei domini coloniali prima britannici e poi italiani, e ancora prima dell’arrivo degli europei fungeva da porto commerciale per le spezie indiane. La cucina somala, di conseguenza, ha raccolto tutte le influenze gastronomiche esterne rivisitandole in piatti tipici che includono samosa, carne di cammello e pollo fritto.

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“I nostri clienti sono d’origine africana, asiatica e mediorientale. Alcuni anche di origine europea. Possiamo quindi dire che la nostra clientela sia decisamente vasta, e questo è dovuto alla grande influenza che tutte queste culture hanno esercitato sulla nostra cucina; questa caratteristica così multiculturale, li attrae.”

A dirigere la cucina dell’Hamdi c’è lo chef ventottenne Rashid Farah, che lavora al ristorante da ben 10 anni e supervisiona il piccolo (ma variegato) menù del locale. E sebbene Farah sostenga che un po’ di cose le abbia imparate lavorando al Pizza Hut di Toronto quando era adolescente, le sue nozioni di cucina più importanti le ha assimilate preparando cibo somalo.

“Mi piace un sacco imparare tutte queste cose nuove,” esordisce Farah. “Mi piace avere la possibilità d’immergermi non solo nella mia cultura ma anche, sempre attraverso la cucina, in quella indiana e mediorientale. Dopotutto, usiamo le loro spezie! L’arte culinaria somala attinge da quella degli altri, quindi prendiamo un pizzico di qui, uno di là, et voilà! È fatta.”

La maggior parte dei piatti dell’Hamdi viene accompagnato con una banana intera (non sbucciata), perché l’ubiquità di questa pianta, nella madrepatria, ha trasformato il frutto in un (quasi) obbligatorio contorno. “La Somalia vanta coltivazioni agricole e di frutta molto ricche,” mi spiega Omar. “Praticamente, in Somalia, ci sono banane ovunque. I banani crescono spontaneamente anche nei giardini delle persone. […] Giusto per darti un’idea migliore di quante ce ne siano, sappi che la banana è, ufficiosamente, il frutto nazionale somalo. Quindi, se vuoi assaporare un piatto tradizionale completo, devi per forza buttarci dentro un pezzo di banana, si tratti di pasta o carne di cammello. Se non c’è, non si più dire sia un piatto completo.”

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“Non solo è parte del pasto, ma spesso ti ritrovi a mangiarla 3 o 4 volte al giorno anziché solo una, di mattina. Io a volte la mangio come accompagnamento per il pranzo e per la cena. In sostanza, la mangiamo ogni volta che ci mettiamo a tavola.”

“Ha tutto a che vedere con la tecnica,” rivela Rashid sogghignando, mentre mi spiega quale sia il giusto rapporto banana-pasta. Si prende una banana, la si taglia a fette, poi si bucano i pezzi con una forchetta e li si mescola con i noodles e la salsa. Il piatto diventa così un amalgama bilanciato di caldo e freddo, dolce e salato e infine al dente e molle. Unite poi una buona dose di salsa di pomodoro e non saprà nemmeno di banana, ma ne conserverà l’aroma dolce. “Ai vecchi tempi la banana si usava non solo per la pasta ma anche per gli altri piatti. Le banane sono il frutto principale, e questo fa parte della nostra cultura. Abbiamo preso la nostra cultura gastronomica, l’abbiamo unita a quella italiana e questo è il risultato finale.”

Data la provenienza di natura coloniale degli spaghetti, ho chiesto a Omar se questo possa recare fastidi o malcontenti in generale a lui in quanto somalo, e quindi di un paese che ha vissuto gli strascichi del colonialismo europeo.

“Non ci vedo grandi problemi finché si rimane all’interno dei confini del cibo,” mi risponde. “Il cibo è gustoso e piacevole, e questo non mi crea problemi. Le tradizioni gastronomiche somale sono molteplici, così come lo sono le influenze. Non c'è solo la pasta. Abbiamo attinto da piatti e ingredienti non solo italiani ma anche indiani, britannici, mediorientali, arabi, africani e così via.”

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L'Hamdi è una delle mille sfumature di Toronto, che non a caso è conosciuta come la “Città dei Quartieri”.

“Toronto è fatta di comunità diverse,” aggiunge Farah. “Vi basta addentrarvi fra le diverse comunità per capire come sia fatta Toronto. Per esempio Etobicoke, Rexdale o Dixon presentano comunità somale, e lì troverete diversi ristoranti somali.”

Uno dei punti di forza maggiori di Toronto, infatti, è proprio il multiculturalismo (anche culinario). La diversità qui, sia essa in forma di panini portoghesi gargantueschi o salsiccia tibetana, non viene soltanto celebrata ma, soprattutto, “mangiata” in grande quantità. E per persone come Rashid Farah Toronto non è solo sinonimo di casa, ma anche di fonte d’ispirazione.

“Mi sento ispirato da Toronto, e trovare sempre nuove fonti d’ispirazione è di vitale importanza, quando sei uno chef. La varietà culinaria di questa città mi rende orgoglioso anche perché non è scontato altre realtà conoscano la cucina somala. Il cibo arriva dove le comunità hanno avuto modo di prosperare. E la nostra porta con sé una cultura davvero ricca.”