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Perché la Germania è l'unico paese europeo che se la passa alla grande

Abbiamo fatto qualche domanda ad Angelo Bolaffi per capire se siamo tornati all’epoca feudale, come sostiene Grillo, o se è il caso di smettere di incolpare la Germania se le cose vanno male nel resto d’Europa.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Il comitato di accoglienza di Angela Merkel ad Atene. Foto di Henry Langston.

Il 9 dicembre 2012 Angela Merkel era volata ad Atene per un incontro con il primo ministro greco Antonis Samaras. Il vertice si era tenuto in una capitale blindata, militarizzata da 7.000 agenti in assetto antisommossa e piena di zone rosse in cui era vietato manifestare. Nonostante il divieto, 70mila persone si erano riunite a piazza Syntagma per protestare contro la persona che una larga parte della popolazione greca considera il mandante morale per eccellenza della loro miseria.

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Alcuni manifestanti erano arrivati in piazza a bordo di una jeep con tanto di divise naziste; altri avevano bruciato sulle barricate le bandiere con la svastica e moltissimi avevano intonato una caterva di slogan anti-tedeschi. La giornata era finita con scontri piuttosto pesanti fuori dal Parlamento greco. Con ogni buona probabilità si è trattato di uno dei momenti più bassi non solo nella relazione tra i due paesi degli ultimi anni, ma nell'intero processo d'integrazione europea.

La crisi dell’Eurozona ha generato un’incredibile ondata di risentimento anti-teutonico che ha attraversato diverse capitali europee e ha accomunato ampi strati della politica e della società. La scorsa estate, tanto per fare un esempio, Beppe Grillo aveva pubblicato un post nel suo blog in cui prendeva di mira Matteo Renzi (o “l’ebetino di Firenze”, come lo chiama lui) per essersi recato dalla Merkel a Berlino: “Il pellegrinaggio ossequioso, subito dopo il loro insediamento, dei nostri primi ministri, come Rigor Montis e Capitan Findus Letta, presso la Merkel […] ricorda la ricerca della benedizione papale dei grandi feudatari del medio evo.” Grillo aveva poi caldeggiato l’uscita dall’euro perché “non possiamo morire per Berlino né fare la fine della Grecia per accontentare gli interessi tedeschi.”

A 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino e dalla ritrovata unità nazionale, la Germania—che “si era illusa di aver finalmente fatto pace con sé e col mondo”—è tornata sul banco degli imputati con l’accusa “di voler imporre all’Europa la sua idea di economia e il suo modello di società.” Recentemente è uscito un saggio, Cuore tedesco. Il modello Germania, l’Italia e la crisi europea, che analizza in profondità le dinamiche e il sistema dell’unico paese europeo che ha retto durante la crisi.

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L’autore, Angelo Bolaffi (filosofo della politica, germanista e direttore dell’Istituto italiano di cultura a Berlino dal 2007 al 2011), è convinto che la Germania abbia la “responsabilità storica di salvare l’Europa, dopo averla affondata due volte in passato” e che “liquidare definitivamente la questione tedesca significa […] costruire finalmente l’Europa.”

Ho deciso di fargli qualche domanda per capire se siamo tornati all’epoca feudale, come sostiene Beppe Grillo, o se sia il caso di smettere di incolpare la Germania se le cose vanno male nel resto d’Europa.

Illustrazione di Victoria Sin.

VICE: La Germania è unanimemente considerata la vera potenza dell’Europa. Come ha fatto il paese, che solo 15 anni fa era considerato il “malato d’Europa” ad arrivare in questa posizione dominante?
Angelo Bolaffi: È stato possibile grazie al combinato disposto di un sistema, quello che io chiamo il “modello tedesco”, basato su un certo tipo di relazioni industriali, un certo modello di welfare, un certo tipo di federalismo economico e politico. Al tempo stesso, le profonde riforme del governo “rosso-verde” guidato dal socialdemocratico S., hanno trasformato profondamente il welfare tedesco ma non lo hanno distrutto, come invece è avvenuto con la Thatcher in Inghilterra. Questo ha consentito alla Germania di rispondere positivamente alle tre sfide che aveva all’inizio del millennio: unificazione del Paese, unificazione europea e globalizzazione. La Germania è stata anche in grado di sfruttare la moneta unica, cosa che altri paesi (tra cui l’Italia) non hanno fatto.

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A proposito di moneta unica: la Germania da un lato è accusata di voler distruggere l’euro, dall’altra è considerata l’unica che può salvarlo.
Intanto bisogna dire che a proposito della Germania sono state dette un sacco di sciocchezze dovute a ignoranza e malevolenza. In realtà la situazione è molto semplice e molto complicata. Oggi, senza l’intervento della cancelliera Merkel e dell’appoggio dato al presidente della Bce Mario Draghi, l’euro non ce l’avrebbe fatta.
La Germania ritiene che il compito dell’Europa sia quello di unificarsi come continente per poter rispondere alle sfide globali. Pur essendo il paese più forte d’Europa, sa che da sola non può farcela. È troppo piccola: potente ma troppo piccola.
Si era pensato, con l’introduzione della moneta unica che la spinta del mercato avrebbe di per sé obbligato i paesi ad omologarsi, a riformarsi rendendosi più simili tra di loro. Ma questo si è dimostrato una delusione. C’è bisogna di una volontà politica, e quindi c’è bisogno di un paese che, anche se i tedeschi non lo sentono molto volentieri, prenda la leadership di questo processo.

Questo ruolo “egemone” della Germania può riportare alla mente periodi storici decisamente catastrofici.
Quella però era una Germania che non voleva costruire un’Europa. Era una Germania che voleva imporre se stessa come potenza nazionale contro altri stati nazionali. Ora il discorso è completamente diverso. La Germania è una potenza che ritiene che il suo futuro sia l’Europa, non se stessa, e che l’Europa sia anche il futuro degli altri. Nel libro uso il termine “egemonia” non nel senso di comando o imposizione, ma nel senso gramsciano del termine: essere cioè al tempo stesso potenza-forza e potenza-modello. Una cosa a cui gli altri dovrebbero tendere in quanto desiderabile, e non qualcosa che viene imposto dall’esterno contro la volontà degli altri.

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La Germania è sia il paese europeo che più contribuisce all’MES (il "fondo salva-stati"), sia quello a cui vengono addebitate le politiche di austerità applicate nei paesi mediterranei.
Il problema dell’austerità è che il debito pubblico di alcuni paesi è insostenibile, e non dipende dalla Germania. Il fatto nuovo è che la polemica contro l’Europa fatta con argomenti decenti, e non indecenti, viene da forze che un tempo erano europeiste. Queste forze ripropongono il modello keynesiano, il quale però presuppone che esistano stati nazionali, monete nazionali, una banca centrale nazionale che finanzi il debito stampando carta moneta. Ma questo è tutto un altro discorso: o si accetta il discorso europeo, o—con una certa coerenza, ma secondo me illusoria—si preferisce ritornare agli stati nazionali.

Uno dei portati più nefasti della crisi dell’euro è l’ascesa di partiti populisti se non apertamente neonazisti. Di chi è la responsabilità, secondo lei?
Un ragionamento che viene portato sempre avanti è che l’austerità abbia favorito i movimenti anti-europeisti. Ma come spieghiamo che Le Pen figlia prende gli stessi voti di Le Pen padre, che li prendeva quando non c’era la crisi? L’antieuropeismo della Lega è cominciato quando non c’era la crisi economica; è cominciato contro l’euro sin dall’inizio. Come spieghiamo il fatto che ci sono paesi non in crisi—come Austria, Olanda e Finlandia—nei quali ci sono movimenti antieuropeisti fortissimi?
Io direi che nell’avversione verso l’Europa sta emergendo un problema più profondo e pericoloso, più drammatico. I popoli europei esitano, per essere ottimisti, ad abbandonare lo Stato nazionale, quando non sono apertamente contrari. Io credo che per questo il futuro dell’Europa, almeno per quanto è dato prevedere, sarà un sistema misto in cui gli Stati nazionali continueranno a funzionare e noi dovremmo trovare un modo di ricollegare in maniera molto più forte i parlamenti nazionali, che ancora sono visti come luogo di espressione della volontà democratica, e il Parlamento Europeo. È una cosa lunga e difficile; e “parlamentarizzare” tutto non è una scorciatoia che risolve i problemi. Queste sono chiacchiere che dimenticano che nel 2005 il progetto di Costituzione dell’Europa federale, voluta proprio dalla Germania, è stato bocciato da un referendum popolare in Francia e in Olanda.

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Via Flickr.

La Germania è stata definita da più parti un "impero riluttante", non pienamente in grado di gestire la crisi europea. Si tratta d'incapacità o di non volontà della leadership?
Tutt’e due. La Germania ha molta paura perché, come dicevo prima, trovarsi in questa posizione è molto scomodo. In più, il peso del passato conta. Vedersi rappresentati ogni volta come nazisti—penso alla Merkel con i baffi di Hitler, ad esempio—pesa molto. Inoltre, questa classe politica non è abituata a sfide del genere, e può anche darsi che non sia all’altezza. La Merkel mi pare che si sia mossa abbastanza bene nella fase di salvataggio dell’euro. Adesso che si tratta di guidare l’Europa “col cuore” mi pare molto debole. Ci vorrebbe un Willy Brandt, qualcuno che faccia un gesto simbolico molto forte. E questo non mi pare nelle corde della cancelliera.

Per la prima volta nella storia del dopoguerra il fallimento dell’UE è uno scenario realistico. Quale ruolo dovrebbe o potrebbe avere la Germania nell’evitarlo? Sarà inevitabile andare verso un’Europa tedesca?
Sì e no. Nel senso che il modello tedesco secondo me è l’unico modello che può funzionare. È una democrazia che funziona, un sistema sociale che funziona, un sistema di relazioni industriali che funziona, un sistema di divisione dei poteri che funziona. Se questa dev’essere l’Europa Germanica, ben venga l’Europa germanica. Certamente, nei trattati di Maastricht e di Lisbona si privilegia il modello tedesco come il modello futuro dell’Europa: l’economia sociale di mercato, la stabilità monetaria, il controllo del debito e quant’altro.

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È anche difficile ricomporre tutte le divergenze che ci sono all’interno dei vari paesi per applicare questo modello, però.
Certo, il processo è estremamente lungo. Ad ogni modo, secondo me il modello tedesco è un modello che è maturato meglio dei altri, ha una consapevolezza superiore agli altri. Non a caso chi va lì ne rimane ammirato. Non c’è niente di male: ovviamente va articolato poi con le differenze culturali che caratterizzano l’Europa. Ecco, l’Europa non diventerà mai quello che sono gli Stati Uniti d’America, come c’è scritto nel dollaro: ex pluribus unum. L’Europa rimarrà un arcipelago di lingue e culture, strutturalmente più compatta, omogenea e culturalmente molto diversa. È questa la forza dell’Europa.

Alle ultime elezioni tedesche si è presentato il partito Alternative für Deutschland, un partito apertamente anti-euro e anti-europeista. È (o è stato) l’espressione di un certo sentimento anti-euro e anti-europeo in Germania?
Sicuramente c’è una parte della popolazione, ma questo fa parte della dinamica democratica, che ha rinunciato molto faticosamente al marco, e a un prezzo molto alto. C’è dunque una parte dell’opinione pubblica che ritiene di essere penalizzato dall’euro. L’unica cosa che mi permetto di far notare è che, a differenza di altri paesi, questo movimento non è rappresentato in Parlamento, mentre tutti si aspettavano una grande performance. Anzi, qualcuno addirittura sperava che entrasse in Parlamento, per confermare il proprio desiderio di un’immagine negativa della Germania. Inoltre, almeno a quanto si legge, questo movimento si sta distruggendo.
Ad ogni modo, l’Europa non è un pranzo di gala. Ci sono moltissimi interessi in gioco: prima era facile essere europeisti, era gratis. L’Europa ci toglieva dei problemi, delle rogne. Adesso ci pone dei problemi, perché dobbiamo fare delle scelte. E quando si fanno delle scelte bisogna decidere tra varie alternative. Sarà un processo faticoso e complesso, e non è detto che vada a finire bene.

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