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stili di gioco

A Zema'

Lo strano rapporto tra Zeman e la Roma, o meglio, tra Zeman e la gente di Roma.

Anche se il ritorno di Zeman a Roma è una di quelle cose capaci di mettere d'accordo tutti-oddio, quasi tutti, ma se le squadre di calcio fossero partiti, quanti elettori avrebbe strappato la Roma al Milan?-in realtà riguarda solo il tecnico boemo e la gente della città eterna.

Il valore simbolico di una simile congiuntura è ben descritto da Giuseppe Sansonna, barese che seguiva il Foggia di Zeman allo Zaccheria, nel suo libro Un Marziano a Roma (minimumfax): "Il campionato italiano ha smesso da qualche tempo di autoincoronarsi 'il più bello del mondo.' Un soprassalto di pudore per una serie A piegata da un calcioscommesse endemico. Si vocifera di trame oscure gestite da temibili 'Zingari' con la compiacenza di tanti calciatori mediocri, giovani promesse e celebrati campioni a fine carriera. Puntualmente inclini a scommettere su tutto tranne che su se stessi."

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E mi sarebbe piaciuto iniziare citando-modificandolo dove necessario-l'incipit del racconto di Flaiano da cui prende spunto Sansonna, Un marziano a Roma, appunto. "Oggi un marziano è sceso con la sua aeronave nel prato dell'Olimpico. Cercherò di mantenere, scrivendo queste note, la calma che ho interamente perduta all'annunzio dell'incredibile evento, di reprimere l'ansia che subito mi ha spinto nelle strade, per mescolarmi alla folla. Tutta la popolazione della periferia si è riversata sul ponte Duca D'Aosta e ostacola ogni traffico. Debbo dire che la gioia, la curiosità è mista in tutti ad una speranza che poteva sembrare assurda ieri e che di ora in ora si va invece facendo più viva. La speranza 'che tutto cambierà'. Roma ha preso subito l'aspetto sbracato e casalingo delle grandi occasioni." Ma le cose non sono andate esattamente così.

Quando lo speaker lo ha presentato nel pre-partita di Roma-Catania, mettendo l'accento sul tanto atteso ritorno a casa, dall'Olimpico-quasi tutto esaurito, segno che la "speranza" e la "curiosità" sono comunque elevate-si è alzato il coro Ze-ma', Ze-ma', ma si è spento quasi subito, sfumato in un più classico incitamento alla squadra. Lo hanno chiesto a gran voce, a quella società di cui non sanno ancora se fidarsi, quando Luis Enrique ha dato le dimissioni-l'hombre vertical difeso sempre e comunque, anche quando l'utopia di un gioco offensivo e costruttivo aveva lasciato posto a un compromesso idiosincratico tra le sue idee e il cinismo reattivo del calcio italiano-ma ora preferiscono andarci piano. Un po' per l'orgoglio di una tifoseria che si considera migliore di qualsiasi allenatore o giocatore o Progetto per cui sta tifando (una variante del concetto di "maglia", una tifoseria che tifa il proprio tifo), un po' perché la religione di Roma è lo scetticismo (a forza di sentirsi l'uno migliore dell'altro non resta altro da dire che Sì vabbé sei mejo te), e un po' per le tre ragioni che si capiscono bene leggendo il libro di Sansonna, frutto di una settimana trascorsa a Riscone di Brunico, assistendo da semplice spettatore alla preparazione estiva della nuova Roma (nuovo anno, nuova Roma). Lo sguardo di Sansonna è attento e straniato tanto su Zeman quanto sul pubblico romano, un marziano tra i marziani, quindi (o forse, per essere più preciso, dovrei dire un marziano tra i plutoniani).

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1. Negli anni passati, a Roma, Zeman veniva rimpianto con prudenza, con frasi del tipo "Almeno con Zeman mi divertivo." Come lo Zeman dello spettacolo, cioè, ma anche dei quattro derby persi consecutivamente. Un ricordo agrodolce che non piace veramente a nessuno dei due. A Zeman, che crede davvero di essere vittima di un'ingiustizia cosmica prima che di sistema ("L'aura romantica, da perdente fascinoso, gli provoca l'orticaria. Non l'ha mai sentita sua. Se gliene parli sottolinea puntiglioso che, anche negli annali, le partite vinte superano quelle perse. La valanga di gol segnati è superiore alla pioggia di gol subiti"), e ai romani moderni che non si identificano fino in fondo in Venditti e in versi come quello citato da Sansonna: Il sogno non si avvera quasi mai (tratto dalla canzone dedicata all'amico ceco: "La coscienza di Zeman"). In questo senso, forse, il punto d'unione tra Zeman e la sua nuova tifoseria sta nella sottile spavalderia di quell'uomo dall'aria distinta e riservata. Quando l'anno scorso, nel periodo più difficile del Pescara e di Zeman-una serie di tre sconfitte consecutive susseguite alla morte precoce e assurda dell'amico, preparatore dei portieri e archetipo del portiere ideale zemaniano Franco Mancini, e a quella ancora più precoce e assurda di Pierpaolo Morosini, caduto al suolo a pochi metri dalla sua panchina-i giornali scrivevano che Zemanlandia era sparita. Lui commentò in conferenza stampa: "Ah sì, mo' ce lo faccio vedere io." Una spavalderia, diranno i maligni, che non sembra quasi aver bisogno di conferme, a cui basta una vittoria ogni tanto per alimentare il proprio fuoco quasi eterno. Ma la Roma non vince da troppo e ha forse bisogno di avvicinare il proprio stoppino al braciere rinvigorito di Zeman.

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2. Così, il tifoso romanista è attratto e respinto allo stesso tempo dallo Zeman-Don Chisciotte impegnato nella sua personalissima battaglia contro i Poteri Forti, l'anti-juventino per eccellenza, l'uomo tutto d'un pezzo che ha scontato sulla propria pelle, con dieci anni di esilio dal calcio che conta, il prezzo della propria coerenza. La pubblica utilità delle denunce zemaniane è ormai sepolta sotto anni di interviste in cui i giornalisti non dovevano fare molto per farlo parlare di errori arbitrali e alludere a presunti complotti, e dato che a 65 anni non si può parlare di ingenuità, ci deve essere un senso dietro la volontà reiterata di Zeman di cadere in tutte le provocazioni possibili. Ai tifosi della Roma piace poter alzare striscioni come  quello di domenica: In un calcio povero di uomini leali, non comprerete i nostri ideali, indossare magliette con su scritto Cambia il vento ma noi non cambieremo mai, fare cori contro la famiglia Agnelli e comprare sciarpe con su scritto Odio la Juve. Ma non passare sempre per fessi, e Don Chisciotte era un fesso. Il rapporto ambivalente della città nei confronti dei suoi martiri sta tutto nel siparietto tra Totti e Zeman in conferenza stampa, registrato e trascritto da Sansonna. A un giornalista che gli riporta una dichiarazione di Moggi: "Zeman è un buon allenatore che purtroppo si distrae sempre e perde l'essenza del calcio," il boemo risponde: "Se essenza di calcio è doping e comprare arbitri, allora sono molto lontano." E Totti, sottovoce, commenta sarcastico: "Continuamo così, mister."

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3. Secondo Sansonna i romani riconoscono in Zeman, come prima in Liedholm, "quel conducător che reclamano per mettersi un po' in riga," l'uomo nordico che proprio perché altro da loro possa guidarli (come è successo a Totti passato da crisalide in farfalla proprio grazie alle rudezze degli allenamenti zemaniani, perfetto rappresentante di quella media borghesia che "evoca le estati degli anni Cinquanta, le macchine in fila sulla vie del mare, stipate di parenti e cariche di sdraio e ombrelloni"). Perché "ne percepiscono lo smodato e incomprensibile amore per il lavoro. Osservano ammirati questo alieno che cura ogni dettaglio, che sistema con le mani ossute i birilli in campo, che ansima sul collo dei giocatori con la sua biciclettina, che tiene sotto controllo bioritmi e prestazioni fisiche." Lo Zeman dei gradoni e delle sacche d'acqua sul collo piace perché "Il torchio atletico boemo è una rivalsa per tutti i presenti." Di fronte a quello stesso pubblico che Luis Enrique deliziava con schemi che "ai presenti ricordavano l'animazione delle colonie estive," Zeman dichiara che la preparazione estiva non è un villaggio Valtur e a chi gli chiede se troppo lavoro non diventi stressante per i calciatori risponde: "Secondo me stress ce l'ha operaio che teme per proprio futuro." A Pescara abitava davanti al lungomare, dove i pescaresi "si allenano duro, eppure nessuno li paga." Zeman fornisce alla città il minimo indispensabile di etica per sentirsi a posto con se stessi e il loro posto non privilegiato nel mondo: far faticare miliardari in mutande solo per potergli rinfacciare, se si lamentano, i soldi che guadagnano (perché noi, se avessimo i loro soldi, saremmo molto meglio di loro-Sì vabbé sei mejo te).

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Il valore del libro di Sansonna -che, autore già di due documentari e un libro sull'uomo di Praga (raccolti sempre da minimumfax nel cofanetto  Due o tre cose che so di lui), lo conosce meglio di chiunque altro-risiede nella rappresentazione di un momento cardine, per la carriera di Zeman e per la Roma. L'idea di fondo (forse la speranza di Sansonna) è che lo Zeman di oggi sia diverso da quello del passato. Che predicare bel gioco per un pubblico di adepti zemaniani, che il culto della propria personalità invece delle foto-ricordo con le coppe in mano, non gli basti più. Che l'annata di Pescara abbia segnato una svolta. Quando il giorno della presentazione ufficiale della squadra, la Sud lo ha invocato con l'entusiasmo privo della paura di non fare risultato, Zeman ha ringraziato commosso. "Lo 'Spero che questo anno noi riusciamo a farvi divertire,' è il richiamo un po' inquietante alla vecchia dottrina. 'E voi riuscite a farci vincere,' ecco invece l'atteso aggiornamento, vibrato con durezza. Quanto basta per far refrigerare il pubblico boccheggiante. Finalmente si torna schiavi del risultati, pensano gli ultrà."

Nonostante continui a dichiarare di non essere ossessionato dalla vittoria, è chiaro che Zeman sia venuto a Roma per vincere (oltre al fatto che il lavoro di un allenatore deve essere giudicato e interpretato anche attraverso i risultati, sul lungo periodo e sul breve, non solo contando le partite vinte e quelle perse ma quali partite ha vinto e quali perso). Quando parla di ultima occasione è a questo che allude e, da parte sua, Roma non aspetta altro che vincere contro tutto e tutti. Una partita è poco per giudicare, soprattutto a inizio campionato con i carichi del lavoro estivo ancora da smaltire (perché la preparazione di Zeman "te sfonna," e mi riservo di scrivere di nuovo sulla Roma di Zeman in futuro), ma con il Catania si è capito che le cose non saranno così semplici per Zeman. I suoi dubbi su Lamela e Stekelenburg (Sansonna è stato bravo a individuare entrambi questi problemi già a partire dal ritiro; ma se forse c'è un ruolo in cui Zeman, salvo Mancini, non ha mai dimostrato grande dote di talent scout è proprio il portiere) rivelano una verità scomoda: Zeman è quel genere di allenatore il cui gioco richiede giocatori funzionali prima ancora che talentuosi. Ciò significa che potenzialmente (ma non è detto) Lamela potrebbe semplicemente non essere adatto ai tagli e al tipo di giocate, tutte in velocità, richieste dal gioco di Zeman. Il Catania di Maran difendeva con una linea da quattro e una da cinque, strette in pochi metri, a suo agio al limite della propria area (il bus parcheggiato di cui parlano gli inglesi) mentre guardava paziente la Roma passare da sinistra a destra e abile a scegliere i momenti in cui applicare un pressing uno contro uno (con un 4-3-3 speculare sulla carta a quello della Roma), partendo rapido con gli esterni in contropiede. Della Roma di Zeman si è visto poco e finché i giocatori non saranno in grado di alzare il ritmo è difficile che la magia zemaniana venga fuori dal niente. Zemanlandia non è stata costruita in un giorno. I pochi tackle testimoniano la mancanza di pressing della Roma (e quando ci ha provato, il Catania ne è uscito con una semplicità allarmante), soprattutto a centrocampo, dove De Rossi ha sbagliato molto (solo il 75 percento di passaggi riusciti e, credo, tutti quelli alti sbagliati, tranne l'assist per Osvaldo, certo…). Vedendolo mandare continuamente la Roma fuori ritmo veniva quasi da pensare che forse, lasciando che il City lo acquistasse, si sarebbe potuto prendere qualcuno di più adatto. Un esordio, è stato notato, non troppo diverso da quello di Luis Enrique lo scorso anno (1-2 contro il Cagliari) la cui sola nota positiva paradossalmente è proprio il risultato, il fatto cioè che la Roma sia stata in grado di recuperare due volte lo svantaggio, che abbia mostrato carattere e mentalità, non esattamente le caratteristiche che ci si aspetta da una squadra allenata da Zeman. Anche un anno fa la Roma uscì tra gli applausi generosi di una parte, forse la maggior parte, del pubblico, ma c'era già chi profetizzava uscendo dallo stadio: "con questo andiamo dritti dritti in B." La società e la Sud si sono dimostrate pazienti con Luis Enrique-anche quando, ripeto, del gioco dell'inizio non erano rimasti che i difetti, alla fine la Roma non faceva più possesso palla, non giocava più rasoterra di altre squadre e non per queste è diventata una squadra più matura-ma qualcosa deve essere successo se alla fine di un solo anno ha dichiarato: "Me ne vado perché sono molto stanco. (…) Ho speso tutta la mia energia."

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Conclusioni.

Nel racconto di Flaiano il marziano atterra a Villa Borghese il 12 ottobre del 1954. A Roma "c'è l'attesa del levarsi del sipario, resa più acuta da uno spettacolo che non conosciamo" e non si sa bene perché il marziano sia atterrato proprio qui. "'Ma che ci è venuto a fare?' ha detto un fattorino. Gli ha risposto un suo compagno: 'Vuoi mettere come si sta a Roma e come si sta su Marte? Tu ci staresti su Marte?' 'Manco morto' ha replicato il primo." La descrizione del marziano, atterrato forse per errore a Roma, andrebbe bene anche per Zeman: "alto, di portamento nobile, un po' malinconico." Il marziano veste "come uno svedese" e si chiama Kunt: se non fosse un marziano, cioè, sarebbe un uomo del nord.

Il marziano incontra il Sindaco, il Presidente della Repubblica e il Papa, gli viene offerto il "diploma di cittadinanza onoraria" e viene invitato a far parte della giuria del concorso di bellezza Miss Vie Nuove, seduto tra Moravia e Carlo Levi (anche Zeman, nel corso del ritiro di Riscone viene fatto salire sul palco del concorso di bellezza La più bella d'Italia). Il marziano ha "un corpo di segretari" per leggere le circa duecentomila lettere ricevute, quasi tutte di "inventori incompresi, donne deluse, bambini buoni. In una lettera, col timbro di Catania (sic!), hanno trovato una sola parola: cornuto. Ma arrivano anche lettere nelle quali si chiede al marziano di agire, presto, e lo si rimprovera di perdere un tempo prezioso. Già la delusione serpeggia." Il marziano ubriaco mangia spaghetti facendosi imboccare da un "popolare attore" davanti agli obiettivi dei paparazzi. Il marziano va con le prostitute di via Veneto. Il 7 dicembre, neanche due mesi dopo, cioè, "il marziano, inviato all'aeroporto di Ciampino per accogliere una celebrità cinematografica, è stato pregato dai fotografi di allontanarsi. Sembra infatti che la sua presenza in una fotografia ne pregiudichi la vendita presso le riviste illustrate. 'A marzia', te scansi!?' gli dicevano ridendo, ma seccamente."

Flaiano incontra il marziano in spiaggia e vorrebbe intervistarlo, ma si fa prendere dalla pigrizia e si limita a offrirgli un whisky. È sicuro che il marziano sia infelice. Una notte, poi, vede il marziano passeggiare per via Veneto all'altezza dell'Excelsior. Flaiano descrive il quadretto della notte romana di quei tempi (gente ai tavolini di un bar+un famoso principe egiziano+autisti di taxi che parlano di calcio, che Flaiano chiama "football"+vecchietto che vende le sigarette) parlando di "questa dolce Roma che mischia i destini più diversi in un giro materno e implacabile," ma quando il marziano attraversa la strada qualcuno lo chiama: "'A marziano!…' Il marziano si è subito voltato ma ancora una volta il silenzio è stato rotto e stavolta da un suono lungo, straziante, plebeo." Insomma, dei ragazzi nascosti dietro un'edicola gli hanno fatto una pernacchia. "'Mascalzoni!' ha gridato il marziano. Gli ha risposto una salve di suoni, prolungata, scoppiettante come un atroce fuoco d'artificio, che si è poi spenta in una corona di abili fiorettature."

Sansonna conclude il suo libro con considerazioni che somigliano a una preghiera: "Se i giocatori ingaggiati lo seguissero ciecamente, senza ammutinamenti, pigrizie e défaillance. Se l'Olimpico mantenesse il suo status di polveriera per tutto il torneo. Se gli avversari se la giocassero con lealtà, sul campo e fuori. Polverizzando complottismi, dietrologie e ingerenze presunte o reali dai famigerati poteri forti." Con la speranza che i bambini non si mettano a fargli le pernacchie da dietro le edicole, che nessun fotografo gli chieda di liberare il campo a Totti e Lamela: A Zema', te scansi?!, che nessuno si permetta di rivolgersi a lui dicendo: Se vabbé Zema', sei mejo te.

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