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Musica

La performance "interattiva" di Doom e Ghostface è un pacco colossale

Non è una performance e non è interattiva. In sostanza ci hanno fregati tutti quanti.

Foto di Rod Deal

Il festival III Points di Miami è una di quelle situazioni in cui si prova sempre a fare qualcosa di nuovo, spesso unendo musica e tecnolgia. Ne consegue che schermi, piramidi di neon e istallazioni sono il pane quotidiano di questo festival. Uno dei picchi tecnologici dell'anno è stato il progetto collaborativo DOOMSTARKS. La rassegna stampa, postata anche sul sito di DOOM, diceva che il rapper inglese sarebbe stato trasportato sul palco del III Points "in stile Star Trek", per ovviare alla sua decisione di non mettere mai più piede in USA dopo quella volta che gli negarono il visto nel 2010. Io e molti altri partecipanti al festival siamo arrivati dando per scontato che Ghostface e DOOM avrebbero rappato insieme in una specie di session via Skype.

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Per oramai più di un decennio, Ghostface Killah e MF DOOM ci hanno stuzzicati riguardo il loro album Swift and Changeable, buttando fuori tracce, EPs, e preview varie. Ultimamente, Ghostface ha rivelato che sarebbe uscito sotto il moniker DOOMSTARKS. Hanno fatto uscire un pezzo per la serie Adult Swim Singles che suona proprio come te lo immagini: un Ghostface in forze che rappa e sbraita sopra un beat jazzy, sconnesso e stordito di DOOM. Pertanto, all'annuncio che Ghost e DOOM avrebbero presentato proprio al III Points Festival le tracce di un album che ormai sà di leggenda urbana ai livelli di Detox, per giunta con una “performance unica e interattiva,” non mi sono sentito troppo scettico. III Points sembrava bello lanciato, e a quanto pare i DOOMSTARKS ci avrebbero suonato dopo Run the Jewels, come headliner. Non ci sembrava troppo illegittimo il fatto di pomparla un po'.

Gli avventori si sono tutti stipati nel posto dove si è tenuto il festival—una enorme galleria d'arte trasformata in sala concerti—in attesa di trovarsi su un set di fantascienza. Hanno fatto appena in tempo ad appizzarsi le canne che si è appizzato un enorme schermo con l'iconica maschera di DOOM fatta in CGI. Ha iniziato a roteare finché non si è trasformata in un piattissimo in fittissimo (anche se probabilmente molto vero) set alla Between Two Ferns di Zach Galifianakis, con DOOM in un DJ booth piazzato tra due palme, conciato con una maglia dei New York Islanders, la maschera, e una cuffia arancione.

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Al che, il nostro amico MC ossessionato dal cibo e dai cambi di nome ha iniziato a sparare riff jazzosi di piano e a "parlare" col pubblico, cercando di creare l'illusione che lui fosse in grado di vederci e la comunicazione fosse a senso unico. “Vi vedo,” ha detto, senza fornire nessuna prova a sostegno di questa affermazione. Al che ha messo su un po' di robe tropicali stile Miami, si è acceso un blunt, ha iniziato a sgomitare e poi se ne è andato, lasciando di nuovo posto alla maschera animata. Ma che era quella roba, una trollata?

Dopo due minuti è tornato con una boccia di Bacardi, sganciato qualche beat, pulito un paio di occhiali, e li ha inforcati sopra la maschera per guardare di nuovo nel vuoto…—AHEM—il pubblico. Poi di nuovo la maschera animata. Un altro po' di minuti, e una versione glitchata di DOOM è apparsa, immersa in uno spazio completamente buio, con un microfono, e ha rappato “Hoe Cakes,” in un evidente playback con montaggio da videoarte. C'erano parti del suo corpo che si allungavano e riaccorciavano con dei filtri digitali. Il suono era lo stesso dell'album, e il suo flow perfetto e immacolato. Ha fatto un paio di classici: "Kon Queso," "Gazillion Ear," e una strofa della sua collaborazione coi De La Soul, “Rock Co. Kane Flow.” Tra un pezzo e l'altro piazzava qualche “Put your hands up, Miami!” ma con una voce completamente diversa.

Ho chiesto a un fan dietro di me che sembrava molto contento che ne pensava, e lui mi ha risposto “Non pensavo ci sarebbe stato davvero DOOM, ma non mi aspettavo che sarebbe stato una merda del genere”. Nel frattempo gran parte del pubblico stava iniziando ad andarsene.

Il set si è conclsuo senza nessun nuovo pezzo, e lo schermo è tornato nero. Al che è uscito fuori Ghostface, che ha chiesto al pubblico quanti tra noi fumassero erba prima di buttarsi su “Ice Cream.” Il pubblico è esploso, dato che da oramai trenta minuti stavano annaspando per un po' di contatto con un vero essere umano. Mentre Ghost sputava rime, la maschera di DOOM sha continuato a roteare per lo schermo, continuando ad alludere a una interattività che proprio non c'era. Ghost ha quindi promesso a tutti che il disco arriverà quest'anno.

A quel punto si è lanciato in venti minuti di strofe sue, di Raekwon e Inspectah Deck, classsici del Wu come “Cream,” “Shimmy Shimmy Ya,” “Wu-Tang Clan Ain’t Nuthing ta Fuck Wit,” e un pezzo di “Cherchez La Ghost, da Supreme Clientele. Poi ha chiesto a tutti se sapevano quante volte fosse stato denunciato per dei sample, e ha elogiato Killer Mike per il suo set, e infine detto che siamo la sua famiglia, invitandoci ad unirci al mantra “One…two…three…PEACE." Chiudendo con, “abbiamo del merchandise in vendita.”

È stato un po' come andare al release party di due diversi greatest hits, durante il quale gli artisti non vogliono nemmeno convincerti a comprarli. Ho chiesto la sua opinione a un altro membro del pubblico, che mi ha detto: “Mi è piaciuto che DOOM abbia fatto un DJ set curato per l'occasione," he said "non fa tanta differenza averlo sentito in streaming, se è comunque in diretta.” Gli ho risposto che non mi pareva affatto live. La sua risposta è stata: “Be', avranno avuto problemi con l'interattività. Senza quella come lo mandi il messaggio?" Al che ho capito che se ne era fumate un paio. Insomma, ascoltare un concerto pre-registrato è una roba degna? Forse nel futuro di Star Trek lo sarà, ma non oggi.