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Get Out è come vorremmo che fossero tutti gli altri horror

Scappa - Get Out ha superato il finora imbattuto record di incassi di The Blair Witch Project​, ma non è solo per questo che vale la pena guardarlo.

Per parte della sua vita, Jordan Peele ha avuto un lato ufficiale e uno ufficioso. Attore e sceneggiatore, star di Comedy Central, erede spirituale di Dave Chappelle (anche se lui non direbbe così), Peele è stato Barack Obama, Martin Luther King, 50 Cent.

Insieme al suo più stretto collaboratore (Keegan-Michael Key) ha creato una specie di impero dello sketch con Key & Peele, una serie comica cominciata cinque anni fa e interrotta, per il disappunto di tutti, dopo cinque sole stagioni. Perché la verità—il lato ufficioso di Peele—è che lui ha sempre voluto fare i film dell'orrore. "I film comici a sfondo horror?" dice a questo punto il lettore malaccorto. "No, no, lettore malaccorto," gli risponde Peele. "Proprio i film horror e basta."

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Peele non è un turista del genere horror: cresciuto davanti a questi film, ne ha studiato da vicino la struttura per capire cosa facesse paura e perché. Ma si sa come va la vita: di mezzo ci si sono messi il college, una carriera di successo da attore comico, MADtv, la fine del contratto su MADtv, non sapere cosa fare del proprio futuro, non sapere cosa fare del proprio futuro, non sapere cosa fare del proprio futuro. È stato proprio in quest'ultima parentesi di otto anni fa, prima di Key & Peele, che è nato Scappa - Get Out, dando ragione al proverbio che ho appena inventato "scrivi un film horror e il mal di vivere ti passa." (Peele ne ha scritti tipo otto, in quel periodo, ma su questo punto torniamo più tardi).

La premessa è cristallina: Chris e Rose, coppia interrazziale, sono quei giovani belli e di successo che sembrano costruiti in un laboratorio e danno quindi un vago (o concreto) fastidio. Lui è un fotografo con un appartamento tutto orizzontalità e feng shui, lei non si capisce bene cosa faccia ma ha solo magliette che le calzano, ergo: ricca. Si amano e si rispettano. Ma i due stanno per andare a conoscere i genitori di Rose, e lei non ha mai portato a casa un fidanzato nero. Colpo di scena: i genitori sono liberalissimi. Altro colpo di scena: sulla loro abitazione aleggia comunque un'atmosfera di stranezza. Perché? Perché il film si era aperto su uno scenario completamente diverso. Con un personaggio—l'eccelso Lakeith Stanfield di Atlanta—che si aggira per un quartiere di ricchi, sentendosi fuori posto nel contesto suburbano, e che subito dopo viene rapito.

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L'angoscia che il prologo imprime nella nostra memoria è il motivo per cui, per un terzo della sua durata, Get Out può occuparsi di tutt'altro: inquadrare la coppietta, mostrarcela in viaggio e, infine, a contatto con gli Armitage (i genitori di Rose). Insomma, niente di cui preoccuparsi.

Prima ancora che venga raggiunto dall'elemento horror, Get Out ha come scopo primario quello di descrivere un mondo che si definisce post-razzista quando, chiaramente, non lo è. Tutte le interazioni in casa Armitage sono fatte di sorrisi tirati e parole messe al punto giusto al momento giusto, ma con un'inquietante mancanza di spontaneità. Le uniche persone di colore nelle vicinanze sembrano essere i domestici.

get out scappa il film

Una scena del film.

Quando poi l'horror inizia a filtrare nel resto del film, allora il "post-razzismo" compare anche su un piano più astratto e psicologico. Durante una sessione di ipnosi (no spoiler), Chris precipita in un luogo senza spazio né tempo che, oltre a provare la maestria di Peele e della sua troupe nel creare uno scenario innovativo nel contesto "horror del Duemila", ricopre una funzione molto importante. Il "sunken place" è infatti un luogo dove, ripercorrendo i traumi psicologici della tua vita, perdi la voce e l'identità.

Daniel Kaluuya, l'attore che interpreta Chris, l'ha descritto così: "Spesso è simile a essere una persona di colore. Non puoi dire quello che pensi veramente perché potresti perdere il lavoro, e rimani paralizzato nella vita. […] Perché molte persone, là fuori, non possono muoversi. Non ce la fanno a fare niente, non ce la fanno neanche a dar da mangiare ai propri figli. Non possono permettersi di curarli. Puoi rimanere paralizzato tutto il giorno e… non c'è niente di peggio. Ed è una sensazione che molte persone di colore vivono ogni giorno."

Il discorso sul razzismo sistemico e l'horror di Get Out sono due elementi indissolubilmente legati: senza l'uno o senza l'altro, il film non sarebbe mai esistito. Ma il pubblico può guardare il film a più livelli: può essere sia una metafora della società autoproclamatasi "post-razzista", sia il classico horror à la Wicker Man. Insomma, Get Out non sacrifica i salti sulla sedia in nome di un discorso altro: anzi. Peele lo motiva dicendo che, in fondo, "il mostro più grande che noi umani ci troviamo a combattere è la società."

Ed è proprio questo trattamento—non come metafora, ma come mostro concreto—ciò che dimostra la riuscita di Get Out come "film di genere." Un fatto comprovato dall'interesse e dal sigillo d'approvazione di Jason Blum, produttore horror che ha lanciato tutti i franchise di successo del genere (da Paranormal Activity a Insidious a The Purge), un veterano del settore che ha un istintivo fiuto per i film a basso costo che diventano casi multimilionari.

E Get Out non è un'eccezione: realizzato per meno di cinque milioni di dollari, una cifra irrisoria nella Hollywood del 2017, ha battuto una straordinaria serie di record. Non solo ha superato il finora imbattuto record di incassi di The Blair Witch Project per un film d'esordio, ma segna anche il primo regista afroamericano a guadagnare, con un film d'esordio, più di 100 milioni di dollari. A questo punto della sua vita, Jordan Peele potrebbe avere il potere decisionale per dirigere tutte le sceneggiature che aveva scritto alla fine di MADtv, quando era senza lavoro.

Si tratta di numeri enormi, che hanno senso solo nell'industria hollywoodiana e da nessuna altra parte, ma in questo caso ha importanza parlarne perché hanno una rilevanza particolare. Racconta sempre Peele che, nel sistema degli studios, leggenda vuole che "i film con protagonisti neri non vendano a livello internazionale." È un mito che ha permesso per molto tempo di continuare a ingaggiare protagonisti bianchi e che, ancora oggi, permette alle case di produzione di procedere a testa alta, cieche alle accuse di "whitewashing" [a.k.a.: "Tilda Swinton nel ruolo di un vecchio saggio tibetano mi sembra proprio un'ottima idea!"]. Il capitalismo è un mostro privo di scrupoli, ma non è sordo a un buon affare: se Get Out—un film di genere a basso costo che parla apertamente dell'esperienza di una persona di colore in Nord America—ha sbaragliato ogni aspettativa, potrebbe essere l'inizio della fine di quella leggenda.