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stili di gioco

Contro il calcio moderno

Che fine hanno fatto gli ultras? Un'intervista su curve, repressione e stadi vuoti.

Nel pezzo di due settimane fa sull'esonero di Zeman, parlando di Lorenzo Contucci lo definivo "un avvocato penalista che soffre di nostalgia per il periodo hooligans." Mi è stato fatto notare quanto fosse riduttivo parlarne in questi termini e per compensare ho deciso di fargli qualche domanda. Avvocato penalista, Lorenzo è anche webmaster del sito di informazione asromaultras.org, che dal 1999 raccoglie e cataloga enciclopedicamente tutto ciò che riguarda la Roma e il suo tifo. Per alcuni, la parte degli aggiornamenti, la più personale del sito, è la prima pagina da aprire al mattino. Parlando con lui ho cercato di capire qualcosa di più su quel mondo di curve e ultras che non conosco e non capisco del tutto.

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VICE: Ciao Lorenzo, forse il modo migliore per cominciare è chiederti di rettificare tu stesso quella definizione disgraziata.
Lorenzo Contucci: Be', credo che la definizione sia decisamente erronea! Se ho nostalgie, le ho per gli stadi pieni e colorati. Per tanti anni ho militato in curva Sud tra gli ultras e l’assioma ultras/hooligan è per la massima parte errato, nonostante il giornalismo—sempre alla ricerca di un folk devil—faccia esattamente il contrario. I tifosi inglesi, ad esempio, sono definiti automaticamente hooligans e per questo ricevono trattamenti ostili ovunque si rechino da parte delle forze dell’ordine. La percentuale di hooligans tra gli ultras è pari al 10 percento, forse meno. Da 14 anni, giorno dopo giorno, costruisco il mio sito asromaultras.org che, come si può vedere, contiene più di 160mila documenti e circa 15mila pagine, per coltivare la memoria storica della Roma sia sotto il profilo “calcistico” sia sotto quello del tifo. L’obiettivo è dare a ogni partita disputata dalla Roma dal 1927 ad oggi una foto o un articolo di giornale e debbo dire che sono davvero a buon punto, tanto che tutti i libri che parlano di Roma danno il “credit” al mio sito per il materiale che utilizzano. Tengo a precisare che credo sia rimasto l’ultimo sito che non ha pubblicità di alcun genere, nonostante riceva settimanalmente offerte commerciali che mi potrebbero consentire di smettere di fare l’avvocato e guadagnare solo con la gestione del sito web. L’equivoco può nascere da una lettura parziale dello stesso, poiché ci sono anche pagine in cui vi sono articoli di giornali che riportano la “cronaca nera” riferita ai tifosi della Roma, ma un sito a carattere enciclopedico come il mio intende catalogare tutto e quegli articoli di giornale servono a sociologi e studenti per comprendere la ragione per la quale la tifoseria della Roma sia considerata tra le più temute.
Provocatoriamente a volte inserisco immagini degli incidenti degli anni Ottanta, quelli sì veramente pericolosi, che avvenivano però al cospetto di stadi pieni fino all’ultimo scalino, segno evidente che non è la violenza, o almeno solo la violenza, a tenere lontani gli spettatori dagli stadi.

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Potresti spiegare a quelli come me che non ne sanno molto o a chi addirittura ne percepisce solo gli aspetti negativi cosa significa per te seguire la partita in curva e avere una mentalità da curva? È richiesta la conoscenza di un codice e la condivisione di alcuni principi morali di base o si tratta solo di voler sostenere la propria squadra cantando (preferendo magari dare le spalle alla partita per tenere un megafono in mano)?
La Curva Sud l’ho lasciata nel 2003 per spostarmi in Tribuna, non perché io sia cambiato ma perché era cambiato il mondo attorno a me. Adesso seguo la partita in Curva Nord, nella parte alta, tra vecchi ultras come il sottoscritto.

La partita la si segue in curva perché quando si è giovani non si hanno soldi per andare in altri settori e quindi si frequenta quello più popolare. A dire il vero mio padre non voleva frequentassi la curva quando avevo 18 anni e mi faceva l’abbonamento di tribuna, con il quale entravo regolarmente in Curva Sud. Frequentare la Curva Sud voleva dire far parte di una comunità di persone che pensavano ed agivano nel tuo stesso modo. I tifosi di Tribuna seguono la partita seduti, nel loro seggiolino numerato, quelli di curva in piedi, dove capita. Quelli di Tribuna non cantano e seguono più o meno passivamente la partita, quelli di curva cantano e partecipano in modo attivo. Quelli di Tribuna non seguono la squadra ovunque, gli ultras sì, o almeno fino a quando non è stata varata la tessera del tifoso.
Non è richiesta la conoscenza di un codice, perché quel codice lo apprendi frequentando la curva. Ci sono delle regole non scritte che valgono per i gruppi organizzati e che devono essere seguite, come accadeva nelle antiche tribù, in cui non esistevano codici ma tutti sapevano come comportarsi. Per poter esporre uno stendardo ci sono precise regole, per sedersi in balaustra altrettante. Di solito chi ha il diritto di starci è l’anziano del gruppo come anche il giovane che ha mostrato il suo valore per senso di appartenenza al gruppo e lealtà alla squadra. Gli ultras non sono come gli altri tifosi per il tipo di partecipazione. Io stesso per qualche anno ho visto la partita spalle al campo, con un megafono per guidare la folla: era per il bene della Roma che, se incitata correttamente, poteva dare di più. È stato un piacevole sacrificio, perché—come tutti—anche io amo guardare la partita. Però quando assumi un certo ruolo ti sacrifichi per il bene comune. I ragazzi riconoscono e imparano a rispettare le gerarchie di curva, e credo che per tutti gli appartenenti sia una forma di crescita sociale, l’ultimo straordinario esempio—fatte salve le tribù dell’Amazzonia—di socialità applicata sulla base della tradizione e dei codici di comportamento. Naturalmente vi sono dei principi morali da seguire e, tra questi, vi è senz’altro quello della difesa del proprio striscione e del proprio territorio ad ogni costo. Oggi molte tifoserie, Roma inclusa, non espongono più gli striscioni per via della repressione. Mettiamola così, è un problema di meno.

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Nella premessa del sito, in un testo in cui è specificato a chi intendi rivolgerti, dici “a chi contrasta il calcio moderno e gli ultras moderni.” Cosa intendi con ultras moderni e come è cambiato il mondo del tifo in questi anni?
Per ultras moderni intendo quella fase di transito che si è avuta più di dieci anni fa in cui sono comparsi in curva ragazzi che si definivano ultras ma che di ultras avevano ben poco se non l’aspetto esteriore. In primis, l’ultras non è fine a se stesso. È un supertifoso della propria squadra. Ha una sola bandiera, non ne ha altre. Molti ragazzi invece sembravano più essere ultras a livello comportamentale e solo per gli aspetti hooliganistici della questione che non per il reale sostegno alla squadra. Inoltre l’essersi proposti senza una adeguata gavetta faceva sì che i codici comportamentali non fossero conosciuti. Devo però dire che—come prevedevo—si sono sciolti come neve al sole, perché il vero ultras resiste anche alla repressione, animato da forte passione; l’ultras “moderno” non ha in cima alla sua lista di valori quella di seguire in un certo modo la sua squadra del cuore e quindi, se non si diverte più, lascia stare. Così è avvenuto. Oggi, con la durezza della repressione che con la scusa del tentativo di debellare il tifo violento ha stroncato anche il colore e il calore negli stadi, gli ultras che ci sono lo sono sul serio e mettono in gioco molto della loro vita e libertà personale.

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Pensi che a Roma ci sia più o meno pressione su dirigenza e giocatori rispetto a Milano, o Madrid?
Credo di sì e mi sembra che storicamente sia così. In effetti Roma ha decine di radio che parlano solo di Roma, altrettanti siti internet e pure trasmissioni televisive a tema. La maggior parte di coloro che seguono tali mass media neppure vanno allo stadio ma, con l’avvento dei social network, i pensieri sono amplificati e rimbalzati in pochi secondi in ogni angolo del globo. Quando non esistevano i moderni mezzi di comunicazione di massa, il tifoso si arrabbiava del rigore sbagliato da Osvaldo con l’amico del bar, ora lo fa con Twitter e Facebook e questo ingenera una spirale di inaudita portata. Roma è senz’altro una città particolare sotto questo punto di vista.

Che responsabilità hanno radio e giornali nella formazione di questo clima? Ho esagerato nel pezzo su Zeman o secondo te quella è una rappresentazione abbastanza realistica (fatta eccezione per l'avvocato con nostalgie hooligans…)?
Lo dicevo prima. La responsabilità è enorme ed hanno loro il pallino della situazione. I media di portata nazionale o anche una buona portata locale sono in grado di spostare l’opinione pubblica ed indirizzarla. Il problema è che tutti i media di cui si parla sopravvivono per ragioni economiche e/o politiche e quindi non si sa mai se un titolo è genuino o frutto di una scelta economico/aziendale. Per questo il mio sito non ha pubblicità: nessuno—se non io stesso—mi può dire cosa posso o non posso scrivere. Tutto sommato sono libero ed è per questo che ho guadagnato una certa credibilità tra i tifosi più radicali della Roma. Nel mio radicalismo c’è il rifiuto del mercimonio e quando stavo in curva questo principio era quello di base. I soldi sono la rovina di tutto.

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Leggendo il sito mi sembra di capire che ci siano due tipi di problematiche diverse, anche se ovviamente collegate tra la loro. Il primo tipo riguarda, diciamo così, la rivendicazione di un clima meno repressivo. Provvedimenti come la “tessera del tifoso” o il “daspo” sono serviti a qualcosa oppure no? C'è una relazione tra il fenomeno degli ultras (o i problemi che ne possono derivare) con gli stadi vuoti, o sono due cose distinte?
Su questo tema ho scritto un intero capitolo del libro a più mani Stadio Italia: la repressione è essenzialmente finalizzata all’importazione in Italia del modello statunitense di sport, ove il tifoso è consumatore e passa il tempo allo stadio vestendosi in un modo ridicolo nella speranza di essere inquadrato dal grande cubo che sovrasta il campo da gioco. Naturalmente ingozzandosi di pop corn e Coca Cola. Il tifoso ultras è l’ultimo ostacolo, perché—al contrario—vive lo spettacolo come partecipazione e rifiuta di essere indirizzato in un senso o nell’altro. Solo alcune tifoserie che hanno stretti rapporti con la Società lo consentono, in quanto ci sono risvolti economici. Ad esempio, il vero ultras non può accettare che una coreografia sia pagata dalla Società. Se la gente sapesse che la legge italiana è assai più severa di quella inglese in tema di reati da stadio, farebbe valutazioni ben diverse. Nel mio studio almeno una volta a settimana viene qualche genitore del tipo “bisognerebbe ammazzarli,” che poi quando si rende conto che per fatti non violenti e solo folkloristici il proprio figlioletto si trova con la fedina penale sporca e a firmare in un commissariato per cinque anni cambia radicalmente idea e dice “allora avevate ragione.” Il problema del daspo è che in Italia lo fa il Questore, all’estero un giudice. La differenza non è da poco, perché un giudice è terzo, il questore è di parte. Accade quindi che ieri mi scrive un tifoso del Mantova che mi dice di avere avuto un daspo di un anno (per inciso, avere un daspo comporta anche difficoltà nel trovare lavoro…) perché reo di aver fotografato le fiamme appiccatesi a un cipresso che si era bruciato per via dell’accensione di un fumogeno: non solo—ovviamente—è stato diffidato chi ha acceso il fumogeno, ma anche chi si è permesso di fotografare il povero albero. Per fare ricorso al TAR ci vogliono almeno 2.000 euro.
Se, quindi, concettualmente il daspo è una misura corretta, l’eccessiva dilatazione della possibilità di fare il daspo (che dovrebbe essere destinato a persone pericolose per la sicurezza pubblica) e il fatto che chi lo emette non è un giudice, ha fatto sì che da misura preventiva sia divenuta repressiva e ciò ha comportato l’incremento dell’odio nei confronti delle forze dell’ordine.
Basti pensare che può essere daspato anche chi per due volte nella stessa stagione non siede nel proprio seggiolino e che diverse volte ho difeso calciatori di serie inferiori (le questure non osano farlo in Serie A) che magari hanno litigato con un avversario dopo un contrasto di gioco.
Il daspo è corretto ma è applicato molte volte in modo ridicolo, prima ancora che il tifoso sia giudicato da un Tribunale. Il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio esiste solo per i politici.
La tessera del tifoso è… una burla all’italiana.

Poi ci sono richieste di tipo prettamente estetico. Stadi scoperti, scomodi e senza posti numerati. Maglie numerate da 1 a 11 e senza nomi dei giocatori. Limitazione del numero di stranieri nelle squadre perché ostacola l'inserimento dei giovani. Puoi spiegarmi le ragioni alla base di questa idea di calcio?
Il manifesto di cui di dici risale al 1999 e molte cose sono cambiate. Mi piacerebbero gli stadi scoperti e scomodi perché si forma una selezione naturale e lo spettatore comodoso se ne sta a casa a vedere la televisione, mentre chi viene allo stadio lo fa perché tiene veramente alla propria squadra. Nel frattempo, dal 1999 al 2013 gli stadi sono diventati realmente pietosi e difatti la gente sta a casa a vedere la televisione, però il mio obiettivo non è stato raggiunto in quanto lo svuotamento di colore e calore rende senza appeal anche la partecipazione al tifo di curva.
Per quanto riguarda i numeri si torna al concetto di prima: il numero personalizzato è protagonismo, così come lo è il nome del giocatore. Per noi i giocatori sono senza volto e hanno indosso la maglia della nostra squadra. I personalismi non ci piacciono.
Quanto agli stranieri, il discorso è abbastanza semplice: quando negli anni Settanta - Ottanta il Milan incontrava l’Ajax, avevamo di fronte una squadra realmente italiana contro una realmente olandese. Oggi abbiamo due mini nazionali che si incontrano e non ha più senso parlare di calcio italiano o olandese, se non per mera semplificazione.

Le foto sono tratte dal sito asromaultras.org, per gentile concessione di Lorenzo stesso.

Segui Daniele su Twitter: @DManusia