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Tecnologia

SolarBeat scandisce il ritmo dell'universo

SolarBeat è il sito che ti trasforma nel DJ del sistema solare.
Giulia Trincardi
Milan, IT
Immagine: screengrab via SolarBeat.

L'universo non ha suono. L'abbiamo imparato grazie a Ridley Scott, nel 1979. Non si sente niente oltre l'atmosfera del nostro pianeta (o di qualsiasi pianeta che abbia un qualche tipo di strato gassoso o liquido attraverso cui riescano a viaggiare i suoni); starsene nello spazio è come trovarsi in una silent disco ed essere l'unico senza cuffie. Stanno tutti ascoltando qualcosa, chissà cosa.

Il fatto che l'universo sia muto, non significa però che non abbia un ritmo. Prendiamo il nostro sistema solare: Ci sono una decina di corpi celesti che ruotano intorno ad una stella, ognuno seguendo un ritmo diverso, a seconda ovviamente di quanto distano dal Sole. Mercurio è il più vicino: costituisce una sorta di unità minima, un metronomo che pulsa fisso, un giro rapido dopo l'altro. Ma le orbite degli altri pianeti (il tempo che ognuno di loro batte) non sono multipli interi di questa unità minima, e si intrecciano tra loro in un pattern improvvisato, eppure matematicamente imprescindibile.

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Su questo concetto si basa SolarBeat, il sito interattivo progettato da Whitevinyl, ovvero il designer Luke Twyman. Ha rappresentato le orbite dei pianeti del sistema solare come i solchi di un giradischi, e ogni solco segue la frequenza dell'orbita del pianeta che rappresenta. Scegliete una scala, un beat, e lasciatevi ipnotizzare dai ciclici movimenti del nostro sistema solare: ogni pianeta, quando passa sotto la puntina di questo giradischi minimale, emette una nota il cui tono è proporzionale alla frequenza dell'orbita. In altre parole, ci vogliono 1030 note basse di Mercurio per ascoltare quella più acuta di tutte emessa da Plutone.

Il fatto che l'universo sia muto, non significa però che non abbia un ritmo.

SolarBeat sembra riprendere i concetti di una scienza molto antica, teorizzata per la prima volta da Pitagora. La musica delle sfere—teoria poi ripresa da numerosi filosofi antichi e moderni, da Platone a Keplero—ipotizza infatti che i corpi celesti, per via dei loro movimenti di rotazione intorno al Sole e rivoluzione intorno al proprio asse, producano una sorta di armonia silenziosa, formata dai suoni particolari di ognuno di essi. Più lento (e quindi lontano) appariva un pianeta agli occhi di chi osservava il nostro sistema, più acuto era il suono associatogli in antichità, esattamente come una nota è tanto acuta quanto è lunga la corda su cui viene pizzicata.

L'eterno parallelo matematico tra astronomia e musica—criticato da alcuni filosofi come il prodotto di un'immaginazione troppo fervida, professato da altri come influenza benefica fondamentale alla vita—è ripreso elegantemente dal progetto SolarBeat. L'opera è stata aggiornata di recente, in occasione del quinto compleanno del sito stesso e dell'approccio della

sonda Dawn della NASA all'orbita di Cerere

, e offre un modello interattivo che permette anche di giocare con il beat, l'eco e la scala armonica del suono—immaginato—di un universo muto, ma sempre a ritmo.